Sulla diossina l'Ilva chiede al governo limiti molto blandi. PeaceLink: "Inaccettabile".
Il 7 agosto l'Ilva ha inviato alla Regione e al Ministero dell'Ambiente le proprie proposte per la riduzione delle diossine emesse dal proprio impianto di agglomerazione di Taranto.
Apprendiamo che l'Ilva non intenderebbe scendere sotto i 3,5 nanogrammi di diossine a metro cubo e che l'impianto per immettere l'urea (per la riduzione delle diossine) non sarebbe pronto prima del giugno 2009.
E' una posizione grave e inaccettabile per almeno quattro motivi.
* In primo luogo con l'aggiunta di urea l'Ilva era riuscita a scendere a giugno 2008 a 2,5 nanogrammi a metro cubo e ad agosto 2008, invece di proporre un limite ancora più basso e migliorare ulteriormente, ha l'ardire di indicare un limite peggiorativo più alto, per mantenersi sul sicuro in caso di controlli di ARPA Puglia.
* In secondo luogo le prime rilevazioni di ARPA Puglia all'Ilva del giugno 2007 hanno dato una media di 3,9 nanogrammi a metro cubo, valore non molto distante dal limite di 3,5 che l'Ilva indica per gli anni a venire al Ministero dell'Ambiente per l'Autorizzazione Integrata Ambientale.
* In terzo luogo PeaceLink, pochi giorni fa, ha segnalato, con dovizia di particolari (si veda http://www.peacelink.it/editoriale/a/26917.html), che nelle acciaierie austriache di Linz sono pronte e disponibili da subito le tecnologie per far scendere le emissioni di diossine degli impianti di agglomerazione addirittura sotto 0,1 nanogrammi per metro cubo.
* Infine in Friuli Venezia Giulia, a Trieste, un analogo impianto di agglomerazione deve sottostare al limite "europeo" di 0,4 nanogrammi a metro cubo: non è accettabile che un cittadino di Taranto debba essere esposto ad un rischio-diossina più di 8 volte superiore rispetto ad un cittadino di Trieste.
In buona sostanza l'Ilva fa un passo indietro anziché fare un passo in avanti. Chiede limiti permissivi a tutela delle proprie emissioni "sporche". Noi chiediamo limiti "europei" a tutela della nostra salute.
L'Ilva, dunque, sulle questioni veramente importanti continua a seguire la strada dei rinvii e delle deroghe come ha fatto con i precedenti "Atti di intesa". Mostra di non avere capito che, con l'adozione da parte dell'Italia delle norme europee sull'Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), la musica è cambiata e che se vorrà l'AIA sarà obbligata ad adottare le migliori tecnologie già oggi disponibili. E il pubblico interessato vigilerà.
Annotiamo infine che, invece di affrontare un confronto pubblico sulla validità dei numeri e dei contenuti del cronoprogramma presentato a giugno 2008 per la riduzione delle emissioni inquinanti (specificatamente richiesto dall'Accordo di programma), l'Ilva corre a Roma in pompa magna, getta un po' di fumo negli occhi e fa proposte che a nostro parere offendono l'intelligenza di chi crede nel risanamento ambientale. Se l'Ilva continuerà a rifiutare il confronto pubblico, noi continueremo con la nostra azione di sollecitazione. Segnaleremo le macroscopiche inadeguatezze presso tutte le Istituzioni nazionali ed europee, tecniche, politiche e giudiziarie.
Al momento condividiamo la decisa e rigorosa posizione assunta dalla Regione Puglia e dal suo massimo organo tecnico che è l'ARPA Puglia: non faremo mancare il nostro appoggio promuovendo la massima unità e mobilitazione delle forze interessate alla difesa dell'ambiente e della salute.
Infine aggiungiamo una precisazione doverosa. Sarebbe errato pensare alla diossina dell'Ilva di Taranto come ad una vertenza locale: siamo di fronte ad una potenziale fonte di contaminazione globale che supera i confini delle regioni. Le diossine sono addirittura inquinanti transfrontalieri.
Il caso Ilva-diossina è ormai un caso nazionale che interessa complessivamente l'ecosistema, la salute e la catena alimentare di una comunità molto estesa. Dovrebbe preoccupare il potenziale cancerogeno e genotossico degli oltre 7 chili di diossina "persistenti" e dispersi nell'ambiente dal centro siderurgico di Taranto in oltre 45 anni di attività, prima come Italsider poi come Ilva. Perché allora non si applicano i limiti del Friuli Venezia Giulia e le migliori tecnologie disponibili in Europa? Perché chiedono di chiudere ancora gli occhi su questo terribile scenario? Siamo quindi di fronte ad una fonte di contaminazione diffusiva che deve vedere mobilitata l'intera comunità regionale e nazionale.
Per PeaceLink
Ing. Biagio De Marzo
Prof. Alessandro Marescotti
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