«Uccide di più il silenzio dei politici che la diossina»
Eppur si muove. Si muove qualcosa a Taranto sulla gravissima situazione ambientale. Le associazioni di volontariato nelle ultime settimane hanno dato una scossa non indifferente denunciando una preoccupante presenza di diossina non solo nel sangue di 10 tarantini ma anche in un pezzo di formaggio prodotto in aree vicine alla zona industriale; promuovendo un referendum consultivo sulla presenza dell’Ilva nella nostra città; sfilando con un lungo corteo di protesta la mattina del 29 marzo per le vie del Borgo, per la prima volta nella storia cittadina.
Intanto la stampa nazionale (‘Famiglia cristiana’) e la televisione hanno ‘scoperto’ il caso Taranto. E dopo il Maurizio Costanzo Show del 2 febbraio altre trasmissioni sono seguite sui canali Rai ( ‘Sabato e domenica’ ) e Mediaset (‘Le Iene’ del 28 marzo).
Le istituzioni dal canto loro non mancano di sottolineare il proprio impegno. Ma siamo ancora al tempo delle denunce, delle indagini, degli accordi e delle promesse. Per cui in realtà nessun risultato concreto abbiamo al momento ottenuto perché, se pur con un maggiore impegno, la questione ambientale viene pur sempre affrontata come un fatto di ordinaria amministrazione.
Nessuno vuole porre in dubbio la buona volontà del sindaco Stefàno, impegnato a far sì “che nei prossimi mesi le emissioni delle batterie dell’Ilva saranno ridotte a zero”, o del governatore Vendola che, incontrando i ‘Bambini contro l’inquinamento’, ha promesso: “il 21 marzo del prossimo anno o brinderò con voi perché abbiamo raggiunto obiettivi significativi o sarò con voi a fare barricate”. Ma – ahimè - i tempi della politica non sono i tempi della salute. E sono proprio i tempi lunghi della politica a far sì che tutto resti come è. Questi tempi lunghi, fatti di accordi, protocolli, promesse, incontri, rimpalli di responsabilità, non solo giovano all’industria, ma nemmeno lasciano le cose come stanno: le peggiorano. E per non continuare a peggiorare c’è una sola via d’uscita: gli interventi immediati.
Dieci mesi? Un anno? Ma signori politici, ci sapete dire quanto tempo occorre, ad esempio, per scrivere una legge di 20 parole che dica che “Su tutto il territorio italiano le emissioni di diossina non possono essere superiori al limite fissato dall’Unione europea?”. Riteniamo che 24 ore siano più che sufficienti per varare una legge di questo tenore.
I tempi della salute, ripetiamo, non sono i tempi della politica. E a Taranto è già, e non da ora, emergenza. Emergenza non è solo conseguenza di un fatto improvviso come un terremoto o un’alluvione ma anche di una situazione creatasi nel tempo e cronicizzata, come nel caso di Taranto. E come tale va affrontata seguendo strategie diverse e parallele. Quali?
Primo: che l’intera città si mobiliti, sotto la spinta delle associazioni di volontariato, incrementando all’inverosimile quel movimento di popolo appena abbozzato con la manifestazione del 29 marzo che ha visto la partecipazione solo di una piccola parte della città, e soprattutto del mondo scolastico. Mancano ancora all’appello diverse istituzioni fondamentali. Mancano le famiglie; mancano i lavoratori; manca la chiesa locale che pure dovrebbe essersi sentita personalmente interpellata già da tempo (vent’anni!) dalla denuncia di Giovanni Paolo II del 29 ottobre 1989.
Non sarà facile unire la città perché di fatto a Taranto viviamo, a tutto vantaggio dell’industria inquinante, una sorta di ‘guerra fra i poveri’ fra coloro che, per difendere strenuamente il proprio posto di lavoro, rinunciano al proprio diritto alla salute e coloro che, a causa dell’inquinamento, si ammalano perdendo il loro posto di lavoro e muoiono.
Il mondo del volontariato ha molto da fare perché nessuno, proprio nessuno, manchi all’appello. La città non può permettersi il lusso di dividersi su un tema così scottante. “Un popolo unito non sarà mai vinto” cantavano gli Intillimani nel Cile degli anni ’70.
Secondo: se di emergenza si tratta, la mobilitazione contro l’inquinamento non può non essere quotidiana, assidua, straordinaria, così come avviene quando si verificano improvvise calamità naturali.
Terzo: creare una rete fra tutte le città più inquinate d’Italia, in modo da usufruire delle altrui esperienze (come già è avvenuto con Venezia) e avere più forza nelle contrattazioni col Governo e con l’industria.
Quarto: chiedere a tutte le istituzioni - dal Comune alla regione, al nuovo Governo - la stessa celerità legislativa e di intervento che si ha in occasione di un evento calamitoso. Così come, all’indomani di un terremoto, viene emanata una legge speciale, vengono stanziati finanziamenti speciali, vengono inviate forze speciali coordinate dalla Protezione civile, per Taranto dovremmo aspettarci dalle istituzioni lo stesso impegno immediato e determinato, perché l’evento calamitoso c’è, si è già verificato, e nessuno finora ha mosso un dito.
‘Uccide di più il silenzio dei politici che la diossina’ era scritto su uno striscione sorretto da un gruppo di studenti lungo il corteo del 29 marzo.
Forse i politici hanno interrotto il silenzio e hanno iniziato a parlare. Ma se continuano a muoversi coi tempi lunghi con cui finora si è mossa la politica, non ci resta che denunciare, con l’amaro in bocca, che ‘mentre Roma discute, Sagunto brucia’.
La sezione Ail di Taranto
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