Taranto, un killer in tribunale
Nel capoluogo jonico i cittadini e i dipendenti che frequentano il tribunale corrono il rischio di respirare o ingoiare inconsapevolmente amianto. Lo attesta un'analisi dell'Istituto superiore di sanità e un provvedimento del procuratore aggiunto della Repubblica, Franco Sebastio, e del presidente vicario del Tribunale, Carlo Lavegas. I due magistrati, infatti, dopo aver «preso atto della nota n. 6633 del 17 maggio 2005, con la quale il Comune di Taranto ha comunicato che i lavori, relativi alla bonifica delle zone cui sono presenti materiali contenenti amianto nel Palazzo di giustizia sito in Taranto alla via Marche, dovranno avere inizio il giorno 3 giugno 2005 ed essere ultimati entro e non oltre il giorno 30 novembre 2005», hanno disposto con un decreto (numero 76 del 31 maggio 2005) che «tutti gli uffici del Palazzo di giustizia svolgeranno solamente attività inerenti casi urgenti o concernenti atti in scadenza».
Le disposizioni, pur autorevoli, si sono però perse per strada. «A tutt'oggi la decontaminazione dal minerale cancerogeno non è stata ultimata. Anzi, procede irregolarmente, mentre le attività di bonifica fervono durante l'apertura al pubblico della struttura giudiziaria», accusano gli avvocati Filippo Lerario (candidato per la Fiamma alle recenti elezioni comunali) e suo fratello Giovanni, difensori di numerosi colleghi, funzionari giudiziari e agenti delle forze dell'ordine di servizio al tribunale. «La situazione è gravissima: qui è in gioco la vita di chi lavora e frequenta il palazzo. L'amministrazione comunale, proprietaria dell'immobile, è latitante», denuncia persino il magistrato Sebastio.
Il capo della Procura della Repubblica Aldo Petrucci, che alle richieste di left ha risposto con un secco «no comment», non ha aperto finora alcun fascicolo, ma si è limitato a sfornare una scarna informativa: «I lavori inizieranno prossimamente e si svolgeranno essenzialmente nel periodo estivo feriale, onde ridurre al minimo i disagi sui servizi». Quattro funzionari dell'ufficio Esecuzioni immobiliari - Rosanna Milano, Antonia D'Aponte, Grazia De Cosmo e Angela Pastore – raccontano invece che «i lavori di asportazione dell'amianto si svolgono in compresenza del personale, con grave disagio fisico e soprattutto psicologico». Una porzione dei pericolosi rifiuti giace addirittura abbandonata in cortile da mesi, senza protezioni, tra ignari passanti. Non c'è alcun cartello che segnali il pericolo. Quando tiriamo fuori una macchina fotografica, due carabinieri in borghese s'avvicinano sostenendo che «è vietato per motivi di sicurezza riprendere i sacchi pieni d'amianto», neanche fossimo a Forte Knox. Per farlo ci vuole l'autorizzazione del presidente del Tribunale, Cataldo Gigantesco. Che però non riceve i giornalisti ficcanaso.
Identico copione all'interno del palazzone giudiziario edificato negli anni Settanta. La ditta locale General Sba srl ha cominciato a rimuovere l'asbesto bianco nei pavimenti «senza le adeguate precauzioni», ha denunciato l'Ordine degli avvocati di Taranto. Stessa segnalazione alle autorità competenti è pervenuta dall'avvocato Marina Venezia, componente nazionale dell'associazione Cittadinanza Attiva: «I cittadini che entrano nel Palazzo dovrebbero essere adeguatamente informati dei lavori di smantellamento dell'amianto con modalità e forme opportune. Abbiamo spedito una lettera in cui chiediamo chiarimenti urgenti, ma dopo più di un anno siamo ancora in attesa di chiarimenti. Ad esempio, avremmo voluto conoscere i dati epidemiologici, ma in Procura ci hanno opposto un muro di gomma». In barba alla salute umana e alle normative (l'amianto è stato messo al bando quindici anni fa), le micidiali fibre danzano tra questi edifici da un trentennio. Eppure, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che «l'amianto a qualsiasi concentrazione nell'aria è pericoloso». Per ammalarsi di mesotelioma (il cancro ai polmoni determinato dall'esposizione all'amianto) basta anche una singola particella di silicati fibrosi.
La maggioranza del personale, dal giudice Cavallone della sezione civile ai numerosi avvocati che frequentano il tribunale, hanno cominciato a denunciare la situazione già dal 1989. Già negli anni Ottanta, infatti, si conosceva la pericolosità del materiale, e si moltiplicavano gli esposti all'amministrazione comunale, alle istituzioni sanitarie e giudiziarie. Un'indagine del Servizio di igiene e sicurezza del lavoro, effettuata dal 30 maggio al 4 giugno 1988, aveva già accertato che «i lavoratori addetti alle pulizie del Palazzo di giustizia sono esposti durante il lavoro a polveri nocive di amianto derivanti dalla pavimentazione in vinil-asbesto in non buono stato di conservazione; le stesse polveri investono anche il restante personale sia durante le citate operazioni di pulizia che durante la normale attività lavorativa». Tanto che il 13 settembre 1988, anche le analisi dell'Istituto superiore di sanità riscontrarono nei pavimenti «abbondanti fibre di amianto crisotilo sotto forma di fascetti associati a una matrice di altro materiale». Il primo ottobre 1988, una relazione dell'Usl Taranto/4 inviata al pretore Donato Sanarico, segnalava «le fibre di crisotilo in tutti i piani del Palazzo di giustizia», e riteneva «pertanto che, secondo quanto prescritto dalla circolare del ministero della Sanità, si debba procedere direttamente alla bonifica degli ambienti pavimentati». Un rapporto della stessa Usl di quattro mesi dopo riscontrava la «presenza di amianto crisotilo nella chiusura caldaie per riscaldamento».
Anche le indagini in materia di prevenzione infortuni e igiene del lavoro accertano una miriade di inadempienze alle leggi vigenti, ma le ordinanze restano lettera morta. «Dopo tutti questi anni non conosciamo ancora le mappe di pericolo», denuncia Mario Ubaldini delle Rappresentanze sindacali di base. «I 300.000 euro che il Comune ha speso per avviare tardivamente l'intervento di bonifica potevano essere utilizzati per attivare immediatamente la Cittadella della Giustizia». Il nuovo edificio è stato ultimato 4 anni fa, e sta andando in rovina per interessi speculativi di banche e potentati. Il tribunale poteva essere trasferito nella nuova sede in tempi rapidi, evitando così altri rischi per i dipendenti. Ne chiediamo conto anche a Rossana Di Bello, sindaco di Taranto dal 2000 al 2006, visto che l'edificio è di proprietà del Comune di Taranto. Anche lei, però, preferisce non fare alcuna dichiarazione a left. Del resto, la signora Di Bello ha già abbastanza guai. Il 25 febbraio 2006 si è dovuta dimettere dopo una condanna in primo grado a 16 mesi di reclusione e a 6 mesi d'interdizione dai pubblici uffici per abuso d'ufficio e falsità ideologica. E dopo aver lasciato ai concittadini una paurosa voragine di debiti.
Articoli correlati
- Una storia di amianto e di giustizia, appello ai decisori politici
A rischio i fondi PNRR per il Parco della Rinascita sull’area della ex Fibronit di Bari
"Avete una grande occasione: dimostrate ai cittadini di avere a cuore la loro salute e il loro benessere. Non dimenticate che quell'area porta sulle sue spalle oltre 700 morti e che il Parco della Rinascita è il risarcimento minimo nei confronti di chi ha pagato con la vita".15 agosto 2023 - Comitato cittadino Fibronit - Bari - Comunicato dell'Associazione Culturale Pediatri
Amianto, Pediatri: “Almeno 350mila bambini ancora esposti, anche in classe"
L’Associazione Culturale Pediatri (ACP) sottopone alla attenzione della politica il rischio tuttora esistente legato alla presenza dell’amianto nelle scuole italiane. Rischio che espone, dai dati dell’ONU, circa 350mila bambini e 50mila docenti nel nostro Paese.7 gennaio 2022 - E' importante adesso formare una nuova consapevolezza
L'amianto colpisce anche il fegato
Un gruppo di ricercatori indipendente ha rilevato la presenza di fibre di amianto nel fegato e nelle vie biliari di pazienti dando un’ulteriore validazione a questa ipotesi. L’amianto sarebbe associato ai colangiocarcinomi, aumentando pertanto il rischio di tumore al fegato, oltre che ai polmoni.17 luglio 2021 - Alessandro Marescotti - Amianto
Arcelor Mittal: Usb denuncia azienda per mancata sicurezza lavoro
La denuncia è stata presentata “dopo aver constatato la presenza di dispersione di amianto in una zona in cui operavano diversi lavoratori nello stabilimento di Taranto di ArcelorMittal”. Nel capannone - dice l’Usb - c'erano lavoratori delle ditte in appalto che hanno operato ignari dell'accaduto.3 aprile 2019 - AGI
Sociale.network