«Cacio alla diossina, specialità di Taranto»
Taranto come Seveso, anzi peggio. La quantità di diossina emessa dallo stabilimento siderurgico dell'Ilva in 45 anni di attività è pari al doppio di quella fuoriuscita nel disastro del 1976 nel centro brianzolo. E l'aumento dell'incidenza dei tumori nella zona ne è la triste conferma.
E' l'allarme lanciato da Peacelink che ha fatto analizzare un campione di formaggio locale per dimostrare come la diossina entri facilmente nella catena alimentare. I risultati, che si annunciano sconcertanti, saranno resi noti in una conferenza stampa in programma domani alla sede della Uil del capoluogo pugliese. «Taranto è la città coi peggiori dati sull' inquinamento e anche quella dove è più difficile diffonderli», ci dice il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti.
Già nel 2005 Peacelink, sulla base di dati del 2002, aveva denunciato una situazione disastrosa di cui prima nulla si sapeva. Proprio in seguito a quella campagna lo scorso giugno l'Arpa (Agenzia regionale protezione ambiente) ha fatto i primi rilevamenti e l'allarme è risultato ancora più serio. Secondo le stime dell'Arpa nell'ultimo mezzo secolo a Taranto è stata liberata una quantità di diossina pari a 119 grammi all'anno. Una quantità smisurata, aggravata dal fatto che è avvenuto tutto nella totale inconsapevolezza degli abitanti. «Il silenzioso e costante rilascio di diossina è in realtà peggiore rispetto a fuoriuscite acute e massicce, nel cui caso vengono adottate misure d' intervento eccezionali per correre ai ripari. Ma contro l'assunzione e l'esposizione costante e inconsapevole non c'è rimedio», continua Marescotti.
Negli ultimi anni le emissioni industriali di diossina in Italia sono diminuite in seguito alla chiusura di alcuni stabilimenti. Ma i camini dell'Ilva hanno continuato senza sosta a sputare diossina, in controtendenza rispetto agli altri paesi europei, che hanno adottato misure per la limitazione delle emissioni. Dal 2006 l' Austria ha stabilito un massimo di 0,1 nanogrammo a metro cubo. Idem la Germania. In Inghilterra il limite è a 0,2. In Olanda oscilla fra 0,4 e 0,1, a seconda degli impianti.
L'Italia, semplicemente, non ha adottato nessun tipo di limitazioni. Anzi, come colpo di coda a fine legislatura, il governo Berlusconi nel 2006 ha approvato una legge per cui i numeri esorbitanti delle emissioni dell'Ilva risultano «a norma». E se a Taranto vige la regola della «diossina libera», lo stesso non vale per Trieste, dove c'è un impianto uguale che deve però sottostare alle dure direttive europee. Un'anomalia che Marescotti spiega così: «Il Friuli Venezia Giulia confina con l'Austria, dove il limite tollerato è molto basso, e l'Austria produce i migliori impianti di monitoraggio delle emissioni di gas tossici. Essendo la diossina un inquinante transfrontaliero c'è il rischio che l'Austria chieda i danni all'Italia».
Grazie alla salvaguardia del formaggio austriaco, dunque, i friulani possono dormire sogni tranquilli. «Alla conferenza stampa di domani interverrà anche un rappresentante del mondo dell'agricoltura, in modo da rafforzare una lotta comune per individuare rimedi all'ingresso della diossina nella catena alimentare. Lo scopo è quello di scongiurare una spaccatura tra produttori e consumatori», dice il presidente di Peace Link aggiungendo che «le misure più urgenti sono un controllo permanente 24 ore su 24, 365 giorni all'anno per rientrare nelle norme europee», l'individuazione di suoli a rischio dove sconsigliare, se non vietare, il pascolo, e l'impegno ad alimentare il bestiame che si trova nelle zone a rischio con cibo "pulito"».
L'importanza di simili misure è dimostrata dal fatto che solo il 2% della diossina viene introdotta nel corpo umano per inalazione. Il restante 98% entra attraverso i prodotti alimentari. Da uno studio su dati americani e svedesi riportato in «La laguna ferita» (2003), la classifica degli alimenti attraverso cui si ingerisce diossina vede latticini al primo posto (21%), pesce e molluschi di acqua dolce al secondo (16%), seguiti da latte (16%), manzo (14%), pesce di mare (7%), altre carni (6%), maiale(5%), uova (4%). Una stima tarata sulla dieta americana media, che però dà l'idea della portata del problema.
Ma dagli stabilimenti dell'Ilva non esce solo diossina: qualche giorno fa la magistratura di Taranto ha archiviato la denuncia dell'Ilva contro Peacelink, Comitato per Taranto e Uil per la diffusione dei dati sulle sue emissioni di mercurio. Nella motivazione dei magistrati si legge che «la notizia di reato è infondata. I chiarimenti forniti dagli indagati appaiono pienamente condivisibili in punto di fatto e di diritto e si evince la volontà di rendere edotta la cittadinanza in relazione a un tema, inquinamento ambientale, di notevole interesse pubblico».
Nell'articolo di oggi del Manifesto a p. 10 ("Cacio alla diossina, specialità di Taranto") ci sono alcune imprecisioni nel corpo del testo.
- Si legge (prima colonna) che la "quantità di diossina emessa dallo stabilimento dell'Ilva in 45 anni di attività è pari al doppio" di quella fuoriuscita a Seveso. La frase è della giornalista. Per la precisione l'Ilva comincia come società a gestire l'acciaieria di Taranto nel 1995 mentre prima il centro siderurgico era "Italsider" ed era a partecipazione statale.
- Si legge (seconda colonna) che per la diossina l'Italia "non a adottato nessun tipo di limitazioni". La frase è della giornalista. Per la precisazione l'Italia ha adottato delle limitazioni per le emissioni di diossina per gli impianti di agglomerazione come quello dell'Ilva. Ma tale limitazione è di 10000 nanogrammi a metro cubo di diossine calcolate in "concentrazione totale". Tale valore è molto alto e contrasta con la limitazione a 0,1 nanogrammi a metro cubo (in tossicità equivalente) per gli inceneritori e a 0,4 nanogrammi a metro cubo (in tossicità equivalente) per l'impianto di agglomerazione di Trieste, dove viene applicata la normativa europea. Pur essendo non comparabili direttamente la "tossicità equivalente" con la "concentrazione totale", rimane il fatto che il limite di 10000 nanogrammi a metro cubo per gli impianti di agglomerazione dei cicli siderurgici costituisce un valore enormemente più alto rispetto allo 0,4 "europeo" di cui sopra.
- PeaceLink ha fatto analizzare un solo campione di formaggio.
- Nell'occhiello dell'articolo il Manifesto riporta
L'associazione Peacelink ha fatto analizzare dei campioni e ora denuncia: colpa dei veleni dell'Ilva. «A Trieste non è così, l'Austria tutela i suoi formaggi»
PeaceLink non ha dichiarato "colpa dei veleni dell'Ilva". Pertanto chiediamo - ai fini di una reciproca tutela - una rettifica dell'occhiello dell'articolo in cui si legge: "L'associazione PeaceLink ha fatto analizzare dei campioni e ora denuncia: colpa dei veleni dell'Ilva". Nel virgolettato attribuito ad Alessandro Marescotti non compare infatti questo genere di dichiarazione.
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N.B. Per tale ragione nella versione web di questo articolo abbiamo deciso di non inserire, nell'apposito spazio, l'occhiello originario del Manifesto.
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