Ambiente: Intervenga il Governo
Ringrazio vivamente il Comitato per Taranto per l’attenzione alle mie riflessioni sullo stabilimento siderurgico della città, sugli interventi in corso per ridurne l’impatto ambientale e più in generale sul ruolo che esso assolve al servizio dell’economia nazionale. Accolgo l’invito ad un confronto pubblico con due fin troppo ovvie premesse, una di metodo e l’altra di merito.
Quella di metodo: io non sono, e non sono stato chiamato ad esserlo, il portavoce ufficiale né ufficioso del gruppo Riva che - trattandosi dell’azienda leader nel comparto a livello nazionale e fra i big player del mercato mondiale – ha ovviamente il suo addetto stampa e autorevoli dirigenti preposti alle relazioni con le Istituzioni locali e nazionali e con il partenariato sociale, e perciò abilitati a rispondere nel merito tecnico ai quesiti sollevati nelle sedi competenti e secondo le procedure stabilite in atti ufficiali, sottoscritti a livello istituzionale. Pertanto, in passato, ora e in futuro ho espresso ed esprimerò solo convinzioni personali, derivanti da mie valutazioni di studioso di storia dell’industria e di economista aziendale che formula analisi e proposte sulle problematiche dello sviluppo industriale di Taranto e della Puglia.
La premessa di merito riguarda, invece, il fatto che il Comitato cita interventi specifici in Ilva su segmenti e impianti del processo produttivo - aree di agglomerazione, macchine impiegatevi, stato dell’agglomerazione, afo, aree di laminazione a caldo, impianti di trattamento acque dei treni di laminazione, parchi minerali, strade – su cui manifesta sue valutazioni tecniche, di cui ovviamente si assume la responsabilità, arrivando anche ad esprimere dubbi circa la “veridicità di elenchi e investimenti da fare per il miglioramento dell’impatto ambientale”; pertanto, a fronte di tali loro asserzioni, non sono io l’interlocutore abilitato a controdedurre sulle loro osservazioni, ma l’azienda se, come e quando ritenesse di farlo, nella sede competente - e cioè il tavolo tecnico per l’attuazione dell’Atto di intesa - ove siedono i soggetti istituzionalmente preposti e abilitati ad ascoltare, analizzare, valutare, controdedurre e prescrivere, se e quando necessario, nel confronto con il management dell’Ilva e gli esperti che l’azienda stessa avesse fatto ammettere come suoi consulenti di parte.
Il Comitato per Taranto – ove abbia già accesso a quel tavolo, o ritenga di averne titolo – avanzi relativa istanza per sedervisi che, suppongo, sarebbe esaminata ed accolta o meno da chi avrebbe titolo per farlo. Secondo il Comitato gli Atti di intesa nei fatti “si sono rivelati inutili, inefficaci e tutto sommato dilatori per l’impegno dell’azienda a ridurre effettivamente non a parole o sulla carta l’inquinamento ambientale”? Io ho un’opinione molto diversa in proposito, ma sarebbe interessante ascoltare al riguardo la Regione, il Presidente Vendola e l’on. Fitto che lo ha preceduto – che li hanno sottoscritti - l’Assessore all’ambiente e il suo predecessore, il Sindaco Stefàno e il Presidente della Provincia Florido, tutti i Sindacati e gli altri soggetti sottoscrittori: la valutazione non può essere unilaterale, per quanto rispettabili siano tutte le affermazioni al riguardo. E comunque le verifiche si fanno solo al tavolo tecnico, salvo che qualcuno dei partecipanti non ne dichiari l’inutilità - da condividersi peraltro con tutti gli altri soggetti - e non si decida di chiudere il tavolo.
Ma, sinora, Regione, Ilva e la maggior parte dei partecipanti al tavolo stesso non risulta affatto che lo abbiano delegittimato, astenendosi conseguentemente dal parteciparvi. Circa lo sforzo compiuto sinora dall’Ilva solo per ridurre l’impatto ambientale dello stabilimento di Taranto, i dati ufficiali ci dicono che esso si è concretizzato fra il 1995 e il 2005 in 546 milioni di euro di investimenti, il cui dettaglio è contenuto nel Bilancio di sostenibilità dell’impianto del 2005, da raccordarsi a quelli del Piano industriale 2003- 2007 e nel Piano di adeguamento dello stabilimento alle linee guida B.A.T.
Circa i profitti del Gruppo Riva, i bilanci ufficiali dell’ultimo decennio - richiamati dal Comitato - evidenziano che all’inizio degli anni 2000 si sono registrate anche annate di perdite, mentre la situazione è progressivamente migliorata nell’ultimo triennio, sino ai risultati record del 2006. Ma gli utili quando si sono registrati servono anche a ripianare perdite pregresse e a fare investimenti autofinanziati nei 38 impianti che il Gruppo possiede in Italia e all’estero, dandovi lavoro a circa 25 mila addetti.
Il Comitato poi – al termine del suo intervento sul Corriere di venerdì 2 – riprende, condividendola, la mia affermazione secondo cui sarebbe “una scelta grave per Taranto e il Paese abbandonare l’acciaio, il ciclo integrale e il loro indotto”, peraltro - aggiungo - proprio quando (è notizia di giovedì scorso) si richiedono a livello europeo misure contro l’invadenza di prodotti siderurgici cinesi e il Ministro Bersani dichiara che bisogna difendere in Italia l’industria di base e cioè acciaio, chimica, automotive e aeronautica.
Ritengo perciò che debba essere il Paese – e su questo il Comitato per Taranto esprime condivisione – a porre a disposizione risorse al servizio della città e dell’azienda per abbattere l’inquinamento ambientale. Se su questo si è d’accordo – e sarebbe auspicabile che lo fossero soprattutto i decision maker, e non solo singoli economisti o gruppi pur autorevoli di opinione – allora avanzo una proposta concreta all’attenzione di istituzioni locali e governative, azienda, sindacati, centri di ricerca e movimenti di opinione: perché non studiare a fondo (ma in tempi rapidi e predeterminati) le modalità per collocare l’Atto di intesa – che deve continuare a governare il percorso formalmente concordato di adeguamento con le relative verifiche dello stabilimento alle B.A.T. – in un più ampio Accordo di programma quadro, che coinvolga anche il Governo per accelerare al massimo le procedure e gli interventi di compatibilizzazione ambientale dello stabilimento?
Sino a questo momento il Governo non è soggetto sottoscrittore e finanziatore di interventi per la riduzione dell’impatto ambientale del Siderurgico. E perché allora in questo auspicabile Accordo di programma quadro – sul modello, ad esempio, di quelli sottoscritti per Porto Marghera, per l’area petrolchimica di Priolo o per la chimica in Sardegna – non prevedere un apporto di risorse finanziarie dello Stato centrale – anche attraverso i PON - eventualmente conferibili con un contratto di programma fra Ministero dello Sviluppo, Regione e Azienda e, ove necessario, da negoziarsi anche con le Autorità di Bruxelles per importi, causali e procedure di conferimento dei co-finanziamenti?
Se, infatti, la UE segnala l’Ilva di Taranto e la centrale dell’Enel di Brindisi fra le maggiori fonti europee di emissione di CO2 e come siti industriali ad alto impatto ambientale – peraltro in via di significativo contenimento - non dovrebbe anche la UE contribuire con risorse proprie all’abbattimento dei fattori inquinanti? Certo, ciò varrebbe per tutta la siderurgia l’industria energetica europea, dovendosi verificare con le Autorità nazionali, sito per sito, i livelli di emissioni e di inquinamento e quanto fosse in corso al loro interno per diminuirli. Fra il 1980 e il 1988 venne dichiarato lo “stato di crisi manifesta” della siderurgia dei Paesi allora nella UE e furono assunte col bilancio comunitario misure per attenuare al massimo l’impatto di quella crisi sui livelli occupazionali del settore. Non si potrebbe ora procedere anche per l’impatto ambientale? Cosa ne pensano al riguardo i parlamentari nazionali pugliesi e tarantini? E quelli pugliesi al Parlamento di Bruxelles?
Si continui a discutere con passione civile come sta facendo il Comitato per Taranto, e a proporre soluzioni concrete e costruttive sui problemi ambientali della città e con volontà di risolverne i problemi insieme all’Ilva, e alle altre grandi imprese presenti in loco.
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