Benvenuti al rione Tamburi, il più inquinato d'Italia
BARI - Tamburi è il quartiere più inquinato d’Italia, peggio, forse è “il più inquinato”, e basta. E’ un quadro drammatico quello che emerge durante i lavori del convegno “Taranto sotto la lente” che si è tenuto ieri nell’abito di Mediterre, la fiera dei parchi de mediterraneo che si svolge a Bari. A lanciare l’allarme sono le relazioni dei ricercatori e dei professori universitari. Relazioni lontane dalle affermazioni sensazionaliste della politica e della protesta di piazza e proprio per questo ancora più inquietanti. Tra gli obiettivi a breve termine dell’Arpa, l’agenzia regionale che ha organizzato e promosso il convegno, c’è quello di mettere ordine nei rilevamenti effettuati.
“Stiamo effettuando – ha spiegato a margine dell’incontro il professor Giorgio Assenato, direttore dell’Arpa Puglia - una ricognizione dei monitoraggi effettuati, da cui provengono già indicazioni molto forti sulla necessità di ridurre le emissioni. Per proporre delle soluzioni – ha proseguito - c’è la necessità di individuare con precisione chi inquina e in quali percentuali. Questo si potrà fare in modo completo solo quando sarà creato un centro di ricerche permanente su Taranto, che garantisca un monitoraggio costante”.
Nei grafici di Sitcos, progetto di rilevamento durante il quale sono state effettuate tre campagne di monitoraggio nella città di Taranto, i livelli campionati tra il 2003 e il 2006 di benzo(a)pirene (l’esposizione alle miscele IPA comporta un aumento dell’insorgenza del cancro, soprattutto alla presenza di benzo(a)pirene) nella città dei due mari sono i più alti in assoluto tra quelli della città monitorata. La quantità rilevata dalla cabina di via Orsini (quartiere Tamburi) in alcuni casi è molte decine di volte superiore a quella presente in altre città d’Italia, d’Europa e del mondo.
Usando una scala che va da uno a dieci, lo studio mette in evidenza che il 6 aprile 2003 città come Firenze, Ravenna, Catania, Bologna registravano valori di gran lunga inferiori a uno, e città quali Padova, Verona, Venezia, Viterbo, Milano, Roma superavano di poco la prima tacca, in via Orsini (Taranto) arrivava a 10. Un altro picco si è registrato il 27 febbraio del 2006, quando i valori dell’inquinante ha raggiunto quota 9, mentre nelle altre città italiane si manteneva ben al di sotto della prima tacca.
Tamburi è la realtà più inquinata anche nel confronto con megalopoli mondiali. Nel raffronto con Chicago (USA), Hong Kong, Santiago (Cile), San Paolo (Brasile), Los Angeles, Houston (USA), Brisbale (Australia), Atene (Grecia), Spagna, Menen (Belgio) è ancora il quartiere tarantino ad avere la peggio. Diversa la situazione in via Dante (a circa cinque chilometri dalla zona Industriale) dove i valori sono di media superiori a quelli delle altre città italiane e straniere monitorate, ma di gran lunga inferiore a quella di via Orsini.
Taranto, così, non è da considerarsi come un’unica realtà. Ad avere la peggio è il popoloso quartiere nato a ridosso dell’acciaieria per offrire posti letto agli operai. Bisogna arrivare in Pakistan per trovare fonti di inquinamento così importanti vicino a quartieri densamente abitati. Per Gianluigi de Gennaro del dipartimento di Chimica dell’università di Bari, ci sono “Alcune criticità ineluttabili”. “Non c’è una qualità dell’aria come quella dei Tamburi in nessuna parte di Italia, è incredibile”, dice il ricercatore dopo aver presentato lo studio dei dati rilevati durante il progetto Sitcos. Anche il paragone tra il rione di Servola (Trieste) e quello dei Tamburi non regge. Nel quartiere triestino non c’è la stessa densità di popolazione che si registra ai Tamburi”.
Per de Gennaro ci sono delle criticità su cui si potrebbe già agire da domani. “Il problema delle polveri e dei metalli nell’aria del quartiere Tamburi è legato ai parchi minerari. Il problema Ipa (idrocarburi policiclici aromatici) è legato alle Cokerie”, rileva con chiarezza il ricercatore. “Ci sono pochissime realtà che utilizzano fasi a caldo come quelle usate dall’acciaieria a Taranto, bisogna andare in Pakistan o in Polonia per trovare realtà uguali”. E’ da quasi 10 anni che istituzioni scientifiche ed organi di controllo presentano risultati così eclatanti su Taranto.
“Gli sforzi – mette in evidenza la ricerca presentata da de Gennaro - e le risorse per il controllo aumentano sempre di più blandendo un ‘accanimento diagnostico’ e confermando puntualmente la stessa prognosi. Per quanto altro tempo dovremo, magari con approcci diagnostici sempre più raffinati, continuare a monitorare una malattia così conclamata? Forse si pensa di compensare con maggiori attenzioni una carenza di terapia?” “Per quanto altro tempo – si chiedono i ricercatori che hanno partecipato al progetto - i cittadini di Taranto dovranno essere indebitamente esposti a sostanze certamente cancerogene a concentrazioni largamente eccedenti il valori obiettivo di qualità previsti dalle normativa vigente? Ed a fronte di quale beneficio in termini di qualità della vita dovranno continuare a vivere nella ‘città necessaria’?”
E’ tempo insomma di proporre soluzioni. Di positivo c’è che come mai in questo periodo, anche grazie alle proteste di masse e al ruolo delle associazioni ambientalistiche il mondo politico sta prendendo cognizione del problema. Nella speranza che per Taranto non valga quanto sostiene Al Gore in merito all’inquinamento globale: “Adesso non possiamo attendere oltre per porre fine a questa crisi. Disponiamo di tutti gli strumenti necessari, a eccezione forse di uno solo: ciò che ci manca è la volontà politica necessaria ad influenzare realmente un cambiamento. Ma grazie a Dio, in una democrazia qual è la nostra, la volontà politica è una risorsa rinnovabile”.
Al termine del convegno si è tenuta la tavola rotonda moderata dal collega Michele Tursi. All’incontro, hanno preso parte tra gli altri, l’assessore all’Ecologia regionale Michele Losappio, l’assessore all’Ambiente del Comune di Taranto Ferdinando Romeo, il rettore dell’Università di Siena Silvano Focardi, il prof. Michele Giugliano del Politecnico di Milano e Federico Valerio dell’Istituto Tumori di Genova. Ha concluso i lavori il direttore dell’Arpa Giorgio Assennato. Nell’ambito della tavola rotonda l’assessore Losappio ha ribadito la posizione già assunta secondo cui se l’Ilva non rende note tempistiche e modalità dell’abbattimento della diossina la Regione non lascierà all’azione l’autorizzazzione integrata ambientale. La stessa posizione ha preso anche il Comune di Taranto.
Entro un anno la mappa dei tumori della città
Potrebbe essere pronta nel giro di un anno la stesura del registro epidemiologico dei tumori con i casi suddivisi per quartieri. Un lavoro che già da ora ha un esito atteso, quasi scontato: più ci si avvicina all’area della grande industria e più è alta l’incidenza. “Abbiamo un problema specifico a Taranto che riguardano alcune patologie come il tumore al polmone – ha spiegato al Corriere la dottoressa Lucia Bisceglia, dell’Arpa Puglia -. E man mano che ci avviciniamo all’area industriale i casi aumentano. Stiamo svolgendo un progetto in cooperazione con l’Asl e nel giro di un anno avremo una mappatura dei casi di tumore divisi per quartiere”.
Lo studio presentato durante i lavori del convegno “Taranto sotto la lente” dal medico riguarda i casi di tumore professionali. “In questo caso abbiamo registrato tra i dipendenti dell’Ilva una forte valenza professionale nei casi di tumore ai polmoni”, ha detto Bisceglia la quale ha condotto una ricerca sulla valutazione dell’esposizione ad Ipa dei lavoratori della cokeria di Taranto attraverso tecniche di monitoraggio biologico Nello studio sono messi in evidenza i soggetti più a rischio: i valori salgono vertiginosamente per i lavoratori addetti ai coperchi della cokeria, più fortunati coloro che lavorano alla caricatrice.
Ma peggio dell’inquinamento può fare solo la paura, quella causata dalla notizia di diossina nel latte materno. “Noi dell’Arpa abbiamo tentato di fare chiarezza sulla tematica, bisogna distinguere tra l’informazione e l’allarmismo – ha chiarito il medico.
Ingenerare paure non fa bene. Con questo non voglio dire che il ruolo delle associazioni non è valido, forse se non fosse stato per loro non si sarebbe mai arrivati ad un interessamento politico al problema. Ma le informazioni che vengono diffuse devono essere gestite, deve essere spiegato alla popolazione il risultato”
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