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Dopo gli incontri di Riva & Stefàno, nuovo intervento del Prof. Pirro

Ambiente & Malattie: Accordo per Taranto

"Se Taranto e la sua industria servono al Paese. perché non pervenire nell’area ad un grande accordo di programma quadro sul modello di quello sottoscritto per il polo di Marghera o per Priolo in Sicilia o per la chimica in Sardegna?"
11 novembre 2007
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

ILVA di Taranto L’incontro a Palazzo di città fra il Sindaco di Taranto Ezio Stefàno e l’ingegner Riva merita nuove riflessioni oltre a quelle ampiamente riportate dalla stampa. L’evento costituisce una risposta ferma, equilibrata e costruttiva del Comune e dell’azienda, rappresentati ai massimi livelli, a tutti coloro che, nella società civile e in qualche settore delle Istituzioni, sembrano aver dichiarato ormai da tempo uno stato di guerra permanente contro lo stabilimento ILVA e più in generale la grande industria presente nel capoluogo jonico.

Inoltre la piena attuazione ribadita dell’ingegner RIVA degli impegni già sotto scritti negli Atti di intesa e in via di progressiva realizzazione in materia di abbattimento dell’impatto ambientale del Siderurgico, e la volontà espressa dal Sindaco Stefàno, in qualità di primo responsabile della sanità in città, di riportare il Comune, nell’ambito delle proprie competenze, ad essere insieme a Provincia e Regione interlocutore autorevole dell’azienda – in quanto scientificamente documentato con i propri strumenti di rilevazione – crea le condizioni perché il tavolo tecnico di attuazione degli Atti di Intesa si rafforzi con una componente imprescindibile quale è l’amministrazione comunale.

Si depotenzia in tal modo la pur legittima richiesta di coloro, peraltro con un’esigua minoranza che vorrebbero l’indizione di un referendum (comunque consultativo) per interrogare la città sulla chiusura dell’ILVA o almeno della sua area a caldo, impegnandone i dipendenti in lavori di bonifica del sito. Ipotesi francamente irrealistiche, perché – oltre ad eliminare il primo centro di produzione di ricchezza (reale) dell’area – diverrebbe antieconomica senza il ciclo integrale la produzione di acciaio a Taranto che ne perderebbe anche i positivi effetti indotti. Qualcuno poi ha forse dimenticato il martirio (si, il martirio) di alcune centinaia di cassa integrati della Belleli che da oltre 7 anni vivono con un sussidio pubblico, senza che si sia riusciti purtroppo a trovare loro una nuova occupazione?

Oggi nel mercato siderurgico mondiale l’impianto di Taranto e i suoi prodotti devono competere non solo con quelli di otto big player del settore fra cui i giganti Arcelor Mittal, Nippon Steel, Jfe, Posco ma soprattutto con quelli della cinese Baosteel – che vende in dumping del 40% rispetto ai prezzi europei e riceve sovvenzioni dal suo governo – e le cui importazioni in Europa sono aumentate in due anni del 2700% per i coils a freddo, e del 3300% per l’acciaio zincato; percentuali spaventose che hanno indotto nei giorni scorsi Eurofer, l’associazione dei produttori siderurgici a chiedere formalmente alla Commissione UE l’imposizione di dazi anti-dumping su quei beni intermedi.

Si devono allora ignorare o sottovalutare gli allarmi sull’incremento di determinate patologie a Taranto anche fra i bambini? Nient’affatto, anzi. Perché allora non pervenire nell’area ad un grande accordo di programma quadro sul modello di quello sottoscritto per il polo di Marghera o per Priolo in Sicilia o per la chimica in Sardegna? Se Taranto e la sua industria servono al Paese, sopportandone i costi sull’ecosistema, allora è lo Stato che deve porre a disposizione risorse, anche comunitarie, per ridurli come è accaduto altrove. Perché questo avvenga – e non per immaginare fughe verso il nulla – è necessario l’impegno appassionato anche dei movimenti ambientalisti più qualificati.

Prof. Federico Pirro

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