Ivo Allegrini, Taranto Sera e le consulenze per ILVA
E’ il veleno del momento. Le diossine hanno superato per notorietà persino il famigerato Pm10, fino a un anno fa l’incontrastato mostro delle battaglie contro l’inquinamento. Oggi è cambiata la situazione mediatica. Il Pm10 ha ceduto il passo ai veleni che riportano alla memoria la tragedia di Seveso. E così le diossine le vediamo dappertutto. Come un incubo che ci perseguita. Dappertutto, anche nel latte materno. Ivo Allegrini è il direttore dell’Istituto per l’Inquinamento Atmosferico del Centro Nazionale Ricerche. Un’autorità sull’argomento e con il Cnr segue anche le campagne di monitoraggio sui camini dell’Ilva.
Professore, le diossine ci perseguitano. Ora abbiamo scoperto che ci sono anche nel latte materno. A Taranto abbiamo tolto il sonno alle mamme che allattano
«Oggi abbiamo mezzi di indagine così sensibili che rilevano tracce anche infinitesimali di sostanze. Ricordate? Un anno fa accertammo la presenza di cocaina in atmosfera a Roma e a Taranto, ma solo perché in queste due città c’erano gli strumenti di rilevamento. Se avessimo fatto le analisi in una qualsiasi altra città avremmo trovato anche lì tracce di cocaina. Il problema è valutare se la presenza di queste sostanze è tale da procurare allarme».
Come si fa a compiere queste valutazioni? A Taranto si è fatto clamore per le “mamme al veleno”, salvo poi dire che il latte materno è sempre meglio di quello artificiale, anche quando contiene tracce di diossine.
«Appunto. Una valutazione ha valore se si riesce a collegare la qualità e la quantità di queste sostanze in relazione ai danni che possono provocare. Non basta dire “ho identificato la molecola”. Certo, questa è una informazione utile, ma presa in sè può portare l’opinione pubblica e gli organi di decisione a cavalcare emergenze che possono indurre anche ad errori grossolani».
Trib. monocratico Taranto, sent. n° 408 del 20.4.2007 - Est. Martino Rosati Impp. Riva Emilio ed altri
.......................
2.2. - Su richiesta delle difese degli imputati rispettivamente interessate, invece, hanno reso testimonianza od esame le seguenti persone, alle udienze e sui temi per ciascuno sommariamente indicati:
* ud. 9.10.2006: dr. Gian Paolo TALPONE, dirigente amministrativo dell’”Ilva s.p.a.”, sulle cariche ricoperte dagli imputati Claudio ed Emilio Riva, Capogrosso e Pensa all’interno dell’organizzazione aziendale, nonchè sui poteri e le competenze loro attribuiti dallo statuto e dagli altri atti normativi interni;
prof. Ivo ALLEGRINI e prof. Vito FOA’, consulenti tecnici nominati dalla difesa dei predetti imputati durante la perizia eseguita su incarico del G.i.p.;
prof. Pierluigi GIACOMELLO ed ing. Lucia FRASCAROLI, consulenti tecnici della difesa degli imputati Moroni ed Elefante, a confutazione delle circostanze e delle valutazioni di ordine tecnico evidenziate dai periti del G.i.p. e sottese alle imputazioni a costoro elevate; ....(segue)
«Se assumiamo diossine col cibo, va individuata l’origine del cibo. La globalizzazione ci costringe a fare i conti con problematiche di questo tipo, ecco perché è necessario quantificare il rischio e verificarne l’origine. Proprio come si fa con il Pm10: prima si misura, poi si confronta con i parametri e, se è superiore ai limiti, se ne verifica l’origine e poi si interviene. Questo è un modo corretto di procedere». Ha parlato di globalizzazione: anche l’inquinamento va visto sotto un’ottica più ampia? «Le diossine le studiamo anche sugli orsi polari. Dobbiamo cambiare la filosofia dell’approccio all’ambiente. Abbiamo una infinità di dati a disposizione, ma sono tutti raccolti senza alcuna base di progetto. Sono stati raccolti in luoghi diversi, con metodologie diverse e con strumenti diversi».
Come bisognerebbe procedere allora?
«Serve un progetto per l’acquisizione dei dati, quindi verificare la portata del rischio e infine assumere decisioni precise sulle modalità di intervento. Fino ad oggi è mancata una strategia, perché abbiamo sempre agito sulla spinta delle emergenze, delle mode, dell’emotività del momento. E’ mancata la continuità nel tempo di scelte strategiche».
Questo in generale. E per Taranto?
«Taranto merita un’analisi ambientale seria. Bisogna ragionare secondo logiche che abbiano uno sviluppo decennale ed è all’interno di una programmazione di prospettiva che vanno inseriti i dati e fatte delle scelte. Altrimenti avremo risultati importanti ma poco utili. L’Italia è ai primi posti per il valore scientifico delle sue istituzioni, ma agli ultimi per capacità di utilizzare la ricerca».
Perché oggi si parla tanto di diossine?
«Forse perché le persone ritengono che gli inquinanti convenzionali siano già oggetto di attenzione, mentre si teme una sottovalutazione di altri fenomeni. Un’altra spiegazione è che le emissioni di diossine sono il frutto di scelte tecniche, per cui magari esiste il tentativo di combattere certi impianti - mi riferisco ad esempio agli inceneritori - perché così si mette in discussione un certo trattamento dei rifiuti».
«Non so, però alcuni comportamenti non sono così consequenziali rispetto a ciò che la logica vorrebbe. Ma questo fa parte della libertà di considerare le cose in modo diverso. Io comunque vedo incongruenze».
Professore, ma è realistico parlare di sostenibilità ambientale?
«Un sistema sostenibile si può costruire, ma su basi laiche, non confessionali».
A Taranto quanto è grave la situazione ambientale?
«Non lo sappiamo. Sappiamo che ci sono impianti che producono diossine, ma questo è solo un pezzo del problema. Bisogna studiare come le emissioni vanno ad interagire col territorio. Accertata la presenza di diossine, vanno programmati interventi di conoscenza degli effetti che producono. E’ necessario arricchire i processi conoscitivi delle relazioni tra cause ed effetti. E poi c’è un altro problema da affrontare».
Quale?
«Forse è possibile eliminare le diossine arrivando a soluzioni tecniche anche estreme, come la chiusura degli impianti. Ma poi bisogna valutare l’impatto che queste decisioni hanno sul territorio».
I tarantini possono sperare in tempi ragionevolmente brevi, di respirare aria più pulita?
«Intanto oggi respirano un’aria molto più pulita di quella che respiravano anni fa. Questo grazie allo sviluppo tecnologico che ha consentito di ridurre l’inquinamento di origine industriale ma anche quello di origine civile. I problemi restano perché a Taranto c’è uno dei più grandi impianti d’Europa. Qui non è stata mantenuta una fascia di rispetto tra l’area industriale e la città. E’ un esempio di cattiva pianificazione».
Possibile che quarant’anni fa non si immaginassero i problemi che questa situazione avrebbe comportato?
«Il rischio era percepibile fin da allora, ma sono prevalse le ragioni dei benefici economici, che poi però, attenzione, possono anche tradursi in benefici ambientali». Professore, ma questo non le sembra un paradosso? «No. Guardi che si vive più a lungo dove c’è benessere, non dove c’è povertà. Io ritengo che l’industria vada conservata, limitandone al massimo l’impatto ambientale ed amplificando i benefici delle presenze industriali sul territorio»
Ora il punto è che il Dott (o Prof ) Ivo Allegrini ha prestato la sua opera per ILVA e ritengo che i suoi redditi a titolo libero-professionale, oppure come dipendente del CNR siano ufficiali e certamente anche fatturati. Dunque il rapporto è in chiaro. Si tratta di valutare se chi presta la sua opera per qualcuno e da questi sia pagato, non debba dichiarare ciò prima di rilasciare una intervista…”premetto che sono consulente ILVA”… e già il discorso cambia. Questo è il conflitto di interesse. Ne avete mai sentito parlare in Italia?
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