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Inquinamento, trent’anni di indagini e inchieste

Diossina nel sangue. E ora?

TarantoViva ha presentato i risultati dell’esperimento condotto su dieci tarantini. Acceso dibattito tra Stefàno e il direttore dell’Arpa Assennato. le tessere della vertenza ambientale ci sono tutte, dai dati sanitari a quelli ambientali ora bisogna iniziare a comporre il mosaico. Fare ordine, costruire una rete, giocare in squadra sembra facile ma nn lo è
10 febbraio 2008
Fonte: Corriere del Giorno

- Un anno fa, era il 13 febbraio del 2007, i vertici dell’Ilva furono condannati in primo grado per inquinamento ambientale. Un processo costruito faticosamente, vista la complessità della materia, attraverso perizie e acquisizione di documenti. I pubblici ministeri Franco Sebastio, procuratore aggiunto, e Alessio Coccioli, illustrarono in una lunga e articolata requisitoria modalità e conseguenze dei reati contestati all’imprenditore Emilio Riva e al direttore dello stabilimento siderurgico tarantino Luigi Capogrosso.

Ieri il procuratore aggiunto Franco Sebastio, intervenuto durante il dibattito insieme al sostituto procuratore Antonella Montanaro, ha ricordato che quella requisitoria fu tenuta in un’aula vuota. Un vuoto che ancora oggi pesa sulla coscienza di chi, accettando di firmare un atto d’intesa che prevedeva il ritiro o la non costituzione di parte civile da parte di Regione, Comune e Provincia nei processi contro la grande industria, ha privato la città del diritto di essere rappresentata e di chiedere un adeguato risarcimento per il danno che ha subìto e che continua subìre.

Volendo fare i conti fino in fondo, Sebastio ha anche sottolineato che il pool di magistrati impegnati nella lotta all’inquinamento si costituì 30 anni fa e che la prima sentenza contro “una grande industria” per sversamenti di sostanze tossiche in Mar Grande risale al ’79, mentre la prima sentenza legata allo spargimento di polveri provenienti da camini e parco minerali della stessa “grande industria” è datata ’82.

A distanza di 26 anni anni da quel verdetto, tutto è drammaticamente attuale, come se il tempo fosse passato invano. Sentenza dopo sentenza, perizia dopo perizia, dibattimento dopo dibattimento, perchè qui si parla di reati che si perpetuano nel tempo e non danno tregua.

La platea e attenta e i magistrati affondano il colpo. “Perchè nessuno viene a dare un’occhiata alle nostre perizie?” Già, perchè ogni volta sembra che si debba ricominciare da zero quando c’è chi da 30 anni è impegnato su questo fronte ed è riuscito a dimostrare, superando indenne tre gradi di giudizio, che l’Ilva inquina?

Su consulenze tecniche affidate a fior di periti che hanno clamorosamente smentito i dati forniti dagli organi istituzionali di controllo si è soffermata la dott.ssa Montanaro la cui convinzione è che solo attraverso una costruttiva opera di collaborazione si possano raggiungere risultati di rilievo.

“Noi interveniamo quando il reato è già stato consumato e in più di qualche occasione abbiamo percepito un clima non propriamente favorevole nei nostri confronti”. Può sembrare paradossale ma è così, perchè quando si palesa il rischio che un giudice possa ordinare la chiusura di un impianto dannoso per la salute pubblica qualcuno si affretta ad agitare lo spauracchio dei posti di lavoro che si perdono in una città già disperata. Come se il diritto alla salute e alla vita fosse una merce di scambio, da mettere sul piatto della bilancia nelle contrattazioni, magari non al primo posto.

Una logica che finora ha creato solo guasti. Un chiaro segnale di questa stato di cose è che su questo terreno le istituzioni, magistratura da una parte enti locali, nazionali e regionali dall’altra, hanno proceduto su binari paralleli, spesso molto distanti tra loro. Forse è venuto il momento di farli convergere in una direzione comune.

luisa.campatelli@corgiorno.it

Due gruppi di persone, ciascuno di cinque unità. Gruppo A: età media 75 anni, nessun fumatore, nè occupati in attività a rischio. Gruppo B: età media 61 anni, quattro fumatori, un caso di esposizione professionale. Questi dieci volontari sono stati sottoposti a prelievi ematici per misurare la presenza di diossina nel sangue.

Nel primo gruppo i valori di diossina nel sangue sono risultati pari a 81,82. Nell’altro a 49,62. Se questi fossero dati statisticamente rilevanti, i livelli riscontrati nel sangue dei volontari che si sono sottoposti all’esperimento, sarebbero quattro volte superiori a quelli accettati e condivisi dalla comunità scientifica internazionale.

E’ questo l’esito dell’esperimento condotto da TarantoViva e presentato ieri mattina nel corso di un incontro svoltosi nel Salone degli Specchi di Palazzo di città. La relazione è stata svolta dal dottor Mario Collura il quale si è soffermato anche sui devastanti effetti della sostanza cancerogena sulla salute dell’uomo.

Il senso dell’indagine di TarantoViva “Diossina Uomo Taranto”, è stato riassunto in termini corretti da Stefano Raccanelli, direttore dell’Inca di Venezia. “I dati ottenuti – ha detto - non devono creare allarme, ma essere di stimolo per indagini statistiche”.

Lo spirito con cui si sono mossi Mario Collura, Roberto Petrachi, Girolamo Albano e tutti gli altri è esattamente questo. Dispiace che, nonostante la sentita e numerosa partecipazione, nessuno dei rappresentanti istituzionali intervenuti abbia colto questo aspetto: dal sindaco, al direttore generale dell’Arpa, ai rappresentanti della sanità pubblica. Peccato! Resta quello che Petrachi, in apertura dell’iniziativa svoltasi nel Salone degli Specchi, ha definito “un atto d’amore verso Taranto e verso i tarantini, un amore per la città che TarantoViva e altre associazioni presenti sul territorio hanno scelto di declinare non in proclami e atti d’accusa, ma attraverso la conoscenza dei problemi, attraverso un approccio sistemico, scientifico e divulgativo al tempo stesso a quella che è la questione ambientale tarantina”.

Cosa ha fatto questa associazione costituita da tarantini che non vivono nella nostra città? Ha fatto esaminare dai laboratori dell’Inca di Venezia i campioni ematici di dieci tarantini al fine di misurarne i valori di diossina nel sangue. I risultati, per quanto statisticamente e scientificamente confermano che Taranto ha un problema di esposizione a pericolosi agenti inquinanti. Sostanze i cui effetti si ripercuotono sulla salute dei lavoratori delle grandi industrie (lo ha sottolineato Maurizio Sarti di Legambiente) e sugli abitanti della città come ha testimoniato il dottor Patrizio Mazza, primario ematologo dell’ospedale “Moscati”. Dai dati in suo possesso, riferiti al decennio 1997/2007, i casi di tumore ematologici a Taranto sono stati 823, con un incidenza maggiore nelle zone Borgo e Tamburi e con una tendenza all’abbassamento dell’età media: da 64 nel 2001 a 56 nel 2007. “Si tratta comunque di un dato parziale - ha spiegato lo stesso Mazza - perchè considera solo pazienti afferiti all’ambulatorio che abbiano una documentazione diagnostica di malattia oncologica ematologica: Leucemie, Linfomi e Mielomi per oltre il 90%. Mancano pazienti mai afferiti all’ambulatorio perché deceduti prima o perché seguiti altrove”.

Al di là delle validazioni statistiche che, tra l’altro non competano ad un’associazione ambientalista, alla domanda che aleggiava con insistenza tra le poltroncine in velluto del Salone degli Specchi: che fare? nessuno ha offerto una risposta convincente. Anzi, i principali garanti della salute pubblica, il sindaco Ippazio Stefàno e della tutela dell’ambiente, il professor Giorgio Assennato, direttore generale dell’Arpa, si sono affrontati in singolar tenzone rinfacciandosi reciproche inadempienze.

Il primo cittadino ha ammesso di aver telefonato agli istituti di ricerca di tutta Italia per chiedere conferme sulla relazione tra esposizione alla diossina e tumori, senza ricevere risposte. Assennato gli ha ricordato l’esistenza del registro tumori per il periodo ’99/2001. Stefàno ha presentato come un successo gli impegni dell’Ilva su “impatto zero emissioni dalle batterie di cokeria entro il prossimo agosto e di riportare la diossina entro nei livelli fissati dall’Unione europea entro il 2009”.

Assennato lo ha smentito affermando che “pur in presenza di qualsiasi intervento migliorativo, l’impatto zero è impossibile da raggiungere in in impianto come la cokeria”. Presi dalla contesa dialettica entrambi, seppure con toni diversi, hanno finito per sminuire la portata del lavoro condotto da TarantoViva. Assennato ha ricordato come da 30 anni si occupa di problemi ambientali, Stefàno ha rinvangato la sua tesi di laurea nel ’70 sull’aumento delle neoplasie polmonari nelle città industriali, Assennato ha annunciato di aver speso 400mila euro per uno spettrometro ad alta definizione per analizzare gli agenti inquinanti, il dott. Scarnera ha enunciato gli studi condotti dall’Asl Ta/1.

Insomma le tessere della vertenza ambientale ci sono tutte, dai dati sanitari a quelli ambientali, ora bisogna iniziare a comporre il mosaico. Fare ordine, costruire la rete, giocare in squadra. Sembra facile, ma non lo è.

michele.tursi@corgiorno.it

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