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Taranto, l´Ilva evade l´Ici da 13 anni

Operazione trasparenza del sindaco, "dimenticati" oltre 10 milioni di euro. Quasi impossibile recuperare i soldi perduti: dopo cinque anni arriva la prescrizione. In base alle prime verifiche dell´ufficio finanze si ipotizza 1 milione di euro all´anno.
19 agosto 2008
Paolo Berizzi
Fonte: Repubblica

- TARANTO - Chi sa come vanno e come sono andate le cose a Taranto dice che se non è un evento epocale, poco ci manca. Tanto più adesso che il Grande Buco – 1 miliardo e 200 milioni di euro, il più grosso crac nella storia d´Italia – è stato stimato in modo quasi definitivo.

La prima notizia è che il Comune si è preso la briga di verificare se "anche" l´Ilva, e cioè il suo primo contribuente, paga l´Ici in modo adeguato. Un´operazione che, in teoria, dovrebbe essere scontata e dovuta. Ma che, in tredici anni – da quando nel ´95 l´acciaieria è stata privatizzata – non era, incredibilmente (e vai a sapere perché) mai stata fatta.

La seconda notizia è che si sta scoprendo che il più grande impianto siderurgico d´Europa, condanna e salvezza dei tarantini, si è "dimenticato", in tutto questo tempo, di versare un bel po´ di soldi nel prosciugato salvadanaio comunale. Quanti? In base alle prime verifiche dell´ufficio finanze si ipotizza 1 milione di euro all´anno (600 mila di imposta che significano altri 400 mila tra sanzioni e interessi). Moltiplicati per 13 fanno tredici milioni.

Certo è solo un´onda nello tsunami economico che ha travolto la città dei due mari. Ma un´onda importante. Per farsi un´idea basta pensare che l´Ilva è tre volte più estesa della città che la ospita da quasi mezzo secolo; si divora due terzi del gigantesco porto; è grande abbastanza per contenere nel suo "recinto" 250 chilometri di ferrovia interna, altiforni mostruosi e 15mila operai (erano 30mila quando si chiamava Italsider).

Come tributo sugli immobili l´azienda dichiara di pagare 3,6 milioni ogni dodici mesi (1,8 a semestre). All´ufficio "programmazione finanziaria-economico-patrimoniale" del Comune, però, i conti non tornano. «Dai nostri controlli sul 2003, ultimo anno non caduto in prescrizione, risulta un´elusione di 600 mila euro di imposta, soprattutto sulle aree fabbricabili», dice il dirigente responsabile, Simone Simeone. Aggiungendo la multa da pagare e gli interessi si arriva a un milione. A tanto ammonterebbe l´obolo che, in base alle ricostruzioni alle quali stanno lavorando i funzionari attivati dal sindaco Ezio Stefàno, si sarebbe disperso (ogni anno) nel cielo assieme alle nubi che sbuffano dalle ciminiere dello stabilimento siderurgico.

«Siamo solo all´inizio…» annuncia Simeone affondando le mani in una montagna di carte. «Tanto per cominciare, non abbiamo più rinnovato il contratto – per quanto riguarda l´Ici – alla società (Mg Srl) che in tutti questi anni aveva il compito di fare gli accertamenti per conto del Comune». Già, ma il bello, si fa per dire, è che tutti questi soldi sarà praticamente impossibile recuperarli: perché dopo cinque anni il pagamento delle imposte cade in prescrizione. Se dunque il Comune accerterà l´evasione fiscale da parte dell´azienda del bresciano Emilio Riva (che la comprò dallo Stato per 1.400 miliardi di lire, per molti si trattò di una svendita), poco o nulla ci sarà da fare. Forse nemmeno nei confronti di quei dirigenti pubblici che dal ´95 a oggi (quattro amministrazioni compresa quella attuale guidata da Rifondazione) si sono dimostrati non proprio vigili nei controlli. A loro dovrà chiedere spiegazioni (in prima battuta) la Corte dei Conti.

Ma siamo a Taranto, la città del dissesto, degli scandali a ripetizione, dell´amministrazione malata. Tra stipendi d´oro e bilanci falsi (330 inquisiti tra cui Rossana Di Bello, la pasionaria di Forza Italia che ha guidato la città dal 2000 al 2006 ed è stata rinviata a giudizio) qui la magistratura contabile ha gli uffici intasati. Troppo lavoro, troppe croste da levare dalla faccia deturpata di quella che un tempo fu una nobile capitale della Magna Grecia. È facile, dunque, ed è il colmo, che i soldi non pagati al Comune dall´Ilva, magari non tutti ma quasi, siano persi. Nonostante l´accertamento che sta per partire.

Viene da chiedersi: com´è stato possibile che in tutti questi anni Palazzo di Città – il municipio con affaccio sul Ponte girevole – sia rimasto con le mani in mano? In molti parlano di un sistema, di una cappa protettiva che fino a oggi ha avuto come effetto principale e più devastante quello di privare i cittadini di risorse importanti. I tarantini sono tra i più tartassati d´Italia per quanto riguarda i tributi comunali. Uno "sforzo" ulteriore richiesto, per cercare di ripianare l´enorme voragine finanziaria, dal commissario prefettizio Tommaso Blonda (ha traghettato Taranto fino alle scorse elezioni dopo la fine dell´era Di Bello). Dice ora l´assessore al bilancio Rossella Fischetti: «Abbiamo verificato che per 20 anni l´Ilva non è mai stata sfiorata da controlli fiscali. Così come altre grandi aziende. Ora basta, vogliamo fare mettere mano al portafoglio anche a chi, oltretutto, è responsabile dell´inquinamento che attanaglia da sempre la città».

L´Ilva da sola emette nell´aria il 10,2 per cento di tutto l´ossido di carbonio prodotto in Europa. Nella sua storia si contano 180 caduti sul lavoro, 8mila invalidi, 10 o forse 20mila (dipende dalle stime) morti di cancro e leucemie. Quando si è insediato, Stefàno ci ha pensato su. L´idea di "alzare" il livello di attenzione sui tributi comunali da parte dell´azienda è venuta all´inizio dell´anno. Con una lettera inviata, «per conoscenza», anche alla Guardia di Finanza, il sindaco ha dato il via all´operazione trasparenza: «Nell´interesse dei cittadini ho chiesto di verificare se i grandi contribuenti rispettavano i canoni di pagamento. Mi aspettavo, o meglio speravo, che tutto fosse in regola. E invece…»

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