Operaio dell’Ilva «mobbizzato»? In sei sotto accusa
Un presunto caso di mobbing all’Ilva a quasi dieci anni di distanza dal caso della famigerata palazzina Laf, la struttura-lager in cui furono relegati i dipendenti che non accettavano il cambio di mansione e erano troppo sindacalizzati. Il pubblico ministero Vincenzo Petrocelli ha avviato un’indagine in seguito alla denuncia presentata da un operaio addetto alle pulizie industriali che lamentava persecuzioni sul luogo di lavoro. Fino a questo momento sono sei le persone inscritte nel registro degli indagati: Giovanni Carucci, dell’Ufficio Personale, e i capi reparto Cosimo Matichecchia e Cataldo Mignogna rispondono di maltrattamenti; Luca Nardelli, dell’Ufficio Personale, è accusato di violenza privata tentata e consumata; a Francesco Di Maggio, responsabile della vigilanza, sono contestati i reati di favoreggiamento e occultamento di documenti; mentre Pietro Leogrande, funzionario amministrativo, è chiamato a rispondere di favoreggiamento e inosservanza del provvedimento dell’Autorità.
Lo scorso mese di dicembre, il magistrato inquirente dispose l’acquisizione di documenti e il sequestro di un computer. L’attività investigativa proseguirà con l’interrogatorio di alcuni testimoni. Pare che altri operai abbiano segnalato vessazioni e angherie da parte dei superiori all’interno dello stabilimento siderurgico. Da parte sua la direzione dell’Ilva afferma: «Non abbiamo messo in atto alcun comportamento lesivo della dignità e dei diritti dei lavoratori. Attendiamo che la Magistratura faccia il suo lavoro, nutriamo fiducia nelle indagini e sin d’ora ci dichiariamo a disposizioni delle autorità inquirenti» .
Le vicende di mobbing all’Ilva hanno un precedente di rilievo: il processo legato al trasferimento di 70 lavoratori nella palazzina Laf (Laminatoio a freddo), una struttura ormai esclusa dal ciclo produttivo, che si è chiuso con la condanna definitiva di 11 dirigenti dell’Ilva per violenza privata e frode processuale. L’inchiesta esplose nel novembre del 1998 con il sequestro probatorio della struttura, disposto dal procuratore aggiunto Franco Sebastio. Gli imputati avrebbero avrebbero agitato lo spettro del trasferimento nella palazzina Laf ogni qualvolta il lavoratore non si piegava alle logiche aziendali.
Il professor Harald Ege, massimo esperto italiano di mobbing, ha paragonato l'assoggettamento dei lavoratori della palazzina Laf ai trattamenti «mobbizzanti», attraverso forme di violenza psicologica. Questa pratica è spesso condotta con l'obiettivo di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo all'azienda).
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