Pet-coke, nuovo maxi sequestro
TARANTO — Nuovi importanti sviluppi nell'inchiesta partita dalla Procura della Repubblica di Taranto su un presunto giro di scarti industriali altamente nocivi. Dopo l'operazione di dicembre, sono stati eseguiti negli ultimi due giorni, su richiesta del sostituto procuratore Matteo Di Giorgio, sequestri in tutta Italia del pericoloso pet-coke, lo scarto industriale derivante dalla raffinazione del petrolio proveniente da Gela e smistato da Taranto in diverse zone d'Italia.
I sequestri infatti sono stati eseguiti dai carabinieri del Noe, con l'ausilio di personale dell'Agenzia della dogana a Taranto, nuovamente all'interno di un'area affidata dalla Italcave a un broker che commercializza pet-coke all'estero e in Italia, a Firenze, Livorno, Potenza, Salerno, e soprattutto all'Eni di Gela in provincia di Caltanisetta, dove viene prodotto ed utilizzato come combustibile per alimentare la centrale elettrica dello stabilimento. Stando a quanto trapelato, sembra che il pet-coke sequestrato a Taranto provenisse proprio dallo stabilimento di Gela, autorizzato ad utilizzare lo scarto della produzione di petrolio come combustibile da una legge regionale speciale adottata nel 2003 per evitare la chiusura dello stabilimento stesso.
Secondo la magistratura tarantina, quel coke non poteva essere messo in commercio in quanto il suo contenuto di zolfo ed altre sostanze altamente cancerogene è risultato superiore al massimo consentito dalla recente legge comunitaria convertita in decreto legislativo nel 2006. Negli stabilimenti di Gela, infatti, il coke prodotto viene trattato attraverso appositi sistemi di abbattimento dell'So2, polveri ed ossidi di azoto e stoccato con una serie di cautele quali contenitori e teli isolanti. Stando ai quantitativi mastodontici sequestrati, sembra che la Procura tarantina abbia messo le mani su un giro miliardario.
La vicenda nasce alcuni mesi fa da una lettera inviata dal sindaco Stefàno all'Arpa sulla movimentazione di pet-coke nel-l'area di Statte. Il materiale è altamente pericoloso per la salute e l'ambiente, risulta infatti composto oltre che da Ipa (in particolare benzo-pirene) anche da metalli pesanti come nichel, cromo e vanadio. Parallelamente scatta l'inchiesta della magistratura, nata paradossalmente da un'indagine fiscale.
Si scopre che il pet-coke, pur essendo un banale scarto industriale, rende molto. Qualcuno ha infatti ideato il business di commercializzarlo come fonte energetica ottenendo di fatto due vantaggi macroscopici: evitarsi il costo dello stoccaggio e smaltimento del rifiuto speciale e trasformarlo in un sol colpo in sostanza combustibile da vendere, ad un costo vantaggioso e con un'accisa altamente conveniente ad industrie cementifere e centrali elettriche disposte ad accettare il terribile impatto ambientale. Un business da miliardi di euro ma, a quanto pare, illegale.
L'indagine, che sembra prendere quindi di mira un traffico internazionale di rifiuti speciali, dovrà inoltre occuparsi delle singole responsabilità degli uomini d'affari che hanno commercializzato il pet-coke ma anche delle aziende e dei trader che lo hanno trasportato e stoccato senza la minima attenzione o autorizzazione ambientale, spacciandolo per comune carbone. Al momento non si conosce il numero degli indagati ai quali la Procura potrebbe contestare reati di traffico di rifiuti tossici, nonché violazioni di leggi in materia ambientale e fiscale. L'indagine potrebbe superare i confini nazionali
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