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Taranto, la città dei tribunali fantasma

A Taranto il nuovo Palazzo di Giustizia, 6 piani in vetro e cemento, svetta vuoto di fronte al vecchio edificio fatiscente dove gli avvocati non vogliono più entrare: mancano i soldi per il trasloco di fascicoli e arredi e apparecchiature.
Marco Neirotti
Fonte: La Stampa - 11 luglio 2008

- E’ un trittico italiano, si intitola Desolazione. A Catania 21 mila morti risultavano vivi e in cura dai loro medici con un costo di 4 milioni e 200 mila euro in cinque anni. A Taranto il nuovo Palazzo di Giustizia, sei piani in vetro e cemento, svetta vuoto di fronte al vecchio edificio fatiscente dove gli avvocati non vogliono più entrare: mancano i soldi per il trasloco - cinquecento metri più in là - di fascicoli e arredi e apparecchiature. A Nicosia (Catania) sta marcendo una nuova Napoli delle immondizie: le discariche ci sono, semivuote, ma non ci sono gli stipendi per chi deve portare i rifiuti da sotto le case allo smaltimento.

Incuria e cecità
C’è spazio per un dizionario del pessimismo, in queste tre aree, per questi tre paradossi: malaffare, disorganizzazione, menefreghismo, malagestione, rimpallo di responsabilità, povertà di mezzi figlia di malpolitica oppure di crisi generale. Ma comunque li si guardi sono tre simboli di un Paese attorcigliato al proprio nulla, alla propria incapacità, incuria, cecità.

A Catania viene smascherato il virus burocratico della lunga vita. La Guardia di Finanza, d’accordo con l’Asl, incrocia a computer i dati dell’Azienda sanitaria con quelli ottenuti da tutti i comuni etnei. Salta fuori perfino un «paziente» in cura passato a miglior vita 35 anni fa.

Come lui, magari meno «longevi», ce ne sono altri 21 mila. Il danno all’erario supera i quattro milioni di euro per soli cinque anni e la documentazione finisce a Corte dei Conti e Procura della Repubblica. Il tenente colonnello Giuseppe Arbore dichiara alle agenzie: «E’ evidente la negligenza da parte dei dirigenti dell’Asl preposti alla cancellazione dei defunti dalle liste». E ha l’accortezza di evitare l’immediato grido contro i medici: non vedere per qualche tempo una persona può voler dire che sta bene, non che è morta. Aggiunge: «Informati di un decesso, potevano far accedere alle liste nuovi pazienti».

Rimane un ingorgo: l’anagrafe che deve informare, l’Asl che deve prendere atto e cancellare quel nome che costa - come retribuzione al medico - sei euro al mese. Il direttore generale dell’azienda, Antonio Scavone, comunque tiene a ribadire: «Abbiamo firmato un protocollo con la Finanza proprio per avere un occhio terzo. Nel 2007 si sono individuati e rimossi 20.000 trasferiti e 30.000 deceduti». Erano avanzati 21.000 fantasmi. Involucro per fantasmi è la nuova sede della Corte d’Appello di Taranto (sede distaccata da Lecce). Un bell’edificio dove si immaginava la cittadella giudiziaria, nel periferico quartiere Paolo VI. Costata dieci milioni di euro a cura della Provincia, è stata terminata nel 2004 e collaudata nel 2005. Ma si dà il caso che il Comune, guidato per sette anni dal sindaco di centrodestra Rossana Di Bello, poi commissariato dopo un dissesto di 901 milioni di euro, ora retto da Stefano Ippazio, centrosinistra, non aveva e non ha i soldi per il trasloco.

Monumento in rovina
Così a Taranto ci si ritrova con un monumento che andrà in rovina, e una Procura sdoppiata, metà presso il Tribunale e metà nell’ex pretura, la seconda metà sfrattata perché non paga l’affitto, la prima ridotta in un tale stato da spingere gli avvocati a uno sciopero incominciato il 7 luglio per il caldo insostenibile. Il presidente dei legali, Angelo Esposito: «Non è possibile assistere a tutto questo. Prima dicevano che mancava il collaudo, poi che non si trovava il verbale. Si lavora tutti in condizioni assurde». Il presidente della provincia, Gianni Florido, pd, garantisce che loro si faranno carico della manutenzione, ma il trasloco spetta a un Comune che per lunga eredità sta peggio di un italiano medio. Intanto gli avvocati lasciano le toghe e cercano aria fresca.

Come la cerca la gente di Nicosia, ma anche di altri centri in provincia di Enna. Qui non c’è la guerra della cittadinanza - più o meno pilotata - contro le discariche. Ci sono le discariche e, almeno per due anni, prima che si provveda con nuovi termoconvertitori, possono benissimo accogliere immondizie.

In mano a una cooperativa Invece i rifiuti stanno sulle strade, come nelle fotografie napoletane. Il problema è a ricaduta: il servizio è affidato all’agenzia per l’Ambito Territoriale Ottimale. Una volta queste agenzie erano parecchie, poi il presidente della Regione Raffaele Lombardo (Movimento per l’autonomia) le ha ridotte a nove, una per capoluogo di provincia. Quella di Enna si affida a una cooperativa privata, Sicilia Ambiente, però non ha soldi per pagarla e chi ci rimette sono i dipendenti.

Il sindaco di Enna, Rino Agnello, ha ovviato anticipando con i soldi del Comune stipendi per tre mesi. Quello di Nicosia, non potendo fare altrettanto, ha emesso un’ordinanza di emergenza sanitaria, ha sospeso il mercato del giovedì e del sabato, ha vietato manifestazioni che comportino assembramenti. A Barrafranca, il piccolo Comune ha chiesto soccorso alle banche. Come i netturbini per pagare l’affitto.

Note: Hanno collaborato Fabio Albanese e Tonio Attino
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