Misure anti-veleni: chi mette i soldi?
Bisogna ritornare sulla manifestazione di sabato 29 marzo a Taranto per ridurre l'impatto ambientale, organizzata dall'associazione «Bambini contro l'inquinamento» guidata dal Dottor Merico. Perché? Per la ragione che nel documento consegnato alle Autorità - se da un lato si rivendica con forza l'accelerazione di tutti gli interventi aziendali e istituzionali per contenere le emissioni nocive - dall'altro non si chiede la chiusura del-l'Ilva, o della sua area a caldo, come invece proposto da un altro gruppo (ristretto) di rappresentanti della società civile che vorrebbero raccogliere firme per l'indizione di un referendum (consultivo) sull'argomento.
E' un gesto di saggezza quello degli organizzatori della manifestazione, cui peraltro non hanno partecipato operai, o almeno quelli con le tute verdi del Siderurgico, ma solo i dirigenti sindacali di Fiom. Fim e Uilm che, pur condividendo le parole d'ordine del corteo, hanno tuttavia affermato testualmente «Chi dice di voler chiudere l'Ilva non offre alcuna prospettiva alla città. Senza industria, il Sud e Taranto non hanno futuro». Né adulti, né bambini, aggiungiamo. E' bene che tutti ne prendano atto (per sempre) perché chi tentasse di imporre la dismissione della fabbrica, dovrebbe scontrarsi con la marea umana di oltre 13.000 tute verdi che questa volta - insieme ad impiegati, dirigenti, quadri e dipendenti dell'Ilva e delle aziende dell'indotto - manifesterebbero con ben altra forza rispetto a quella tenera e gentile dei bambini.
Allora, si venga al merito del problema. Il presidente Vendola è stato chiaro, senza indulgere ad estremismi antindustrialisti, cui è notoriamente allergico: bisogna pervenire subito alla sottoscrizione congiunta fra Istituzioni e aziende di un accordo di programma per la rapida definizione delle necessarie autorizzazioni integrate ambientali. Bene.
Ma non sfugge a nessuno che tutti gli interventi tecnologici da completarsi per abbattere le emissioni nocive nei vari stabilimenti hanno costi che non possono essere posti a carico solo dei bilanci delle aziende che dovrebbero realizzarli, perché esse - già gravate da costi più elevati di energia, lavoro e trasporti - devono poi competere con concorrenti di Paesi ove sono quasi inesistenti determinate sensibilità ecologiche.
Allora la Regione - che rischia entro l'anno di restituire all'Unione Europea quasi 500 milioni di euro dei fondi 2000-2006 non investiti dall'Acquedotto pugliese per responsabilità di chi dovrebbe essere individuato e sanzionato - non potrebbe destinare, nel rispetto dei regolamenti comunitari, una somma almeno pari a quella, a valere sui fondi 2007-2013 per co-finanziare i costosi investimenti per ridurre l'impatto delle grandi fabbriche sull'ecosistema ionico?
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