Porto: no dragaggi, no sviluppo
Michele Conte ci riceve mentre firma un documento che affida ad un suo collaboratore. “E’ una lettera al ministro Di Pietro sul raddoppio del 5° sporgente”.
Ma lo vedremo mai il secondo terminal container a Taranto?
“A mio avviso si tratta di un intervento fondamentale per lo sviluppo del porto di Taranto, soprattutto se vogliamo che questa struttura diventi volano per l’intero territorio”.
Per quale motivo?
“Innanzitutto perchè in questo modo Taranto coglierebbe in pieno le opportunità offerte dall’apertura del libero scambio nel Mediterraneo a partire dal 2010. In secondo luogo perchè è necessario creare un’alternativa al terminal attualmente utilizzato dalla Tct”.
Si parla tanto di porto, ma quest’anno come si chiude?
“Siamo in leggera flessione a causa del mancato apporto di Msc. La compagnia nel 2006 operò a Taranto per circa un mese, poi lasciò il capoluogo per i noti problemi legati alla mancanza di fondali adeguati”.
Eccoci al problema di... fondo.
Esatto. Mi sono insediato alla presidenza dell’Autorità portuale nell’aprile scorso, a giugno ho convocato il primo Comitato sui dragaggi.
Su questo problema ho scritto a tutti perchè se non lo risolviamo in tempi brevi, il porto di Taranto perderà la sua grande occasione”. A cosa sono legate le difficoltà?
“Il porto ha bisogno di fondali più profondi. I grandi operatori mondiali si stanno attrezzando con navi sempre più grandi per trasportare carichi maggiori abbattendo i costi. Se per il 2009 non saremo pronti le portacontainer da 10mila teu faranno scalo in altri porti della Spagna e dell’Egitto”. Il vero problema, però, non sono i dragaggi, ma lo smaltimento dei fanghi. “Secondo le stime del Piano operativo triennale 2008/2010, i lavori per la piastra logistica (di cui si discuterà giovedì prossimo nel corso di una conferenza dei servizi al ministero delle Infrastrutture), produrranno 1,6 milioni di metri cubi di fanghi. Le difficoltà derivano dal fatto che tutte le aree portuali sono classificate come Sin (Siti d’interesse nazionale) e quindi sono sottoposte a procedure complesse di caratterizzazione e bonifica. I tempi si allungano ed i costi salgono. Un esempio: il progetto per l’ampliamento del molo San Cataldo, era pronto già nel 2002. Per soddisfare le richieste del ministero dell’Ambiente abbiamo nuovamente istruito la pratica e se dovessimo seguire le indicazioni del ministero servirebbero 12milioni di euro per i lavori e altri 6 per bonificare tre soli punti”.
Soluzioni possibili?
“Le soluzioni ci sono. Ritornando ai fanghi della piastra logistica, si tratta al 90% di materiale incontaminato. La nostra legislazione a tal proposito presenta una dicotomia. Da un lato prevede la possibilità di refluire in mare la parte buona dei fanghi, dall’altro non c’è ancora un regolamento certo sulle modalità del dragaggio. Noi, comunque, ci stiamo attrezzando. Abbiamo pensato di realizzare una fossa di colmata a ovest di Punta Rondinella con il materiale di dragaggio. Ma l’argilla da sola non è sufficiente. Il materiale va compattato con una procedura che abbiamo personalmente testato in Finlandia. Si tratta di una tecnologia che consente in tempi rapidi la realizzazione di banchine e piazzali portuali. Abbiamo informato di ciò la Terza Sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il cui presidente ha espresso grande interesse. Tra l’altro si tratta dell’ex subcommissario del Comune, ing. Musci. Siamo i primi in Italia a progettare un intervento di questo tipo”.
Anche altri scali marittimi hanno queste difficoltà?
“Sì, ma in misura minore. Noi abbiamo possibilità che gli altri non hanno e lo dico con la consapevolezza di chi potrebbe vivere tranquillamente lasciando
le cose come stanno”.
Cioè?
“Questo porto con le attività industriali di Ilva, Agip, Cementir e con Tct sarebbe comunque il terzo d’Italia in termini di merci movimentate. Se poi avessimo detto sì al rigassificatore, saremmo diventati una sorta di emirato arabo. Invece, sono un fautore dello sviluppo e sono convinto che il porto può cambiare in meglio il profilo economico del territorio. Ma serve la volontà di tutti ed una piena unità d’intenti e di azione sugli obiettivi”.
E quali sono?
“In primo luogo il distripark, perchè è lì che si concentra la vera ricchezza. Se Taranto continuerà ad essere solo un porto hub, certamente sarà un tassello importante dell’economia, ma non ne sarà il nuovo volano. Quando ero segretario generale dell’Autorità, qualcuno propose una visita al distripark di Rotterdam. Obiettai sostenendo che quella realtà era ed è troppo lontana dalla nostra e che sarebbe stato il caso, invece, di andare a fare un sopralluogo a Nola. Il centro direzionale più grande del Mezzogiorno, è stato soprannominato il vulcano buono perchè genera attività economiche e migliaia di posti di lavoro. Il Cis ha da poco completato la piastra del freddo gestita dalla Clerici una delle maggiori realtà del settore, l’interporto di Nola si interfaccia con i porti di Gioia Tauro, Taranto, Napoli e Salerno, al suo interno sono presenti banche, utenze di vario tipo ed ipermercati”.
Bello, peccato che a Taranto il distripark sia poco più di una sigla ed una buona occasione per distribuire qualche incarico.
“Per me questo è motivo di rammarico. Siamo in grave ritardo, sono stati completati gli espropri ed è in corso la caratterizzazione dei suoli. Sia chiaro: il porto di Taranto anche senza distripark sopravvive, ma la città perderebbe la sua battaglia”.
Il Piano regolatore a che punto è?
“Ci vorranno non meno di tre anni per l’approvazione. L’abbiamo depositato al ministero delle Infrastrutture. Ora passerà all’attenzione del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, del ministero dell’Ambiente per la Valutazione d’impatto ambientale e infine della Regione Puglia. Un sentito ringraziamento va espresso al sindaco Stefano, alla giunta ed a tutto il Consiglio comunale per la rapidità con cui hanno licenziato il documento”.
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