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«I militanti a sinistra fanno autocritica»

Dopola débacle elettorale dell’Arcobaleno, abbiamo ascoltato gli umori della base: i militanti fanno autocritica. Ecco la classe operaia che non vota più a sinistra e che ha paura del Cavaliere.
16 aprile 2008
Michele Tursi
Fonte: Corriere del Giorno

Sinistra L'Arcobaleno Nell’ultimo film di Virzì “Tutta la vita davanti”, un sindacalista della Cgil rimpiange i tempi in cui gli operai partecipavano ai cortei con il panino con la frittata e “se toccavi uno, toccavi tutti”. La realtà del 2008 è ben diversa. “Durante il volantinaggio davanti alle fabbriche, i giovani operai ci hanno snobbato. Quando gli abbiamo parlato di reddito e di ambiente ci hanno riso in faccia facendoci notare che con il centrosinistra al governo, per loro non è cambiato nulla”.

Schietto e sincero. Come “lu miero” della sua terra. A parlare è Giovanni Pompigna, sindacalista per vocazione. Di sinistra, a prescindere. Dategli un padrone contro il quale scagliarsi e sarà contento. Per uno come lui, cresciuto nel consiglio di fabbrica della Belleli, che si è defilato pure dalla giunta Stefàno, la Sinistra fuori dal Parlamento è un colpo al cuore. Ma ormai è andata. Guai a fermarsi. “Le responsabilità sono dei gruppi dirigenti, a tutti i livelli - afferma - perchè non hanno saputo cogliere le esigenze della gente.

La Sinistra è rimasta vittima della paura di far cadere il Governo, anche se poi ci hanno pensato Dini e Mastella a liquidare Prodi”. Su tutto incombe il peccato originale di Fausto Bertinotti aggrappato allo scranno più alto di Montecitorio. “Da lì - spiega Pompigna - è cominciata l’ambiguità dei partiti di sinistra”, più interessati “alla politica internazionale, all’indulto ed alle coppie di fatto, piuttosto che ad abrogare la legge 30, ad aumentare il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni. Questo si doveva fare”.

Ora la Sinistra raccoglie i cocci e tenta di ripartire. “Se vogliamo ricominciare - continua - i gruppi dirigenti di Rifondazione, Pdci, Verdi, Sd devono andare a casa è costruire un soggetto unico che intercetti le necessità della gente. Non è possibile rappresentare allo stesso tempo la Marcegaglia e gli operai”.

Francesco Maresca recentemente approdato in Sinistra Critica, conosce la fabbrica, la città e soprattutto la politica militante. Senza esitazione parla di “venti mesi di insipienza governativa” di un partito, Rifondazione, “stampella del Governo”. Anch’egli punta il dito su Bertinotti e sulla sua parola d’ordine: non fare cadere Prodi. Questo accadeva a Roma. A Taranto, “il gruppo dirigente locale ha molto trascurato la fabbrica”, in cui nel frattempo contratti di formazione lavoro e di ingresso “hanno contribuito ad addomesticare i giovani operai. Le aziende hanno avuto molto tempo per modellare i propri dipendenti per cui alla fine ne paga le conseguenze la Sinistra. I provvedimenti varati da questo e dagli altri governi dell’Ulivo hanno prodotto un corto circuito tra classe operaia e partiti di Sinistra, soprattutto tra le nuove generazioni dove peschiamo meno.

Ci sono una serie di aneddoti sui dirigenti di Rifondazione sonoramente contestati dinanzi ai cancelli della Fiat. Questo dà il senso di come si sia recisa un’arteria che portava linfa alla Sinistra, soprattutto a quella comunista”. E ora? “Tenteremo la ricostruzione della Sinistra anticapitalista. Occorre ripartire da una piattaforma credibile per i ceti subalterni come si chiamavano una volta: operai, disoccupati, donne. E poi bisogna ritornare davanti alle portinerie delle fabbriche, nei mercati a parlare con la gente. Se non lo faremo la Sinistra avrà altre grandi delusioni, a cominciare dalla tornata elettorale del prossimo anno”. Nell’Arcobaleno c’è anche un’anima verde. E sui temi dell’ambiente Taranto vive una nuova primavera.

Alessandro Marescotti, esponente di Peacelink, tra gli ispiratori del Comitato contro il rigassificatore non nasconde “una forte delusione nei confronti dell’azione della Regione Puglia specie in ordine a certi atteggiamenti assunti dall’assessore all’Ecologia Losappio. Sul rigassificatore i partiti dell’Arcobaleno che siedono in Provincia non hanno risposto alle nostre sollecitazioni. E’ grave, inoltre, che nonostante le nostre pressioni il governo Prodi non abbia abbassato il limite di emissioni di diossina. I movimenti non si sono sentiti ascoltati e questo spiega il crollo dei consensi”

È un divorzio. Anche se c’è chi spera in una separazione momentanea. La classe operaia, quella che per il regista Elio Petri "non va in paradiso" non recita il de profundis per i post comunisti non entrano in Parlamento. Il motivo ci vuole poco a scoprirlo e lo rivelano gli stessi operai: la sinistra radicale italiana è troppo distante e ’astratta’ dai reali problemi degli operai.

Il divorzio sembra consensuale: nelle liste della Sinistra Arcobaleno trovare un operaio vero, di quelli che alle 6 del mattino sono già in fabbrica, chiusi nella tuta in un posto utile era cosa ardua. Insomma se gli operai non piangono la sinistra è perché si sentono traditi.

Insomma, le tute blu dell’Ilva, il giorno dopo lo spoglio dei voti, non piangono la scomparsa della falce e del martello: al cambio turno, al portone D dell’acciaieria più grande d’Europa quelli che sfilano per prendere servizio si aspettavano che prima o poi la sinistra avrebbe pagato il suo essere stata più nei salotti televisivi che ai cancelli delle fabbriche. Eppure, a far paura alle tute blu sono anche le promesse del cavaliere e il trasformismo del Pd.

"O con la sinistra o senza la sinistra al Parlamento è sempre l’azienda che comanda", spiega Giovanni. "Già prima non stavamo bene, sia la sinistra che i sindacati sono stati assenti sui nostri problemi. Ma non penso che sia positiva l’uscita dal Parlamento italiano della sinistra. Ora che Camera e Senato sono in mano a chi rappresenta solo i padroni le cose potranno peggiorare per noi".

Al centro delle preoccupazioni degli operai i salari bassi, il calo del potere d’acquisto, tasse troppo alte e pensioni, questioni per le quali -per gli ascoltati - la sinistra e i sindacati hanno fatto ben poco. Tanto più quando si parla di stipendi da 1.200-1400 euro al mese compresi gli straordinari. Le diffidenze degli operai verso il centrosinistra hanno trovato conferme nelle Finanziarie "lacrime e sangue" del governo Prodi. Già quella del 2007 conteneva un taglio di 5 punti del cuneo fiscale, cioè del costo del lavoro.

Il taglio che doveva favorire sia aziende che i lavoratori, ma che per i secondi fu assorbito dalla revisione delle aliquote Irpef. Se si aggiungono addizionali comunali e regionali scattate nel 2007 nei mesi del Governo Prodi le condizioni di vita dei dipendenti privati sono considerevolmente peggiorate. "Chi è ora al potere - dice Rosario - è un imprenditore e farà gli interessi degli imprenditori come lui e non degli operai: le cose ora, per noi operai, cambieranno in peggio. Non che in passato siano state migliori, la sinistra e i sindacati non hanno mosso un dito per noi.

In molti, poi, anche tra di noi operai, hanno creduto alle parole di Berlusconi che ha raccolto il malcontento”. “Nel futuro - conclude - vedo a rischio le pensioni, penso che il prossimo governo innalzerà l’età pensionabile". Per gli operai con più anzianità, con più esperienza e che hanno lavorato in fabbrica anche negli anni 70 la scomparsa della sinistra rischia di riportare i manifestanti in piazza e l’esplosione del terrorismo.

"La scomparsa della sinistra avrà effetti gravi sulla classe operaia. Ma anche sulla società italiana, c’è il rischio concreto che torni il terrorismo", spiega Gaetano D’Ambrosio. Mentre per Giovanni, operaio con 26 anni di iscrizione al sindacato, la sinistra non è scomparsa "quanto è accaduto non è la fine della sinistra. Se cambierà il sistema elettorale ci sarà un ritorno dei partiti post comunisti. Il voto di domenica e lunedì scorsi è una punizione per i politici e i sindacalisti che ci hanno venduto ai padroni".

A contribuire alla debacle per Andrea è l’alleanza con i Verdi di Pecoraro Scanio. "Chi - rileva Andrea - avrebbe voluto votare la sinistra sa che avrebbe anche votato per i Verdi, i quali preferirebbero vedere le fabbriche chiuse che per noi operai sono comunque fonte di salario". Non c’è fiducia neanche nel Partito democratico: "Il Pd non mi dà fiducia, ha abbandonato la sinistra e ha rinnegato le sue origini". Per altri il ritorno del governo di centrodestra metterà a rischio le garanzie per i lavoratori.

"Non ci sarà più la sinistra a contrapporsi alle modifiche peggiorative per noi operai. Il nuovo governo metterà mano all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (licenziamenti per giusta causa) e alle pensioni, peggiorando la nostra situazione". Per chi, tra gli operai, ha sempre votato a destra la vittoria elettorale della Pdl porterà importanti novità nel mondo del lavoro.

"Bisogna far governare Berlusconi per tutto il mandato, solo così l’Italia potrà uscire da questo momento di difficoltà". In chiave locale "l’elezione di Stefàno è stata dettata dall’onda emotiva. Taranto è oramai una città di destra e il sindaco deve trarre le considerazioni di questo voto". Ma per un altro operaio, Berlusconi avrebbe dovuto evitare di strumentalizzare la questione Alitalia in campagna elettorale. "Al governo di centrodestra devo dire grazie per i mille euro che mi ha dato per la nascita di mia figlia, ma non lo reputo serio. Però sulla questione Alitalia il cavaliere non si è comportato in modo esemplare: ha promesso in campagna elettorale di risolvere la crisi dell’azienda con una cordata di imprenditori che invece non esisteva".

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