Diossina, nè allarmismi nè omissioni
Prudenza, sia chiaro. Gli allarmi infondati non servono a nulla. La confusione, si sa, non è un buono sfondo per decisioni efficaci. Diossina. E’ questo l’ennesimo pericolo dell’aria contro il quale si trovano a combattere i tarantini. Non che gli altri siano stati sconfitti (polveri sottili, idrocarburi policiclici aromatici), ma questo, insieme ai suoi parenti stretti del Pcb, ha la capacità di insinuarsi nella catena alimentare, rendendo più temibile l’aggressione all’ambiente ed alla salute. Proprio per questo bisogna andarci piano.
Fare i controlli necessari, le verifiche incrociate per circoscrivere eventuali zone a rischio, senza danneggiare settori importanti come la zootecnia e l’industria della trasformazione del latte. Le tematiche ambientali hanno conosciuto una stagione di rinnovato interesse nell’ultimo decennio. Riva, strumentalmente, fa coincidere l’impennata ambientalista con la privatizzazione avvenuta nel ’95 ma, a nostro avviso, l’arco temporale va spostato al 2000/2001.
A quel biennio risalgono tre importanti documenti di altrettante Istituzioni: la Procura della Repubblica, l’ex Presidio multizonale di prevenzione ed il Comune di Taranto. Brevemente. A novembre del 2000, il coordinatore del Pmp di Taranto, Nicola Virtù segnala alla Regione Puglia la massiccia fuoriuscita di emissioni inquinanti diffuse dalle batterie 3,4,5,6 della cokeria Ilva ed indica quali possibili soluzioni, il fermo delle batterie o il loro rifacimento.
A dicembre dello stesso anno, sulle scrivanie di Governo, Regione, Enti locali arriva la lettera del procuratore Aldo Petrucci e dell’aggiunto Franco Sebastio che riferisce la conclusione della maxi perizia svolta dalla Procura di Taranto da cui emerge una preoccupante situazione della qualità dell’aria. Dai magistrati giunge un chiaro monito: “Comportamenti omissivi da parte di chi ha la titolarità di poteri di intervento, possono acquisire rilievo penale”.
A febbraio del 2001, il sindaco Rossana Di Bello firma la storica ordinanza di chiusura delle batterie 3, 4, 5, 6 della cokeria Ilva. Otto anni fa a suonare l’allarme e ad assumere i provvedimenti necessari furono le istituzioni deputate al controllo, alla repressione ed all’amministrazione.
Si trattò di un’azione efficace abilmente insabbiata nei meandri di protocolli, autorizzazioni e atti d’intesa. Nel 2007, dopo oltre quaranta anni di siderurgia, scoppia il caso diossina. A parlarne per primo è Alessandro Marescotti rivelando fonti ufficiali (il registro Ines) da cui risulta che oltre il 90% della diossina emessa in Italia proviene dallo stabilimento Ilva di Taranto.
E’ la scoperta dell’acqua calda, solo che nessuno prima di Marescotti ci aveva infilato il dito. Nè fino ad allora, alcun organo di controllo, aveva informato l’opinione pubblica sull’esistenza di questo ennesimo allarme ambientale. Le prime versioni dell’atto d’intesa non ne fanno menzione. Solo sulla scorta delle pressioni ambientaliste, la Regione Puglia, ha inserito nel documento la campagna di rilevazioni sull’Agglomerato 2 effettuata nel giugno scorso dall’Arpa e ripetuta a fine febbraio.
A gennaio 2008, TarantoViva rende noti i risultati delle analisi compiute su dieci tarantini volontari. Nel loro sangue la presenza di diossina è elevata. Alla provocazione di TarantoViva nessuna autorità risponde formalmente avviando o, quantomeno, annunciando una campagna di monitoraggio su larga scala della popolazione. Trascorrono pochi giorni e Peacelink rivela un altro caso: il formaggio locale con valori di diossina e pcb tre volte superiori alla norma. L’associazione investe la magistratura che dispone una serie di controlli. L’esito è quello comunicato l’altro ieri nella conferenza dei servizi svoltasi alla Regione Puglia.
Nel 2001 si attivarono i sensori istituzionali, nel 2008 quelli della cosiddetta società civile. Ecco, ci piacerebbe che d’ora in poi funzionassero entrambi. Lo ripetiamo: nessun allarme. Ma evitiamo pure la politica dello struzzo. Comprendiamo la prudenza, ma non la sordina di fronte a problemi reali. “Comportamenti omissivi da parte di chi ha la titolarità di poteri di intervento, possono acquisire rilievo penale”. Quel monito è sempre valido.
Latte: nuovi prelievi
Il Dipartimento di prevenzione dell’Asl ha avviato un’indagine negli allevamenti ovicaprini a pascolo presenti nell’area considerata ad elevato rischio ambientale
Sono state avviate già da due giorni le verifiche, da parte del Dipartimento di prevenzione dell’Asl di Taranto, negli allevamenti ovicaprini presenti sul territorio tarantino. L’indagine sui campioni di latte si è allargata ad un’area più vasta a ridosso della zona industriale, in cui si pascolano greggi di pecore e capre. La serie di controlli, scattata subito dopo la conferma, giunta dall’Istituto Zooprofilattico di Termoli della presenza di tracce di diossina, nonchè di policlorobifenili i cosiddetti pcb, in un campione di latte (prelevato dall’Asl in un’azienda di allevamento di ovicaprino a Statte) usato a scopo zootecnico e l’incontro urgente svoltosi a Bari tra i massimi vertici regionali, dell’Arpa e del Dipartimento di prevenzione dell’Asl ionica, ha portato al prelievo di altri campioni di latte di capre e pecore.
Si tratta di nove aziende in tutto. Negli allevamenti presenti nei territori di Taranto, Statte, Massafra, Crispiano e Montemesola (area ad elevato rischio ambientale) sono stati prelevati campioni, ciascuno pari ad un litro, di latte di capra e pecora. Tre prelievi sono stati effettuati venerdì, gli altri sei ieri mattina. I prelievi sono poi stati inviati, dal Dipartimento di prevenzione di Taranto, in parte all’Istituto Zooprofilattico di Foggia ed i restanti in quello di Lecce. Entrambi sono centri che rientrano nel Consorzio Interuniversitario Nazionale la Chimica per l’Ambiente (Inca) e specializzati nell’analisi per verificare l’eventuale presenza di diossina o pcb in animali da allevamento ed i prodotti da essi derivati.
“Si tratta di controlli precauzionali - tiene a precisare il dottor Michele Conversano dirigente del Dipartimento di prevenzione dell’Asl di Taranto - necessari per monitorare e fare chiarezza sulla situazione. I nuovi campioni di latte sono tutti provenienti da aziende di allevamento ovicaprino che producono in proprio ed in maniera artigianale latte e formaggio. Quasi tutte queste aziende sono produttrici di carne, non sono autorizzate a vendere i derivati del latte e lo stesso latte, ma solo carne. Il latte ed i formaggi vengono invece utilizzati per uso personale o per nutrire capretti ed agnelli”.
Intanto dopo il vincolo sanitario, emesso in forma precauzionale nei confronti della prima azienda zootecnica in cui è stato trovato latte con valori di diossina superiori ai limiti di legge, lo stesso provvedimento è stato imposto dall’Asl ad altre due aziende. Gli allevatori non potranno vendere nè carne nè latte e derivati. Proprio perchè si tratta di disposizioni precauzionali, il dottor Conversano tiene a tranquillizzare i cittadini. “Evitate inutili allarmismi. I consumatori possono stare tranquilli perchè le verifiche e le analisi del caso si stanno facendo, la situazione è sotto controllo.
Se ci saranno risultati positivi alla diossina avvertiremo immediatamente così come provvederemo a disposizioni in merito esattamente come prevedono precise norme sanitarie”. La tranquillità, secondo il dirigente del Dipartimento di prevenzione, è confermata anche dal fatto che le aziende di allevamento di bovini non sono ritenute a rischio “in quanto non a pascolo ma alimentate con mangimi, tra l’altro supercontrollati dopo il caso della ’mucca pazza’, sia alla fonte che qui da noi. Tali tipi di alimenti destinati ai nostri bovini non provengono dal nostro territorio, ma da fuori”.
I latticini che giungono sui banchi alimentari sono inoltre prodotti con latte bovino, proveniente per la maggior parte dalle Murge, da alcuni allevamenti di Castellaneta e Martina Franca. A questi particolari va aggiunto che pecore e capre, in alcune delle aziende sottoposte ai controlli dell’Asl di Taranto, sono alimentate con pascoli limitati, ovvero con mangimi in quanto restano nella zona dell’ovile e che quindi non sono al momento ritenute a rischio. La diossina ed i pcb prodotti dalle industrie presenti a Taranto verrebbero, secondo gli esperti, ingerite dagli animali attraverso i pascoli presenti nelle zone ritenute inquinate.
“I controlli li stiamo effettuando anche in zone più lontane da quella industriale - aggiunge Conversano - Stiamo procedendo secondo cerchi concentrici dove sappiamo essere presenti allevamenti ovicaprino note ai nostri veterinari perchè con animali a pascolo”. I risultati dei nuovi campioni di latte dovrebbero giungere fra qualche giorno. “Stiamo insistendo affinchè gli esiti vengano resi noti il prima possibile. Ci siamo affidati ai centri di Lecce e Foggia anche perchè lavorano in queste giornate di festa - dichiara Conversano - e perchè ci hanno assicurato che ci consegneranno i risultati degli esami massimo entro giovedì”.
Ed in questa settimana anche la Centrale del Latte sarà sottoposta a verifiche. Si tratterà di effettuare ulteriori accertamenti visto che la Centrale del Latte fa autocontrolli e che il latte che giunge in tale struttura viene controllato in laboratori accreditati. “Al momento abbiamo preferito compiere verifiche nelle aziende più piccole con ovicaprini che vanno a pascolo libero e dove non c’è autocontrollo e quindi generalmente meno controllate - asserisce il dirigente del Dipartimento dell’Asl - Alla Centrale del Latte, da quello che mi dicono i veterinari che stanno eseguendo questi controlli, arriva latte da grosse aziende con animali non a pascolo”.
A prescindere dai risultati degli esami sulla presenza di diossina e pcb sul latte prelevato in questi giorni nelle 9 aziende tarantine, saranno effettuati ulteriori verifiche in altre aziende. “Il prelievo dei campioni è limitato numericamente perchè i laboratori sono oberati di lavoro e non possiamo inviare loro più di un certo numero di campione di latte”.
Controlli sui terreni e sulla vegetazione verranno invece effettuati dall’Arpa a partire da martedì. Questo tipo di verifiche potrebbero, tra l’altro, anche portare a capire la provenienza delle sostanze inquinanti. L’Arpa monitorerà una zona più vasta e prevede di prelevare circa 150 campione di terreno da sottoporre ad accurati test di laboratorio.
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