Più casi di autismo in 10 anni, inquinamento nel mirino
Ci potrebbe essere una correlazione tra inquinamento dovuto a diossina ed anche ai metalli con una serie di patologie. Non solo tumori e malformazioni, ma anche stati di irrequietezza, disturbi d’apprendi -
mento e autismo. L’ipotesi lanciata qualche tempo fa dalla rivista scientifica «Lancet» ha un passaggio tutto tarantino. In una città caratterizzata da un elevato inquinamento da diossina, abbondantemente
prodotta proprio qui, sono in aumento i casi riconducibili all’autismo.
«In un decennio sono raddoppiati: quelli in carico del servizio pubblico
sono al momento 146, in un’età compresa dai 0 ai 16 anni (la diagnosi viene fatta in genere intorno ai due anni), prevalentemente di genere maschile. Erano la metà dieci anni fa», dice Salvatore Pignatelli, direttore dell’Area dell’età evolutiva del Dipartimento di assistenza e riabilitazione dell’Asl.
I dati sono stati presentati nel corso del convegno «La sindrome autistica: nuove prospettive nell’ottica del recupero del malato» organizzato dall’Associazione di volontariato «Comitato Montanari Puglia», che propende per una spiegazione metabolica della patologia più che per una spiegazione genetica. E che fornisce un proprio dato ancor più allarmante:
l’incidenza di questa patologia sarebbe passata da uno su 2.500 casi a uno su 150.
Dal canto suo, Pignatelli invita ad usare molta cautela ed a fornire il proprio dato invocando un approfondimento ed una riflessione. «Abbiamo bisogno di certezze e non più di speranze - dice -. La riabilitazione non è miracolosa. Forse la dieta potrebbe essere più importante, se le cause fossero realmente queste». C'è un quesito di fondo: «Ci chiediamo: l’aumento di casi che noi registriamo è dovuto al fatto che c'è una conoscenza maggiore del problema? Che se parla di più? Che ci sono più adeguati strumenti diagnostici? O c'è un aumento effettivo? E se così, perché?»
La tesi sostenuta ed illustrata da Massimo Montinari, funzionario della Polizia di Stato, già ricercatore presso il Policlinico di Bari, che lavora in sinergia con alcuni ricercatori statunitensi ed ha fornito la propria documentazione al ministero della Salute, porta a riconoscere la causa della patologia in una alterazione della barriera ematoencefalica dovuta agli accumuli nel corpo umano di metalli, mercurio, diossina.
Tale barriera, infiammandosi a causa di tali veleni, perderebbe la propria funzione protettiva modificando il metabolismo attraverso una riduzione dell’apporto di ossigeno. Nell’organismo si creerebbe, dunque, una situazione di intossicazione, una reazione autoimmunitaria. Benefici deriverebbero anche da una dieta che libera l’organismo da alcune sostanze tossiche persino come il glutine (in questi soggetti sarebbe riscontrata anche una alterazione infiammatoria a livello intestinale).
«Una qualche intuizione sul fatto che l’inquinamento centri qualcosa in queste patologie probabilmente c'è, ma su questa pista - dice Pignatelli - occorre ancora lavorare molto e fare ricerca. Ripeto: noi riabilitatori partiamo da un dato quotidiano: i casi sono raddoppiati. Ma ora occorre un approfondimento scientifico. Dobbiamo andare avanti perché abbiamo bisogno di certezze».
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