Legambiente, per l'AIA si consideri la condanna dell'ILVA
“Dopo la condanna nel processo di primo grado, l’ennesima conferma della perniciosa condotta inquinante con la quale l’industria siderurgica avvelena la nostra città”. E' questo il commento dell'avvocato Eligio Curci, difensore di parte civile per conto di Legambiente, alla sentenza di condanna in appello dei vertici dello stabilimento Ilva di Taranto.
Entrando nel dettaglio della decisione “va precisato - afferma il legale - che la Corte ha confermato la condanna di Emilio Riva e Luigi Capogrosso per le condotte di omissione delle cautele atte ad evitare disastri ed infortuni sul lavoro (art. 437 codice penale, la più grave delle accuse) e per la condotta di emissione di sostanze pericolose (art. 674 codice penale), limitatamente alle dispersioni provenienti dai parchi minerali, ritenendo invece estinta per prescrizione quella relativa alle cokerie; ha, infine, dichiarati estinti i rimanenti reati per prescrizione”.
L’avvocato Curci si sofferma quindi sulle prescrizioni che hanno di fatto modificato le condanne del processo di primo grado pur confermando in toto l’impianto accusatorio messo in piedi dal Pubblico Ministero: ”Da rilevare che tra i reati prescritti v’è anche quello di emissioni inquinanti oltre i valori limite fissati dalle normative (art. 25 DPR 203/88) per il quale gli imputati erano stati assolti dal Tribunale perché il fatto non sussiste e sul quale la Procura di Taranto aveva proposto appello.
La Corte, pertanto, ha accolto in fatto l’appello del P.M. sia pure per concludere con dichiarazione di prescrizione. Come si vede, sotto il profilo dell’accertamento dei fatti oggetto del processo, la sentenza di Appello ha confermato integralmente quella di primo grado e, addirittura, la ha aggravata ritenendo sussistente anche il reato di cui al DPR 203/88. Per quanto riguarda le pene irrogate, si è verificato un loro ridimensionamento (Riva 2 anni; Capogrosso 1 anno e 8 mesi) dovuto, essenzialmente, alla eliminazione delle condanne per i reati prescritti.
Rimane in piedi la condanna all’interdizione dall’esercizio dell’industria e all’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione. Sono stati assolti Riva Claudio e Pensa Roberto per non aver commesso il fatto. Si tratta, evidentemente, di assoluzione limitata alle loro rispettive condotte”.
Infine l’avvocato Curci sottolinea con soddisfazione come sia stata “perfettamente confermata, ancora una volta, la legittimità delle costituzione di Legambiente ed il suo diritto a chiedere il risarcimento dei danni causati”.
Lunetta Franco, presidente del circolo Legambiente di Taranto rinnova il ringraziamento “come già in occasione della sentenza del processo di primo grado, innanzitutto alla magistratura tarantina che con la caparbietà di alcuni suoi rappresentanti ha permesso che a questo processo si giungesse; in secondo luogo al nostro legale e socio Eligio Curci che ha patrocinato la causa di Legambiente in questo giudizio; infine al CTP (Consulente Tecnico di Parte) svolto dai proff. Meschinelli (Università di Genova), Giugliano (Politecnico di Milano), Assennato (Università di Bari) e attuale direttore generale dell’Arpa Puglia, coordinati dal prof. Liberti del Politecnico di Bari, ex Preside del Politecnico di Taranto, la cui rigorosa perizia tecnica non è stata, come già nel giudizio di primo grado, messa in discussione”.
Secondo Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente nazionale “questa condanna non fa che confermare un fatto ormai acclarato nell’opinione pubblica: l’Ilva inquina in maniera intollerabile per i cittadini, tale da essere perseguibile penalmente e da essere condannata in più occasioni (ricordiamo, tra gli altri, il processo conclusosi in Cassazione il 24 ottobre 2005 con sentenza di condanna definitiva per aver provocato danni alla salute degli abitanti del quartiere 'Tamburi).
Legambiente ritiene che non sia pensabile che la città regoli i propri rapporti con l’industria a colpi di condanne che hanno un effetto minimo per i colpevoli e di fatto non riescono ad impedire che essi reiterino i reati”. “La condanna - aggiunge Lunetta Franco - è un ulteriore elemento che le Istituzioni coinvolte nel rilascio dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), a cominciare dal Ministero dell’Ambiente cui spetta la decisione, debbono necessariamente considerare per pretendere che l’AIA all’Ilva, ma anche alle altre aziende inserite nell’Accordo di Programma, sia subordinata all’attuazione di misure che perseguano obiettivi certi, misurabili ed inequivocabili in tempi brevi e definiti, per abbatterne il pesantissimo impatto sull’ambiente e sulla salute dei cittadini.
La stessa condanna conferma anche la necessità che l’azienda e l’intero sistema industriale tarantino siano sottoposti a un monitoraggio continuo e rigoroso che consenta interventi preventivi sugli impianti per evitare incidenti ed emissioni fuori norma, potenzialmente pericolose per la salute”.
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