Taranto: I diritti umani e le pensioni degli operai
L'ultimo operaio morto all'ILVA di Taranto si chiamava Domenico Occhinegro e aveva soltanto 26 anni. Mancava poco alla fine del turno e gli è caduto addosso un tubo di acciaio di 3 tonnellate. E' il 40esimo morto dal 1993 nella più grande fabbrica Italiana, "un gigante fra gli ulivi avido di sacrifici umani" come scrive Giancarlo De Cataldo. Ma per arrivare al vero numero dei sacrifici umani bisogna moltiplicare la cifra per alcune centinaia. Dipende dalle stime sanitarie sulle morti per cancro fra lavoratori e popolazione. Il nuovo sindaco di Taranto, il pediatra Ippazio Stefàno, eletto con il 75% dei voti al ballottaggio, è diventato un simbolo cittadino curando per decenni i bambini ammalati di fabbrica.
L'ILVA è grande 3 o 4 volte la città che in teoria la ospita, conta quasi 300km di ferrovie interne, ciminiere alte come palazzi e butta nel cielo di Taranto oltre il 10% del monossido di carbonio presente in tutta l'Europa. Ha superato la crisi della siderurgia con l'avvento del gruppo Bresciano RIVA e soprattutto le commesse dalla Cina. Gli ordini sono imponenti, i turni di lavoro massacranti.
Appena arrivati dal Nord i Riva, che sono padroni all'antica, hanno preso gli operai più "sindacalizzati" e gli hanno sbattuti in una palazzina-lager, la Laf. Per questo crimine sono stati condannati con sentenza definitiva. Ma intanto hanno ottenuto il risultato di far crollare le iscrizioni al sindacato e quindi in controlli. In altre fabbrica il sindacato ci pensa da solo ad isolarsi. I controlli delle forze dell'ordine sono rarissimi e quei pochi certificano che 2 fabbriche su 3 in Italia sono fuori norma. Il risultato è che ogni anno muoiono 1300 lavoratori. E sono decine di migliaia le morti per malattie indotte, inquinamento, depositi nocivi non smantellati, come per esempio i siti di amianto.
Un grande merito del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è d'aver richiamato l'attenzione di tutti sulla tragedia degli infortuni sul lavoro, come non accadeva dai tempi di Sandro Pertini. Ma non basta.
La condizione operaia ormai passata di moda nei discorsi intellettuali, è fra le più ignorate.
Nell'ultima festa torinese per il lancio della cinquecento, fra i tanti discorsi certo interessanti e suggestivi, nessuno a speso una parola per il ruolo degli operai di Mirafiori alla catena di montaggio. Che naturalmente non si chiama più cosi ma Ute (unità tecnologica elementare). Però consiste essattamente, come un secolo fa, nel ripetere all'infinito lo stesso gesto.
Per un salario di mille, milleduecento euro al mese.
Allungare l'età pensionabile di queste persone, per me, è un crimine contro i diritti umani.
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