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Intervento di Peacelink alla Tavola rotonda di TarantoViva

"In questi ultimi giorni Ilva ha ancora una volta confermato quel piano di “panna montata”, che rimanda addirittura al 2014 gli investimenti per ridurre la diossina a livelli “europei”. Alla riunione del Gruppo di coordinamento per l'Accordo di Programma, fissata per il 17 settembre, Regione Puglia, ARPA Puglia, Provincia di Taranto e Comuni di Taranto e Statte facciano fronte unico e che dichiarino formalmente alla DSA di Minambiente che fanno proprie le Osservazioni formulate nel 2007 e nel 2008 dalle Associazioni ambientaliste di Taranto".
28 agosto 2008
Peacelink (Biagio De Marzo, Alessandro Marescotti)

PANORAMICA GENERALE

- Da oltre 40 anni i Tarantini subiscono le emissioni dell’enorme centro siderurgico, un tempo di proprietà dello Stato e nel 1995 acquistato dal Gruppo Riva. L’importanza strategica per l’Italia di questa fabbrica e la disattenzione di buona parte delle Istituzioni ed anche di una vasta fetta di cittadinanza non informata del rischio, hanno fatto si che per tutto questo tempo l’inquinamento ambientale prodotto dal più grande stabilimento siderurgico d’Europa non fosse contrastato come occorreva. Da poco tempo i Tarantini hanno preso coscienza del loro diritto a vivere in un ambiente non inquinato, diritto sancito nel 1996 dalla Comunità Europea con la Direttiva 61/96/CE, cosiddetta IPPC (Integrated Pollution Prevention Control), che, di fatto, è stata disattesa a lungo in Italia per pigrizia dei vari governi che si sono succeduti e nel silenzio di gran parte dei parlamentari e dei sindaci tutori della salute dei cittadini in virtù del Testo unico sanitario del 1934.

Quella direttiva, nel frattempo novellata dalla Direttiva 2008/1/CE, ha istituito l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che prevale su tutte le autorizzazioni precedenti e condiziona l'esercizio degli impianti all’adozione delle Migliori Tecnologie Disponibili (MTD) e alla massima riduzione delle emissioni di inquinanti in aria, acqua e suolo. Nella Comunità Europea gli impianti privi di AIA non sono autorizzati a funzionare. La direttiva europea del 1996 ha stabilito che tutte le aziende, anche quelle italiane, dovessero dotarsi di AIA entro il 30 ottobre 2007, data confermata dalla Direttiva 2008/1/CE.

Alla data del 30 ottobre 2007, nessuna delle grandi aziende italiane, Ilva inclusa, era in possesso dell’AIA e tutte hanno continuato a produrre e a inquinare. A maggior scorno dei cittadini, la Commissione Europea ha avviato nei confronti dello Stato Italiano la procedura di infrazione delle direttive comunitarie sull’AIA e le eventuali multe saranno pagate dai contribuenti italiani, mentre i veri responsabili dell’infrazione resteranno indisturbati e pronti a replicare.

A Taranto, dichiarata per legge “città ad elevato rischio di crisi ambientale”, è stata accertata inequivocabilmente l’emissione continuativa di diossina PCDD/F dall'impianto di agglomerazione dell'Ilva, con valori tali che l'impianto dovrebbe essere chiuso se si trovasse in altri Stati europei dove il limite per PCDD/F è di 0,4 ng I-TEQ/Nm3 (valore espresso in tossicità equivalente). A Taranto, invece, è tutto legittimo: la norma italiana ha definito per la “diossina siderurgica” il limite di 10.000 ng/mc (calcolati in concentrazione totale), che, “omogeneizzato” con gli indicatori europei risulta essere irragionevolmente al di sopra dei valori indicati dal Protocollo di Aarhus, valido anche per l’Italia.

Quell’abnorme limite italiano non viene modificato nonostante che ci siano rapporti ufficiali di organismi dello Stato, dichiarazioni di Sottosegretari del Ministero della salute, interrogazioni parlamentari, richieste ufficiali del Presidente della Regione Puglia, Ordini del Giorno del Consiglio comunale di Taranto, appelli di associazioni, comitati e cittadini al Presidente della Repubblica ed altro. Solo nel civilissimo Friuli Venezia Giulia è stato possibile adottare il limite europeo per la diossina proveniente dall’impianto di agglomerazione di Servola/Trieste.

Ora, con la procedura nazionale dell’AIA e con l’Accordo di Programma del 11 aprile 2008, specifico per il territorio di Taranto e Statte, firmato da tre Ministeri, Agenzie nazionali, Presidente di Regione ed Enti Locali e sottoscritto da 7 aziende che operano nel territorio, Ilva inclusa, si presenta l’occasione storica per mettere fine alla catena di ritardi, omissioni e distorsioni che hanno caratterizzato l’intera vicenda dell’inquinamento ambientale di origine industriale a Taranto.

Noi vogliamo contribuire a conciliare la sopravvivenza e il successo dell’Ilva con i sacrosanti diritti alla salute, alla sicurezza e all’ambiente, compromessi dai veleni che quotidianamente vengono sparsi nel cielo e nel mare di Taranto. Tanto per fare un esempio, secondo i dati di stima dell’INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e delle Sorgenti), il 90,3% della diossina industriale in Italia verrebbe prodotta a Taranto e precisamente dall'Ilva.

Il nostro obiettivo è pertanto quello di fare in modo che si ponga fine a questo scandalo nazionale ed europeo. Per fare questo occorrono grandi e specifici investimenti utilizzando parte degli enormi utili accumulati dal Gruppo Riva. L’articolo “Le due casseforti di Riva, re dell’acciaio” di Roberta Scagliarini sul Corriere della Sera del 17 agosto 2008, fotografa con dovizia di numeri lo straordinario successo imprenditoriale del Gruppo Riva. E’ doveroso sottolineare che gran parte dei 2,5 miliardi di euro di utili accumulati dal Gruppo negli ultimi quattro anni proviene dallo stabilimento siderurgico di Taranto.

A febbraio 2007 Ilva, per ottenere l’AIA per lo stabilimento di Taranto, ha presentato il piano di adeguamento alle MTD (Migliori Tecnologie Disponibili); a giugno del 2008, nell’Ambito dell’Accordo di Programma, ha ripresentato lo stesso piano addirittura peggiorato. Sulla stampa e in una nota a Minambiente riportata anche sul proprio sito, abbiamo sostenuto, senza essere smentiti, che quel piano è insufficiente oltre che inattendibile. Si tratta di un mero elenco di informazioni tecnico-progettuali che non specificano in che misura gli interventi hanno abbattuto o abbatteranno le emissioni.

Non ci sono gli obiettivi di riduzione delle emissioni a metro cubo né quelle su base annua, impianto per impianto. Non c'è un solo numero, una sola percentuale che specifichi di quanto diminuirà l'inquinamento. Non sappiamo di quanto diminuirà la diossina, il mercurio, il benzene, il benzoapirene, l'arsenico, i metalli pesanti e gli altri inquinanti. Non c'è alcun criterio di verifica della efficacia degli interventi indicati.

Siamo stufi di leggere pagine e pagine che non dicono assolutamente niente sull'effettiva riduzione delle emissioni inquinanti e che elencano anche cose già realizzate ma inefficaci, come rilevato da ARPA Puglia che segnala un peggioramento dei valori degli inquinanti a Taranto. Tale peggioramento è evidente anche dai dati del registro INES del Ministero dell'Ambiente che attestano un peggioramento generalizzato dei fattori inquinanti dichiarati dalla stessa Ilva. E', poi, semplicemente vergognoso che in un piano per il miglioramento della situazione ambientale vengano inseriti anche interventi di tipo non ambientale ma produttivo (uno per tutti, le nuove macchine bivalenti dei parchi primari).

E’ fuorviante indicare come “investimenti per l’ambiente” il totale delle previsioni di spesa delle 64 proposte di “nuova tecnica”, visto che, suddivise per “tipologia”, le 64 proposte sono: 16 Tecniche di Processo + 2 Controllo di Processo + 5 Misure di Manutenzione + 4 Misure Non Tecniche + 37 Sistemi di Depurazione. In realtà, in tutti gli impianti, molte voci sono di manutenzione, magari con qualche modernizzazione degli assetti e delle macchine esistenti. Gli interventi di manutenzione sono necessari, in qualche caso risolutivi, ma si tratta di manutenzione, non di BAT per l’ambiente. Altrettanto fuorviante è mettere in un piano, che dovrebbe puntare alla riduzione dell’attuale inquinamento ambientale, progetti comunque realizzati in anni passati.

Se si indicano progetti e cifre appropriati, si smentiscono le enfatizzate notizie apparse sulla stampa nazionale in merito a “700 milioni di euro che la società del gruppo Riva investirà nel 2007 per ridurre le emissioni di tutti gli impianti”, molta parte destinati al centro siderurgico di Taranto.

In questi ultimi giorni Ilva ha ancora una volta confermato quel piano di “panna montata”, che rimanda addirittura al 2014 gli investimenti per ridurre la diossina a livelli “europei” e dichiara di essere disposta a scendere, ma nel 2009, sotto i 3,5 nanogrammi a metro cubo di diossina (calcolati in tossicità equivalente). Esistono, invece, tecnologie che potrebbero far scendere quelle emissioni sotto il livello di 0,1 nanogrammi a metro cubo, come la tecnologia MEROS-SIEMENS applicata in Austria e ben nota a Ilva che l’ha citata in una lettera ufficiale alla Regione Puglia. Siamo quindi di fronte a un’azienda che a Taranto fa utili enormi ma stenta ad aprire il portafoglio quando si tratta di investire a Taranto nelle migliori tecnologie per abbattere le proprie micidiali emissioni.

Per completare la panoramica sulla situazione, occorre dire che è mutato l’atteggiamento governativo: in coincidenza con l’incontro con il Ministro Prestigiacomo del vice presidente Ilva SpA Fabio Riva, da Roma arrivano notizie allarmanti. La penultima è che la Direzione Generale Salvaguardia Ambientale di Minambiente, considera "praticamente irricevibile" l’ “Analisi dei dati conoscitivi ambientali disponibili” redatta da ARPA Puglia perché nei dati rilevati nel 2005 e nel 2006 non è stata seguita la procedura emanata solo nel 2007: assurdo!

L’ultima notizia allarmante è quella dell’azzeramento strumentale della cosiddetta Commissione IPPC preposta alle istruttorie tecniche per la concessione dell’AIA, nominata dal precedente Ministro con membri tecnici di indiscusso prestigio. Nessuno dei vecchi Commissari IPPC è stato confermato e nella nuova Commissione sono entrati tre magistrati, forse per cercare di depotenziare, con escamotage giuridici e formalismi esasperati, ricorsi contro eventuali abusi e distorsioni. Ovviamente Ilva è ringalluzzita tanto che ha risposto negativamente alle recentissime sollecitazioni del Presidente Vendola e dell’Assessore Losappio.

COSA FARE?

Gli ambientalisti tarantini, con in testa TarantoViva, PeaceLink, Legambiente e UIL, ad agosto 2007 lanciarono l'offensiva contro gli inutili "Atti di Intesa" e a favore della procedura per l'AIA, offensiva che ha portato all'Accordo di Programma del 11 aprile 2008, firmato, ahimè, solo in zona Cesarini, con qualche responsabilità del Ministro Pecoraro Scanio. Abbiamo deciso di puntare sull’AIA perché era ed è lo strumento più efficace, oltre che legittimo, per ridurre sul serio l’inquinamento ambientale di origine industriale. Abbiamo spinto per l’Accordo di Programma, previsto dal comma 20 dell’art. 5 del DLgvo 59/2005, per assicurarci l’intervento pesante dello Stato in una vicenda di cui lo Stato ha una considerevole responsabilità: come assetto impiantistico, che è determinante per l’inquinamento ambientale, l’Ilva del Gruppo Riva è sostanzialmente quella costruita dalla Finsider delle Partecipazioni Statali.

La linea strategica individuata esattamente un anno fa, proprio in una manifestazione meritoriamente organizzata da TarantoViva, è sempre valida e vanno individuate azioni tattiche per neutralizzare lo schieramento che si appresterebbe a dare all’Ilva l’AIA senza la contropartita della effettiva riduzione dell’inquinamento ambientale.

In questo momento, l’abbattimento della diossina è l’argomento più sentito ed è quello che può aprire la breccia in cui incuneare altri temi altrettanto importanti quali:

- capacità di produzione e capacità effettiva dello stabilimento;
- ricostruzione delle cokerie;
- copertura dei parchi primari;
- riduzione drastica delle emissioni di mercurio;
- ristrutturazione degli schemi idraulici a monte degli scarichi a mare;
- controllo delle emissioni convogliate, diffuse e fuggitive;
- risanamento ambientale dell’acciaieria nr. 1;
- zincatura a caldo (vecchia e nuova);
- impiego di pet – coke;
- collocazione della polvere degli elettrofiltri dell’impianto di agglomerazione;
- piano di monitoraggio generale;
- risanamento delle condizioni di sicurezza del posto di lavoro nella fabbrica.

E’ una lotta che potremo vincere se la controparte capirà per tempo che verrà messo in campo il “potere di interdizione” che i Sindaci, e solo i Sindaci in virtù del Testo Unico Sanitario del 1934, hanno nei confronti dell'AIA. Per fare questo, i Sindaci devono sentire che non sono soli ma che sono sostenuti dai cittadini e dalle altre Istituzioni coinvolte. Essi sono anche legittimati ad esplorare insieme alla Regione, alla luce del sole, la strada dei fondi strutturali 2007 - 2013 per contribuire al risanamento ambientale dello stabilimento di Taranto, come è avvenuto in Austria con fondi federali, senza scandalo alcuno.
Prerequisito ineludibile ed immediato, però, è che Ilva ritiri il piano “di panna montata” di giugno 2008, ribadito ad agosto nonostante le richieste del Presidente della Regione Vendola e dell’Assessore regionale Losappio.

Nell’art. 7, punto 1 dell'Accordo di Programma 11.4.2008 è stabilito che “i soggetti gestori firmatari del presente Accordo di Programma, finalizzato alle AIA, comunicheranno al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ed alla Regione Puglia, entro 30 giorni dalla data dell’Accordo, il programma degli interventi previsti per adeguare gli impianti alle migliori tecniche disponibili, per la prevenzione e la riduzione delle attuali emissioni inquinanti e dei relativi termini di avvio, di attuazione e di completamento.”

Qualunque dirigente degno di questo nome sa che un piano di tale fatta deve partire dalla individuazione e misura degli inquinanti per programmare l’adozione di tecnologie e provvedimenti atti al loro progressivo e drastico decremento, con dati e parametri verificabili e misurabili. In questa prospettiva noi abbiamo presentato al Ministero dell’ambiente metodologia e contenuti di un piano per la riduzione delle emissioni inquinanti. Tocca ad Ilva elaborare e presentare il nuovo piano di adeguamento che, per essere credibile e trasparente, deve avere superato anche l’esame approfondito da parte di Regione, Enti Locali, ARPA, Sindacati e da una rappresentanza di cittadini coadiuvati da esperti conclamati.

L’Accordo di Programma, in applicazione del “COMMA 20” dell’art. 5 del D. Lgvo. 59/2005, ha significato ed utilità solo se ottiene dalle aziende il vero piano di interventi per ridurre l’inquinamento attuale, la cui realizzazione deve essere vincolante per il rilascio dell’AIA, insieme agli altri vincoli e prescrizioni. Per tutto questo ed in ottemperanza alle norme europee (Direttive 2003/35/CE e 2008/1/CE) ed italiane (D. Lgvo 59/2005 e D. Lgvo 152/2006), necessita definire, in dettaglio e al più presto, modalità, contenuti ed operatività di partecipazione e coinvolgimento del "pubblico interessato" nel procedimento fissato nell'Accordo di Programma, anziché limitarsi a disporre solo audizioni con le associazioni ambientaliste ed altri (Art. 4, comma 9 dell’Accordo di Programma in data 11.4.2008).

Tale necessità è stata ribadita, proprio in riferimento all’Accordo di Programma per il SIN di Taranto, nella sentenza del TAR di Lecce del 4 giugno 2008, Prima Sezione, Registro Ordinanze 417/2008, Registro Generale 780/2008. Chiediamo che venga rispettato il diritto del “pubblico interessato” di partecipare attivamente all’attuazione dell’Accordo di Programma in oggetto. Potremo così dare il nostro contributo a tutela del diritto all’ambiente ed il sostegno delle strutture tecniche pubbliche, competenti ed imparziali, in qualunque forma investite sulla materia.

Un ultimo voto: che alla riunione del Gruppo di coordinamento per l'Accordo di Programma, fissata per il 17 settembre, Regione Puglia, ARPA Puglia, Provincia di Taranto e Comuni di Taranto e Statte facciano fronte unico e che dichiarino formalmente alla DSA di Minambiente che fanno proprie le Osservazioni formulate nel 2007 e nel 2008 dalle Associazioni ambientaliste di Taranto, comunque formulate, incluso quelle ribadite nell’audizione del 28 maggio 2008 a Roma. Dopo tali dichiarazioni, sarebbe sicuramente illegittimo concedere l’AIA ignorando osservazioni documentate ed argomentate e divenute ineludibili per il peso politico dei 5 Enti che le hanno fatte proprie. Delle due l’una: o quelle osservazioni sono sacrosante e documentate o non lo sono. Se il Ministero le condivide dovrebbe prendere i provvedimenti del caso, se non le condivide dovrebbe spiegarne le ragioni in maniera specifica ed ufficiale.

Noi riteniamo che le Istituzioni dello Stato che hanno firmato l’Accordo di Programma del 11 aprile 2008 per il territorio di Taranto e Statte dispongano di strumenti, meccanismi, competenze ed argomenti per convincere Ilva a presentare un vero piano di risanamento ambientale e a realizzarlo in tempi ragionevoli ma rispettosi delle aspettative di città, provincia e regione.
L’Italia, seppure con gravi e ingiustificabili ritardi, ha finalmente adottato le norme europee sull'AIA. L’autorità competente, prima di concedere l’AIA, è obbligata sia a verificare che l’azienda adotta le migliori tecnologie oggi disponibili per ridurre l’inquinamento ambientale comunque provocato dall’industria, sia a respingere sofismi o argomentazioni giustificative che offendono l’intelligenza di chi crede, con elementi concreti, che la riduzione dell’inquinamento ambientale di origine industriale è tecnicamente possibile e socialmente doveroso.

Anche noi siamo consapevoli che “solo quando tutti sentiamo sulla nostra pelle i danni e gli errori compiuti, cominciamo a cercare nuove strade e nuovi rimedi e accettiamo quelle riforme di cui prima non volevamo neppur sentir parlare”. Per quanto ne saremo capaci, noi continueremo a vigilare e a sollecitare comportamenti rigorosi e responsabili e segnaleremo in tutte le sedi, nazionali ed europee, politico/amministrative e giudiziarie, eventuali palesi inadeguatezze come quelle verificatesi, per esempio, nella vicenda del processo per l’inquinamento atmosferico proveniente dai parchi primari e in quella degli scarichi a mare. Stiamo costituendo un pool di avvocati “amici e volontari” che ci assisteranno nei meandri della normativa ambientale enciclopedica, spesso disattesa, come è accaduto con la documentazione presentata da Ilva per l’AIA dello stabilimento di Taranto.

Abbiamo abbondantemente dimostrato e reso noto a Minambiente che i loro compilatori hanno seguito poco le specifiche istruzioni della “Guida”, mentre il Gestore si è assunta la responsabilità di affermare e firmare di essere edotto di quanto riportato nella “Guida alla compilazione della domanda di AIA” e di essere a conoscenza delle sanzioni penali previste dall’art. 76 del DPR n. 445/2000 in caso di dichiarazioni false o non più rispondenti a verità.

Le “Criticità e le omissioni nella documentazione”, debitamente comunicate a Minambiente, configurano un monumento alla supponenza di un’Azienda di rilievo internazionale consapevole di avere “buoni argomenti” per andare avanti per la sua strada, potendo trascurare impunemente norme, prescrizioni, raccomandazioni e impegni sottoscritti ed operare nel territorio con il piglio e l’indifferenza del “Colonizzatore”. Noi continueremo a mettercela tutta per contribuire a modificare tale atteggiamento.

Alessandro Marescotti – PeaceLink, Presidente nazionale
Biagio De Marzo – PeaceLink, Portavoce del Nodo di Taranto

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