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E’ ormai insostenibile l’inquinamento prodotto dall’ILVA di Taranto

Taranto: " La Sindrome dei due Mari "

"Il cielo è limpido ma il fiato velenoso del grande colosso si staglia netto sull’orizzonte. Diossina, arsenico, mercurio e altri veleni di ogni tipo vengono eruttati dalle lunghe narici del pachiderma addormentato"
24 agosto 2007
Marco Stefano Vitiello
Fonte: Left Avvenimenti

ILVA di Taranto Poco prima che il sole sia scomparso del tutto, pare che la città stia sospesa in una luce surreale. Al di là dei palazzi ammucchiati uno sull’altro, oltre la selva di antenne e parabole, il mostro respira affannosamente. Il cielo è limpido ma il fiato velenoso del grande colosso si staglia netto sull’orizzonte. Diossina, arsenico, mercurio e altri veleni di ogni tipo vengono eruttati dalle lunghe narici di quello che sembra un pachiderma addormentato. Ricorda a tutti che è vivo e continua a sporcare ogni angolo della città, a inquinare l’acqua del Mar Piccolo e del Mar Grande, l’aria che respirano i bambini, gli adulti e gli anziani che boccheggiano per il caldo torrido e lo scirocco che non concede tregua.

Non c’è via di scampo, che si abiti vicino all’impianto o nelle zone più lontane, i miasmi mefitici dell’ILVA arrivano ovunque. Occupa un'area che è tre volte più grande della città di Taranto ed è in grado di produrre 10 milioni di tonnellate di acciaio. In nessuna altra città bisogna pulire i vetri delle macchine tutti i giorni anche se non piove da mesi: basta un colpo di tergicristallo per vedere quanta polvere, più o meno “sottile” si posa implacabile sul vetro. In nessuna altra città bisogna lavare i balconi tutti i giorni per evitare di trasportare lo sporco dentro casa. Migliaia di condizionatori accesi notte e giorno tentano di lasciare il veleno fuori dagli appartamenti. I consumi energetici vanno alle stelle e l’acqua è meglio non berla: ti portano a casa gratis quella minerale, anche se sei all’ultimo piano di un palazzone senza ascensore.

A parlare con i medici, gli ambientalisti, le vittime, i testimoni, il quadro che esce fuori è quello di un territorio fuori legge in cui la salute è secondaria rispetto al profitto; l’affresco di una intera città sotto ricatto, nella quale le istituzioni sono troppo assorbite dal tentativo di risanare il fallimento del Comune (una voragine di 901 milioni di euro) per intervenire in maniera decisa e risolutiva sule questioni ambientali.

Il Dottor Patrizio Mazza, Direttore del Laboratorio di Ematologìa dell’Ospedale Nord, lavora da quindici anni a Taranto e di casi di tumori ne ha diagnosticati a centinaia. E’ diretto, esplicito: “Stiamo preparando un dossier inattaccabile che possa consentire un intervento deciso e decisivo. La popolazione di Taranto non può più tollerare questa situazione.” “Quello che colpisce di più – sostiene – è la diversificazione che si è verificata nel corso del tempo. Mentre all’inizio i tumori colpivano persone direttamente esposte alle sostanze tossiche, progressivamente si è verificato un abbassamento dell’età dei pazienti fino ad arrivare ai bambini. Ho avuto in cura un piccolo di dieci anni affetto da un carcinoma anaplastico del rinofaringe, una patologìa che si poteva riscontrare solo in pazienti adulti, purtroppo una patologìa non operabile come quasi tutti i tumori che riscontro qui a Taranto. Ora il ragazzo è in cura a Bologna con la radioterapia, ma è solo un caso tra i tanti che evidenzia in modo esplicito come i microdanni vengano trasmessi geneticamente dal genitore al figlio. E’ fuor di dubbio che gli abitanti del Rione Tamburi (quello più vicino allo Stabilimento dell’ILVA) risentono in maniera particolare del fall out che si spande nell’aria con il vento. In particolare, le categorie più a rischio sono le donne incinte e i bambini, ma alla fine tutti i cittadini indistintamente assumono il veleno non solo dall’aria che respirano, ma anche attraverso il cibo e l’acqua. Per ciò che affligge Taranto, a buon diritto si potrebbe parlare di Sindrome dei Due Mari.”

Il Dott. Roberto Brundisini, Responsabile della Unità di Cure Domiciliari Ematologiche della Provincia di Taranto, denuncia apertamente la mancanza di ricerche e studi approfonditi sull’argomento. “A Taranto, non esiste un Registro Tumori che possa fornire dati statistici essenziali per stabilire l’incidenza delle patologìe cancerogene sulla popolazione e quindi poter determinare interventi adeguati.” “E’ indubbio – aggiunge – che i tarantini vivono una condizione di ricatto occupazionale. E’ come se fossero irretiti da un fattore psicologico perverso che li spinge a non pensare, a non riflettere sul dramma che hanno vissuto, che stanno vivendo e che vivranno i loro figli.”

Alessandro Marescotti di Peacelink, più volte querelato dall’ILVA, non è meno deciso dei medici: “ In quarant’anni si sono riversati sul cielo di Taranto chili e chili di diossina; è come se si fossero verificate due o tre Seveso, che, seppur diluite nel tempo, hanno avuto un effetto devastante. E’ stato calcolato che nella tragedia dell’ICMESA si sparsero nell’aria tra i due e i tre chili di diossina: a Taranto, secondo un calcolo riduttivo, ne sono stati prodotti tra i sei e gli otto chili. Dal 1970 al 2000 le morti per neoplasie sono aumentate del 100%. E pensare che in Iran, lo stabilimento siderurgico più vicino ad una città dista ottanta chilometri!”

Ma non è solo la diossina a preoccupare i medici e gli ambientalisti. Gli effetti dell’arsenico e del mercurio sono meno vistosi ma altrettanto micidiali e, cosa ancor più importante, i dati che hanno suscitato scalpore infatti sono su Internet e sono raggiungibili mediante la consultazione del sito ufficiale dell'APAT (Agenzia Protezione Ambiente e Servizi tecnici): http://www.eper.sinanet.apat.it.

La ricerca sulla stima delle emissioni dell'Ilva si avvia in particolare da questo indirizzo http://www.eper.sinanet.apat.it/site/itIT/Registro_INES/Ricerca_per_complesso_industriale Basta inserire la parola "Ilva" e appaiono i dati statistici sul mercurio diffusi nel dossier.”

Ancora più dura è la posizione di Lucia Gentile che ha perso la sorella di trentatrè anni, nonostante un trapianto di midollo: ”Ricordo la città in cui gli operai erano quelli come mio padre che lavorava all’Arsenale Militare e che quando arrivò lo stabilimento si rifiutò di lasciare il suo posto per andare in quello che definiva l’inferno. La casa ai Tamburi ci fu assegnata e ci trasferimmo. Quando mia sorella si ammalò, tentammo tutte le strade possibili che la scienza ci offriva e lei non si arrese mai, anzi. Entrò a far parte dell’A.I.L. e combattè la sua battaglia fino alla fine. Ora ci vuole una consapevolezza in più, una coscienza in più”.

Di battaglia civile parla anche Piero Mottolese, ex operaio dell’ILVA, che ben conosce le condizioni di lavoro nella fabbrica: “ Ho perso la salute ma non rinuncio. So come funzionano i meccanismi di produzione e so che ai dirigenti interessa solo la velocità nel raggiungere gli obiettivi delle commesse. Poco conta se, per la fretta o l’imperizia, qualcuno ci lascia la pelle o resta mutilato. L’azienda deve andare avanti comunque.”

Puntualmente, pochi giorni fa, un giovane operaio di ventisei anni è morto schiacciato tra due enormi tubi in movimento. L’ILVA sostiene che non doveva essere lì, in una zona interdetta, i sindacati hanno proclamato una giornata di sciopero, il neo Sindaco Stefàno ha espresso le consuete parole di circostanza, il Presidente della Regione Puglia Vendola si è rivolto alla dirigenza dell'ILVA e ha chiesto di assumere, in accordo con i sindacati, scelte concrete di riorganizzazione del lavoro. "Dinanzi ad atteggiamenti di noncuranza - ha concluso - la Regione Puglia è pronta a denunciare il protocollo d'intesa con la nostra più grande azienda”. Intanto la magistratura ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo.

“C’è scarsa informazione – dice il Dott. Brundisini – e ancor meno educazione sanitaria: la popolazione non conosce il rischio che corre o forse non vuol proprio pensarci.” Fatto sta che Taranto vive una realtà abnorme: diecimila lavoratori tengono in scacco una popolazione di oltre duecentomila residenti.
Il 5% contro il 95%.

“L’area industriale di Taranto deve chiudere!” - è l’affermazione senza mezzi termini del Dott. Mazza – “Una riconversione è possibile e necessaria. Ci vorrebbe un decreto di assoluta incompatibilità ambientale che preveda il totale smantellamento entro dieci anni. Contemporaneamente dovrebbe partire un bando internazionale per un progetto alternativo che valorizzi le enormi potenzialità turistiche del territorio, sottraendole alle speculazioni di pochi furbi”. Il Dott. Brundisini è più cauto: “Bisogna pubblicare giornalmente i dati delle centraline di rilevazione dell’inquinamento, perché la popolazione sia avvisata, informata ed educata ad una prevenzione sanitaria adeguata.”

“C’è anche da dire – aggiunge Alessandro Marescotti - che Taranto è stata inserita nelle aree destinate a risanamento ambientale (Dpr 23 aprile 1998 "Approvazione del piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Taranto"). Insomma, mentre a livello nazionale le associazioni contro il cancro e lo stesso ministro Veronesi parlano di "successi nella ricerca" e di diminuzione dell'incidenza tumorale, a Taranto invece, i dati registrano al contrario una crescita costante e indicano che la neoplasia causa di morte più frequente è quella a carico del polmone; in costante aumento sono anche le morti per leucemie e linfomi. La mortalità per neoplasia è passata da un tasso di 124 morti per 100.000 abitanti (1971) a 244 morti per 100.000 abitanti nel 1998. Mentre nel 1971 25 abitanti su 100.000 morivano di cancro ai polmoni, nel 1998 si è passati a 52 morti di cancro per 100.000 abitanti: un aumento di oltre il 100%.”

Il volto di Alessandro Marescotti si fa ancora più serio: “E’ triste considerare che chi inquina è punito, in base al codice penale, con pene meno severe rispetto a chi copia un dischetto per computer. La copia non autorizzata di programmi è considerata reato più grave dell'omicidio colposo connesso all'inquinamento cancerogeno”

Si è fatta notte e si è alzata una leggera brezza che increspa le acque del Mar Piccolo, ma dalle narici del pachiderma accucciato dietro il Rione Tamburi escono ancora sbuffi di fumo: il lavoro va avanti, l’inquinamento pure.

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