La ''maledizione'' del Pcb su Taranto
TARANTO - L'acciaieria di Taranto – denominata prima Italsider e poi Ilva – ha per molto tempo utilizzato dei trasformatori contenti Pcb (policlorobifenili). Essi sono conosciuti come i “trasformatori all'apirolio”. L'apirolio è il nome commerciale di un liquido isolante resistente al fuoco contenente policlorobifenili con o senza aggiunta di policlorobenzene. Negli Stati Uniti l'apirolio è conosciuto invece con il nome di Askarel o Aroclor. Tutte queste definizioni hanno però alla base i Pcb.
Questi sono considerati, per la loro tossicità, nei confronti dell’uomo e dell’ambiente, tra gli inquinanti più pericolosi poiché la loro grande stabilità ai diversi attacchi chimici li rende difficilmente degradabili acuendo l’effetto di bioaccumulazione negli organismi viventi.
I PCB vengono assorbiti sotto forma di vapori attraverso l’apparato respiratorio e, per contatto, attraverso la cute. E’ stato riscontrato, inoltre, anche un possibile assorbimento per via gastroenterica a seguito di ingestione accidentale o per la presenza dei composti nella catena alimentare. L’Agenzia Internazionale per le Ricerche sul Cancro (IARC) di Lione ha classificato i Pcb come probabili agenti cancerogeni per l’uomo. In Italia dal 1988 è vietata la commercializzazione e l’uso delle apparecchiature contenenti Pcb.
Francesco Maresca, ex operaio, delegato Fiom nell'Area Ghisa di Taranto, racconta: “Nello stabilimento siderurgico c'erano circa 1.200 trasformatori contenenti tonnellate di liquido chiamato comunemente 'apirolio'. Periodicamente occorreva svuotare questi trasformatori perché l'apirolio perdeva le sue caratteristiche fisico-chimiche. Non c'erano fusti di recupero di Pcb e, quando veniva sostituito nei trasformatori, il vecchio liquido veniva generalmente sversato per terra o nei tombini per lo scarico. Così finiva nelle acque di scolo. Fino alla fine degli anni '70 non abbiamo saputo nulla sulla pericolosità dell'apirolio. Poi accadde una cosa incredibile. Alcuni operai videro venire dall'esterno dello stabilimento un uomo con una tuta protettiva, sembrava un astronauta e aveva in testa una specie di scafandro. Quest'uomo 'scafandrato' disse che doveva maneggiare l'apirolio. Lo stupore fu enorme perché fino a quel momento non ci era stata fornita una simile protezione né avevamo un'adeguata informazione.
L'episodio dell'”astronauta” fece il giro dello stabilimento. Richiedemmo un incontro a livello sindacale con la direzione dello stabilimento e da quel momento in poi si diffuse la notizia che l'apirolio era Pcb ed era cancerogeno. Da allora lo svuotamento dei trasformatori con apirolio, che erano più grandi di un armadio, venne effettuato con modalità differenti e il Pcb fu portato in un'officina che svolgeva la funzione di centro di recupero. Le operazioni furono affidate a squadre specializzate che erano dotate di adeguati materiali di assorbimento nel caso in cui l'apirolio fosse caduto per terra. Ciò nonostante l'apirolio costituiva una minaccia presente fra noi e, benché fossero date le massime assicurazioni circa la sicurezza, in almeno un paio di casi i trasformatori contenenti apirolio esplosero disperdendo nell'ambiente circostante il Pcb”.
In effetti le indagini della magistratura hanno appurato tre esplosioni di trasformatori all'apirolio, precisamente il 18 settembre 1982, il 19 aprile 1992 e il 31 gennaio 1996.
Alla luce delle analisi del sangue promosse da TarantoViva, questi dati gettano un'ombra inquietante su ciò che è successo a Taranto e ulteriori ricerche dovranno chiarire se vi è una correlazione fra sversamenti di apirolio, dispersione di PCB e inquinamento del sangue. (dm)
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