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«Taranto Futura» impugnerà al Tar l’accordo di programma

Ieri il secondo giorno di protesta dopo la morte dell’operaio albanese che
lavorava in una ditta dell’appalto. L’associazione ambientalista «Taranto Futura» impugna al Tar l’accordo di programma sul risanamento del quartiere Tamburi firmato alla Regione Puglia
25 aprile 2008
Fulvio Colucci
Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno

- Sciopero generale di 24 ore ieri all’Ilva. A dichiararlo le segreterie di Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm Uil. E’ la «replica» allo stop di mercoledì alle attività delle ditte dell’appalto e del Laminatoio a freddo, dopo la morte dell’operaio albanese martedì scorso. I sindacati si dichiarano soddisfatti dell’adesione dei dipendenti Ilva allo sciopero (circa il 70 per cento). Intanto l’associazione «Taranto Futura» ha annunciato che impugnerà al Tar l’Accordo di programma per il risanamento dei Tamburi.

E’ stato di nuovo il giorno della protesta, della rabbia, del dolore. Senza cedimenti e nella massima compostezza toccava ai lavoratori dell’Ilva «gridare» basta dopo il volo mortale che ha spezzato la vita di Gjoni Arjan, operaio della ditta «Pedretti Montaggi» all’interno del reparto Laminatoio a freddo. Fuori i cancelli dello stabilimento si è ripetuta la consueta liturgia: bandiere e striscioni intrisi di brezza lieve e fredda nell’alba rossa dell’Ilva; ragazzi, tanti, troppi, che correvano svelti: pugni in tasca e zaini in spalla, sguardi gettati di sbieco ai padri che restavano lì a ciondolare come vessilli di un malessere. Dentro il pensiero fisso alla comandata.

L’Area ghisa e gli altoforni hanno marciato comunque per garantire la produzione. E’ stato il secondo atto di una mobilitazione iniziata mercoledì mattina dai lavoratori delle ditte dell’appalto e dai dipendenti dell’Ilva che operano nell’area del Laminatoio a feddo. Ventiquattro ore di sciopero spalmate sui tre turni.

Ieri la replica. Alle agenzie di stampa e agli organi di informazione sono stati forniti numeri precisi: almeno il 70 per cento delle maestranze impegnate nel primo turno - e che dovevano trovarsi all’interno dello stabilimento alle ore 7 - ha aderito allo sciopero. Una adesione che richiama alla mente, se confermata nei fatti, gli scioperi imponenti dell’era pubblica Italsider, certificando la presa sui lavoratori del messaggio lanciato dai sindacati: la sicurezza nell’ambito degli appalti va tutelata attraverso il ricorso stabile a ditte e lavoratori «certificati», senza il frenetico turn over che finisce per penalizzare la formazione e, quindi, la conoscenza degli impianti da parte degli stessi dipendenti.

Questa posizione, nella giornata di martedì, è stata al centro dell’incontro fra i sindacati confederali: Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm Uil e la dirigenza dell’Ilva. Un incontro ritenuto «insoddisfacente» dagli stessi rappresentanti dei lavoratori (come ha riferito alla “Gazzetta” il segretario della Uilm Uil Rocco Palombella) e che ha puntellato le ragioni della protesta. Secondo alcune indiscrezioni, però, lo sciopero di ieri dei lavoratori Ilva ha rappresentato soprattutto un segnale preciso di vicinanza lanciato dagli operai del siderurgico ai compagni di lavoro dell’indotto.

Le cifre dello sciopero proclamato lunedì all’interno dell’area Laminatoio a freddo non sarebbero state esaltanti e così, dentro il sindacato, qualcuno avrebbe spinto perché ci fosse una più ampia mobilitazione ed un maggiore coinvolgimento del personale alle dipendenze del Gruppo Riva. Sarà stato così? Anche i dubbi restano appesi ai cancelli dell’Ilva.

Sarà impugnato al Tar l’accordo di programma tra Regione Puglia, Ilva, Cementir, Eni, Comune e Provincia di Taranto, ministero dell’Ambiente, Arpa Puglia per il conseguimento dell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) da parte delle industrie. Contestati la mancata partecipazione della popolazione e delle associazioni ambientaliste, la falsità di presupposto, la violazione del principio di precauzione. Il ricorso sarà presentato la settimana prossima al Tar di Lecce.

Ad annunciare il ricorso alla magistratura amministrativa a poco più di una settimana dalla firma dell’accordo, definito storico dagli amministratori locali perché rende vincolanti le intese per la riduzione dell’inquinamento industriale e per l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, è stato ieri il portavoce del Comitato Referendario per la tutela della salute e del lavoro «Taranto Futura», Nicola Russo. E’ lo stesso comitato che ha messo in pista il referendum per chiedere lo smantellamento dell’Ilva o, in alternativa, di parte della fabbrica (area a caldo) con contestuale bonifica e rioccupazione in attività alternative per i lavoratori. «Contestiamo tre punti dell’accordo - dice Russo - e su questi articoleremo il ricorso».

Primo punto. Non sono state sentite le persone fisiche, le associazioni, non è stata consentita la partecipazione del pubblico, come invece previsto dalla convenzione di Aarhus, ratificata in Italia nel 2001. Va data l’informativa nei termini giusti, tutto questo non è avvenuto, dice Russo.

Secondo punto: la falsità di presupposto. Russo spiega il termine tecnico: «L'accordo di programma richiama agli atti di intesa sottoscritti dal 2003 al 2006 con gli enti territoriali e finanziati con 56 milioni di euro che sono stati, però, revocati da una delibera regionale dell’ottobre 2007». Insomma, i fondi non ci sono più e l’accordo non si poteva fare. Questa è la falsità di presupposto.

Terzo punto, quasi una duplice questione: c'è un motivo di legittimità ed una violazione del principio di precauzione. Dice Russo: «L'accordo non poteva prevedere una dilazione di 300 giorni per l’ottenimento dell’autorizzazione. Ma nel caso di industrie siderurgiche e a causa delle emissioni di diossina, occorre la Vas (Valutazione ambientale strategica), di competenza della Provincia, di cui l’Aia è propedeutica. Il 31 marzo 2008 era il termine ultimo per ottenere l’Aia, in vista della Vas».

Cosa sarebbe stato inoltre violato? Qui Russo chiama direttamente in causa l’Arpa (Agenzia regionale di protezione ambientale) che sta monitorando le emissioni di diossina. «L'Arpa - dice Russo - ha accertato valori che superano i limiti europei, non quelli nazionali. Doveva comunque provvedere a questa situazione ed intervenire immediatamente in quanto c'è una situazione di pericolo di inquinamento». Russo cita a questo punto sia il Codice ambientale (il decreto legislativo 152 del 2006) ed il protocollo Aarhum del 1998 «che dice che ogni anno occorre ridurre i parametri della diossina, e di altri inquinanti ben individuati attraverso strumenti di controllo e interventi di ordinaria manutenzione, individuati con precisione anch’essi. Chiederemo al Tar - conclude Russo - di disapplicare la norma nazionale ed applicare la disposizione comunitaria. C'è il primato di quest’ultima sulla norma nazionale».

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