"Il corpo e il sangue d’Italia" a Taranto
Salone degli Specchi – Palazzo di Città Piazza Castello - TARANTO
Il corpo e il sangue d’Italia
Otto inchieste da un paese sconosciuto
Ornella Bellucci, Silvia Dai Pra', Alessandro Leogrande, Stefano Liberti, Alberto Nerazzini, Antonio Pascale, Gianluigi Ricuperati, Piero Sorrentino
a cura di Christian Raimo
Otto tra i migliori narratori di quest’Italia contemporanea (giornalisti, reporter, scrittori) hanno deciso di consegnarci un’inchiesta a più voci "del corpo e del sangue" di questa terra. Nostri concittadini e fratelli prima che autori, hanno messo in campo la loro acutezza di sguardo e il loro coinvolgimento emotivo, per mostrarci come la scrittura possa essere ancora oggi un gesto politico: necessario e meraviglioso.
Imam precari, camorristi commoventi, body-builder impauriti, pensionati schiacciati dai debiti, mamme sull’orlo della follia, bambini troppo sicuri di sé, ecologisti senza scrupoli, operai in scenari da fantascienza, criminali che esaltano le folle. Raccontare l’Italia vuol dire raccontare un paese sospeso tra il desiderio mai realizzato di emancipazione civile e il viscerale richiamo di uno spirito arcaico. Vuol dire parlare di una nazione che si trasformando senza modelli da seguire, senza tradizioni con cui confrontarsi. Vuol dire scoprire i conflitti profondi che si celano dietro le facili rappresentazioni dei telegiornali. Illegalità e legalità, diritti civili e sopruso, culto dell’immagine e impegno sociale. La speranza di un futuro possibile e la disillusione di una nazione allo sbando.
Gli autori tarantini
Alessandro Leogrande ha scritto con “L’eterno ritorno di Giancarlo Cito” la storia tragicomica dell’ultima campagna elettorale tarantina, segnata dalla riapparizione del plumbeo caudillo televisivo.
Ornella Bellucci ha ritratto con “Il mare che non c’è” una città alle corde: la Taranto succube dell’Ilva e martoriata dall’inquinamento, in cui nuovi operai hanno preso il posto dei loro padri accettando condizioni di lavoro spesso peggiori.
Italia, un Paese malato da rifondare
di Rossano Astremo
Basterebbe che l’informazione tornasse ai fatti. Basterebbe che l’informazione abbandonasse quelle che Christian Raimo, nella prefazione di “Il corpo e il sangue d’Italia – Otto inchieste da un paese sconosciuto” (minimum fax), considera due versioni speculari della stessa malattia, ovvero il sensazionalismo e la blandizie. Per intenderci, quell’atteggiamento poco deontologico che raggiunge il suo acme in “Porta a Porta”, in cui Bruno Vespa maneggia con la stessa disinvoltura un mestolo e uno scarponcino, in una puntata dedicata al delitto di Cogne, o il seno di una modella, in una puntata dedicata alla mastoplastica additiva. Sembra, però, che troppo oltre ci si sia spinti, che l’informazione, sia quella su carta stampata che quella televisiva, ragioni quasi esclusivamente seguendo le logiche “mistiche” dello share. Allora, il paradosso vuole che sia la letteratura a restituire all’Italia un volto quanto più asintoticamente reale.
“Il corpo e il sangue d’Italia” raccoglie otto inchieste scritte da Alessandro Leogrande, Antonio Pascale, Silvia Dai Pra’, Stefano Liberti, Piero Sorrentino, Alberto Nerazzini, Gianluigi Ricuperati e Ornella Bellucci. Otto fotografie dai colori acidi e dalle linee ruvide che entrano nel ventre molle di un Paese complesso, vario, problematico e lacerato, ottenute attraverso il ricorso ai dettami tipici del giornalismo d’inchiesta, arricchite però da un linguaggio altro, che non solo dice ma suggestiona, che non solo registra ma disturba.
Non è un caso, quindi, che l’apertura e la chiusura di questo libro abbiano come protagonista Taranto, “non perché – come scrive Raimo nella prefazione – sia la capitale immorale d’Italia, con il suo buco di bilancio comunale mostruoso, i suoi record di diossina presente nell’aria, il suo mare guasto, ma perché dell’Italia è forse l’osservatorio privilegiato, il paradigma sociale e antropologico utile a capire anche ciò che accade nel resto della penisola”.
Alessandro Leogrande in “L’eterno ritorno di Giancarlo Cito” si sofferma su uno dei personaggi più effervescenti e atipici della politica nazionale. Giancarlo Cito, ex picchiatore fascista, telepredicatore televisivo, divenuto sindaco nel 1993, eletto deputato nel 1996 con 33.960 voti, pari al 45,9 % dei voti, condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa, con conseguenti quattro anni di carcere scontati dal 2003 al 2007. Sino alla sua ricomparsa, pochi mesi prima delle elezioni comunali più delicate nella storia della città di Taranto, le prime dopo il dissesto finanziario da 800 milioni di euro prodotto dalla gestione scriteriata della precedente giunta. Con 40 chili in meno ed una Laurea in scienze giuridiche in più, Giancarlo Cito si candida come sindaco alle elezioni del 27 e 28 maggio.
Il resto è storia nota, Cito viene fermato dai giudici, ma candida al suo posto il figlio Mario, il quale è il primo candidato sindaco a prendere il 20,2 % dei voti senza pronunciare nemmeno una parola. La campagna elettorale viene monopolizzata dal padre. È vero, Mario Cito non è stato ammesso per il rotto della cuffia al ballottaggio. È vero, le elezioni sono state vinte dal Ippazio Stefàno, rappresentante della sinistra massimalista, ma At6 è il partito che ha ottenuto più suffragi in città e, soprattutto, è tornato a vele spiegate il citismo, ossia un populismo in grado di intercettare “la pancia del degrado, la fine del sogno industrialista, il terrore dell’inquinamento industriale che si volta in malattia, nello sterminio lento e inesorabile di una parte della città”.
Cito è tornato, quindi, e, conclude Leogrande: “Se non sono le moderne consorterie legate al porto e all’industria, sarà (a prendere il potere) ancora una volta una nuova forma di berlusconismo meridionale. E se non prevarranno né gli uni né gli altri, tornerà ancora Cito. Sempre Cito, solo Cito con i suoi fascisti da Amarcord all’assalto di una città sfibrata”.
Complementare al testo di Leogrande, come detto, è “Il mare che non c’è” di Ornella Bellucci, dove è l’Ilva di Taranto la protagonista della sua inchiesta, e le condizioni di lavoro degli operai dopo il passaggio dell’azienda nelle mani di Emilio Riva, le morti bianchi che non cessano a diminuire, i morti per cancro che a ridosso dello stabilimento assumono percentuali preoccupanti, l’emissione di diossina che supera ogni quantitativo immaginabile. Dinanzi a tutto questo schifo la bellezza del mare della città è del tutto cancellata.
È allucinante. Ma l’Italia oggi è anche questa. Da un lato la voglia di sviluppo, di rinnovarsi, di guardare al futuro, dall’altro la presenza di una mentalità arcaica, di una stasi endemica, di un’infinita irresponsabilità politica. Aprendo le pagina di “Il corpo e il sangue d’Italia” si tocca con mano l’entropia di un Paese malato da rifondare.
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