Taranto e la “questione apirolio”
La recentissima notizia dei controlli sui contaminanti presenti nel gregge di pecore portato a pascolare a Statte in aree limitrofe allo stabilimento ILVA rende indispensabile, ancora una volta, capire quali e quanti inquinanti siano stati sversati negli anni nel territorio ionico. In particolare, in questo caso, l’attenzione ricade sui policlorobifenili (PCB), una classe di composti ottenuti per sintesi chimica.
I PCB sono stati utilizzati per decenni con svariate funzioni finché negli anni '70 la produzione e l’utilizzo vennero vietati a livello internazionale a causa della elevatissima tossicità.
Oggi si sa che i PCB, la cui struttura chimica è molto simile a quella delle diossine, causano nell’uomo danni al fegato, alterazioni dei sistemi endocrino e immunitario e cancro. Inoltre la natura lipofila dei PCB permette loro di accumularsi nel cibo contaminato, nel sangue e nel latte materno. Bambini nati o allattati da donne che attraverso l’ambiente o l’alimentazione erano state esposte ai PCB hanno mostrato carenze nello sviluppo mentale e motorio.
I PCB finiscono in atmosfera per volatilizzazione ed attraverso i venti possono essere diffusi per migliaia di chilometri dal luogo di origine, addirittura oltre il Circolo Polare Artico.
Il diffuso utilizzo del PCB fino ai primi anni '80 ha riguardato anche l’intera zona industriale di Taranto. In particolare occorre soffermarsi sulla “questione apirolio” all’interno dell’impianto siderurgico.
L’apirolio, noto anche come Askarel, è una miscela di policlorobifenili massicciamente utilizzata nei trasformatori elettrici per il raffreddamento e la lubrificazione. Se sottoposto a temperature elevate (800° C) volatilizza e sprigiona diossina. In una recente intervista, l’ex delegato UILM ed attuale Assessore Francesco Calcante afferma che nel 1990 c'erano 986 trasformatori con 1800 tonnellate di apirolio, mentre nel 1979 i trasformatori erano di più e l'apirolio era quasi il doppio.
Questo dato è confermato da Francesco Maresca, ex operaio, delegato Fiom nell'Area Ghisa di Taranto, che racconta: "Non tutto il PCB che veniva sostituito nei trasformatori era poi smaltito attraverso i fusti di recupero. Una certa parte, soprattutto i volumi ridotti, veniva sversata in tombini per lo scarico o, addirittura, per terra. Così finiva nelle acque di scolo. Fino alla fine degli anni '70 non abbiamo saputo nulla sulla pericolosità dell'apirolio".
I dottori Giua e Spartera, consulenti della magistratura tarantina, hanno potuto appurare che tra il 1982 e il 1996 si sono verificati diversi eventi di rotture, corti circuito e di esplosioni di trasformatori ad apirolio. Questi eventi avevano provocato l'esposizione dei lavoratori ai PCB e la loro dispersione nell'ambiente.
Consultando i dati di emissione contenuti nel registro INES dell’APAT, inoltre, si può stimare che lo stabilimento ILVA di Taranto nel 2005 abbia immesso in aria oltre il 10% dei PCB prodotti in tutta Italia nello stesso anno.
E’ di meno di un mese fa la notizia del divieto di vendita del latte prodotto nella Centrale di Brescia per la contaminazione da PCB e diossine. La causa della contaminazione pare essere la dieta degli animali, foraggiati con mangimi coltivati a poca distanza dal locale inceneritore ed in prossimità del sito dove operava la Caffaro, unica ditta italiana a produrre PCB. I terreni circostanti l'area-Caffaro sono oggi altamente contaminati e circa il 90 % della produzione di PCB/apirolio della Caffaro è arrivato a Taranto per le locali esigenze industriali.
Controlli dell’ARPA Puglia effettuati su terreni prelevati ai Tamburi, al Cisi e a Statte mostrano livelli di contaminazione da PCB elevatissimi ma, come accade per la diossina emessa dai camini dell’ILVA, rientrano negli attuali limiti di legge italiani, che risultano decine di volte superiori a quelli europei.
Il problema della contaminazione da PCB nella filiera agroalimentare è, quindi, cruciale anche a Taranto. Diversi studi scientifici del CNR di Taranto hanno mostrato un’elevatissima contaminazione da PCB dei sedimenti marini, che pone Taranto tra le aree maggiormente contaminate del Mediterraneo. Questo comporta gravi pericoli per gli ecosistemi marini e per il consumo di prodotti ittici, se non controllati accuratamente.
Inoltre, nel mese di gennaio il Comitato per Taranto ha inviato una raccomandata A.R. alla PARMALAT SpA, perché, sul latte conferito alla Centrale del latte di Taranto, di cui è proprietaria con il marchio FIORE, effettui immediatamente e renda pubblici almeno gli stessi autocontrolli che vengono fatti nella Centrale di Brescia relativamente a diossine e PCB. I prelievi vanno eseguiti da personale di ARPA Puglia e gli esami svolti presso laboratori certificati.
Alla luce della superficialità con la quale per anni si è sversato apirolio nei canali di scolo, nei terreni e in mare, il Comitato per Taranto chiede alle Autorità preposte di procedere a tutti i controlli necessari per valutare i livelli di contaminazione da PCB nell’area ionica e la corretta applicazione delle procedure di smaltimento dell’apirolio tuttora presente nell’area industriale. Inoltre si chiede che per il nostro territorio, già dichiarato ad alto rischio ambientale, vengano applicati limiti più restrittivi, che tengano realmente conto della salute delle persone, e che si definiscano al più presto gli interventi di bonifica dei siti inquinati, come l’ex Matra a Statte.
Per il COMITATO PER TARANTO
Giuseppe Cicala
Salvatore De Rosa
Giulio Farella
Francesco Maresca
Alessandro Marescotti
Luigi Oliva
Antonietta Podda
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