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Una riflessione del professor Pirro sulle parole del Presidente Napolitano

"Possibile un nuovo sviluppo, ma sbagliato lasciare l'acciaio"

Che sia l’indifferenza il vero male oscuro di Taranto? Dopo le dichiarazioni di Napolitano, nemmeno una voce politico-istituzionale. In una realtà affumicata dalle industrie ed in cui si rovesciano fiumi di parole sugli argomenti più insulsi, il silenzio suona come un’ammissione di colpa.
21 ottobre 2007
Michele Tursi
Fonte: Corriere del Giorno

ILVA di Taranto Alcuni giorni fa il Presidente Napolitano, rispondendo alle domande di un ragazzino, ha ammesso una serie di leggerezze commesse in materia ambientale in relazione al centro siderurgico ionico. Parole che hanno richiamato errori del passato e che dovrebbero mettere in guardia l’attuale classe dirigente sulle scelte future.

Eppure le frasi del Capo dello Stato sono cadute nel silenzio. Nessun intervento, alcun commento. Nemmeno una voce politico-istituzionale. In una realtà affumicata dalle industrie ed in cui si rovesciano fiumi di parole sugli argomenti più insulsi, il silenzio suona quasi come un’ammissione di colpa.

La portata dell’argomento è tale da suscitare interesse in contrade lontane da Taranto. Abbiamo parlato di Ilva, ambiente e ipotesi di sviluppo con il professor Pirro, docente di Storia dell’Industria all’Università di Bari.

Il Presidente Napolitano ha ammesso che insieme alla costruzione del Centro siderurgico di Taranto, bisognava mettere in conto le “conseguenze negative dell’industrializzazione”. Tardiva ammissione o monito per il futuro?

“Direi monito per il futuro. Il IV Centro Siderurgico alla fine degli anni ‘50 venne sollecitato da tutte le forze politiche, anche a causa della crisi drammatica della navalmeccanica che espelleva dall’Arsenale e dai cantieri Tosi migliaia di arsenalotti. Qualcuno lo ha forse dimenticato? E ai giovani non bisogna ricordarlo? L’Italia aveva ed ha bisogno di acciaio per la sua industria meccanica ed oggi l’impianto occupa 13.346 addetti diretti e 3.100 nell’indotto, muovendo buona parte dell’economia locale. Ma si sta lavorando con impegno per ridurne l’impatto ambientale”.

Devastazioni ambientali, un’elevata incidenza di neoplasie, una lunga serie di vittime del lavoro. Un tributo pesante per Taranto che forse nessun’altra realtà nazionale ha pagato. Ritiene praticabile una exit strategy dall’attuale modello di sviluppo?

“Rispondo con qualche domanda: chi costruì una parte del quartiere Tamburi a ridosso dell’Italsider, forse l’Iri o il Gruppo Riva? E non dovevano essere, quelle, case per alloggi temporanei, o sbaglio? E i 49,5 milioni destinati agli interventi per il quartiere? Per ragioni tecniche sono stati stornati dalla Regione ed ora auguriamoci che si riescano a recuperare, dopo che gli interventi di bonifica e risanamento dell’area erano stati finalmente definiti nel dettaglio. Oggi, comunque, si può e si deve lavorare per potenziare altri settori produttivi di Taranto, cominciando ad esempio dall’industria dell’ospitalità ovvero dal turismo e dal suo indotto industriale che è notevolissimo, ove si pensi soltanto a tutto ciò che arreda e rende funzionante i complessi ricettivi, la cosiddetta hotellerie. Ma lasciare l’acciaio, il ciclo integrale e il loro indotto sarebbe una scelta grave per Taranto e per l’intero Paese. Ma se questo è vero, allora è il Paese che deve porre risorse al servizio della città per abbattervi l’inquinamento
ambientale”.

Gennaio 2003, ottobre 2006, sono le date del primo e dell’ultimo atto d’intesa tra Ilva, Regione, Enti locali e parti sociali. Oltre tre anni per ottenere dall’azienda siderurgica accelerazioni sugli obblighi di legge in tema di amianto e Pcb, ma pochi o nessun intervento strutturale sul ciclo produttivo. Anche le speranze legate all’emanazione delle linee guida sulle Bat, finora, sono state disattese. Che voto darebbe a questa lunga stagione di intese?

“Positivo perché tutte le Istituzioni e le parti sociali stanno partecipando – sia pure con sensibilità diverse e con non pochi accenti polemici da parte di taluni – ad un percorso di riduzione dell’impatto ambientale che l’Ilva aveva già iniziato ben prima del 2003 con massicci investimenti e che ora deve essere proseguito secondo quanto concordato”. Grazie alle pressioni dell’Arpa, a giugno, sono state effettuate le prime rilevazioni sulle emissioni di diossina dall’Agglomerato 2. I valori sono risultati nei limiti per effetto di una legislazione che la stessa Arpa ha definito inadeguata.

La partita sull’ambiente si gioca anche in Parlamento?

“Certo, in primo luogo in Parlamento, in un quadro di certezze normative che diano garanzie a tutte le parti in causa, Istituzioni, azienda, sindacati, popolazione”.

Ha senso continuare a proporre nuovi insediamenti a forte impatto ambientale come il raddoppio della raffineria Eni, o ad elevato rischio di incidente rilevante come il rigassificatore? Eppure non mancano casi di industrie pulite come Vestas, Alenia Composite e, infine, le speranze legate al porto di Taranto. Forse è proprio questo il senso delle parole del Presidente Napolitano: evitare di commettere altri errori?

“A mio avviso quegli investimenti sono necessari per lo sviluppo e l’occupazione, ma oggi la scienza e la tecnologia offrono strumenti e metodologie per contenerne drasticamente l’impatto ambientale. Taranto, insomma, deve diventare un vero e proprio laboratorio di rilievo mondiale di applicazione e sperimentazione di tecnologie avanzatissime per la difesa degli ecosistemi fortemente industrializzati. E’ la migliore risposta a chi, invece, vorrebbe fare dell’area ionica un laboratorio di politiche di deindustrializzazione”.

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