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Taranto, patron dell'Ilva condannato in appello

Due anni di reclusione per Emilio Riva e un un e otto mesi il direttore dello stabilimento Tarantino, Luigi Caporosso Accusati di getto pericoloso di cose, danneggiamento aggravato, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro nel reparto cokerie.
11 ottobre 2008
Vittorio Ricapito
Fonte: TarantOggi

Emilio Riva Il secondo verdetto sul caso cockerie, ovvero sulle ipotesi di inquinamento ed omissione delle misure di sicurezza all’interno dell’Ilva di Taranto è stato pronunciato ieri, nel tardo pomeriggio dai giudici della Corte d’Appello Trunfio, Semeraro e Massafra.

Emilio Riva, il patron del siderurgico, è stato condannato a due anni di reclusione, mentre il direttore dello stabilimento ionico, Luigi Capogrosso, ha subìto una condanna ad un anno ed otto mesi.

Entrambi erano stati condannati in primo grado dal giudice Rosati, il primo a tre anni ed il secondo a due anni ed otto mesi di reclusione. La riduzione della pena, tuttavia, non deve far pensare ad alcuna assoluzione.

La Corte ha di fatto confermato l’intero impianto accusatorio della sentenza di primo grado ed anzi per certi versi è andata oltre accogliendo l’appello dei pubblici ministeri (del caso si occuparono il procuratore Franco Sebastio ed il sostituto Alessio Coccioli) che chiedevano anche la condanna per il superamento dei limiti di emissione, di cui in primo grado non si era raggiunta la prova.

La Corte ha invece accolto l’appello della pubblica accusa, ritenendo che i limiti di emissione furono effettivamente superati. Per la cronaca va ricordato che l’intero reparto cockerie fu anche sottoposto a sequestro giudiziaria dalla magistratura.

Per le ipotesi minori, tuttavia, ci ha pensato la prescrizione a “salvare” in parte gli imputati. Si tratta di reati quali getto di cose pericolose, danneggiamento, violazione del decreto legge “antinquinamento”, inottemperanza dell’ordinanza comunale che obbligava all’immediata sospensione dell’esercizio delle batterie 3,4,5 e 6 delle cokeria per motivi di tutela della salute pubblica, per i quali, comunque, la condanna di primo grado ha valore in sede civile.

In quella sede, torneranno agguerrite le parti civili, leggasi la Uil jonica rappresentata da Franco Sorrentino e l’associazione ambientalista Legambiente (avvocati Sergio Torsella ed Eligio Curci), a chiedere un maxi risarcimento per l’imbrattamento dei quartieri limitrofi allo stabilimento, in primis, il quartiere Tamburi. La Corte infatti, ha condannato gli imputati anche al risarcimento delle parti civili in separata sede.

Un fatto questo, che richiama immediatamente alla memoria la gravissima assenza di tutte le amministrazioni locali, a partire dal Comune, proseguendo per la Provincia, fino alla Regione. Tutti gli Enti, decisero infatti nel corso del processo di primo grado di ritirare la propria costituzione di parte civile in virtù di un accordo siglato a Bari con i vertici del siderurgico.

Una scelta oggi quanto mai infelice, viste le difficoltà in particolare del Comune, (il più dissestato d’Italia) al quale, un sacrosanto risarcimento per i danni subiti negli ultimi anni, sicuramente avrebbe portato un po’ di ossigeno. Un silenzio assordante, quello delle istituzioni nel corso di questo processo, cui fa eco il medesimo silenzio della maggior parte delle sigle sindacali (ad esclusione della Uil jonica che coraggiosamente non si è tirata indietro), che deve far riflettere tutti i cittadini.

Sul reato di getto di cose pericolose nasce un piccolo mistero, la sentenza letta dai magistrati della Corte d’Appello faceva riferimento alla prescrizione specificando fosse relativa alle emissioni dei reparti cockerie ma senza lasciar intendere chiaramente quale fosse l’intendimento per il medesimo reato in relazione ai parchi minerali. Un arcano che la lettura della sentenza, nei prossimi mesi, potrà sicuramente chiarire. Resta la certezza della colpa, almeno per la Corte d’Appello, per l’ipotesi più grave, ovvero l’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, per il quale la condanna di primo grado, in sostanza, è stata confermata.

I fatti contestati risalgono al settembre del 2002, pertanto con buona fortuna, anche il processo in Cassazione si dovrebbe chiudere prima che la prescrizione, che interverrà fra il settembre del 2009 ed il marzo del 2010, cancelli anche le ultime colpe. A margine della sentenza di condanna va doverosamente sottolineato che altri due imputati sono stati assolti: si tratta dell’amministratore delegato Claudio Riva e del dirigente del reparto cockerie Roberto Pensa, entrambi condannati in primo grado ad un anno e sei mesi ed assolti ieri per non aver commesso il fatto.

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