Taranto: negligenza dei politici e arroganza dei poteri forti
Innanzitutto, chi è Vittorio Vespucci?
Vittorio Vespucci è una persona che ama descrivere agli altri la realtà che lo circonda, a volte in modo originale. La mia prima esperienza di un certo rilievo è stata quella de’ “La città malata”, un videoclip di tre minuti che è stato pubblicato sul sito di Repubblica ed ha ottenuto un grande successo tra gli utenti. Si tratta di tre minuti di immagini crude, durante i quali descrivo la realtà che si vive a Taranto. Una realtà triste per i problemi legati all’inquinamento e alla presenza della grande industria. Ed ho voluto far parlare le immagini. Immagini violente, perché ai cittadini di Taranto viene fatta ogni giorno violenza attraverso tutto ciò che sono costretti a respirare.
Questa vocazione ambientale com’è nata?
Credo che sia innata, anche se io non sono un ambientalista nel senso stretto del termine. A me piace osservare e raccontare, anche attraverso le immagini, ciò che esiste e che molte volte viene sottaciuto da alcuni mezzi di informazione. E credo molto nello strumento Internet utilizzato per la divulgazione delle realtà scomode che fino a qualche tempo fa potevano passare sotto silenzio. Adesso tramite il Web chiunque può esprimere le proprie opinioni e può trovare anche una platea abbastanza vasta.
Parliamo di questa “città malata”.
Secondo le rilevazioni Arpa effettuate, tra l’altro per la prima volta, nel giugno 2007, la quantità di diossine tossiche presenti nell’aria intorno allo stabilimento dell’Ilva supera di quattro volte la media europea. E questo ha naturalmente delle conseguenze sulla salute dei tarantini, il rione Tamburi ha il tasso di tumori più elevato di tutta la città.
La denuncia di tutto ciò sta portando a dei miglioramenti?
Sicuramente si incomincia a vedere il risveglio delle coscienze, e questo è un fattore molto importante. Quando è nata l’Italsider negli anni Sessanta la coscienza ambientalista era latente e si è pensato solo al miglioramento momentaneo del’economia a discapito dell’ambiente. Sembra che gli stessi lavoratori che operavano all’interno della grande industria, non conoscendo bene tutti i processi di lavorazione, abbiano in molti casi commesso errori così che sono andate a finire nel mare sostanze pericolose, come per esempio l’acido cloridrico.
Questi dati non sono ancora certi, anche perché non sono state mai fatte analisi approfondite. Ma la conoscenza dei fatti in ambito ambientale è fondamentale: un anno e mezzo fa, mi è stato chiesto di poter utilizzare il video “La città malata” all’università di Valona, da parte di alcune associazioni che si battevano contro l’installazione, in quelle zone ancora vergini dell’Albania, di insediamenti industriali simili a quelli di Taranto, proprio per far vedere il prezzo che si dovrà pagare in cambio del miglioramento economico. Adesso quindi si parla molto di ambiente, anche nelle scuole ci sono diversi progetti per insegnare ai ragazzi il rispetto per ciò che ci circonda. Purtroppo però ci sono dei poteri forti che non vanno in questa direzione.
E a livello di comportamento politico, ci sono stati dei cambiamenti?
Sicuramente si può dire che vi sono due scuole di pensiero: gli “integralisti”, ossia coloro che pensano che la grande industria debba chiudere perché è una violenza; e i “possibilisti”, coloro per i quali la grande industria può continuare a esistere con determinate cautele nei confronti dell’ambiente. La politica a Taranto non si esprime in maniera determinata su questo argomento anche perché la chiusura dell’Ilva comporterebbe un problema occupazionale: ricordiamo che l’acciaieria dà lavoro a 13.000 persone, a cui bisogna aggiungere gli operatori all’interno dell’indotto. Esistono inoltre la raffineria e una costellazione di piccole industrie che si occupano ad esempio di smaltimento di rifiuti tossici.
Come si può evitare il “ricatto occupazionale”?Qual è la tua opinione in merito?
È difficile esprimere un’opinione a tal proposito. Sono del parere che siamo in ritardo, nel senso che determinate operazioni dovevano essere programmate già da tempo, in maniera tale da preparare un’alternativa economica ed occupazionale. Infatti il problema è proprio questo: creare un’alternativa occupazionale alla grande industria. Per esempio si potrebbe curare lo sviluppo della retroportualità, tramite l’ampliamento del porto di Taranto per farlo divenire crocevia di merci. Inoltre, sempre mediante il potenziamento del porto, si potrebbero creare una serie di piccole industrie con un impatto sull’ambiente minimo; per esempio industrie che si occupino dell’assemblaggio di prodotti semilavorati destinati all’esportazione. Ma questi progetti dovrebbero essere realizzati in modo tale che l’impatto sull’ambiente sia il più leggero possibile. Queste sono comunque mie idee personali, il compito di trovare una soluzione adeguata spetta ai tecnici e ai politici. Ma bisogna fare in fretta.
Una speranza per il futuro? Come immagini Taranto per i tuoi figli?
Il problema potrebbe non interessarmi, poichè vivo a Treviso. Ma io amo la mia città d’origine. Spero che si possa nel più breve tempo cambiare l’economia di Taranto. Penso che la cultura dell’acciaio e della grande industria a Taranto abbia già fatto troppi danni. Non è facile trovare delle soluzioni per dar lavoro a tanti operai, ma proprio per questo bisogna impegnarsi al massimo e creare un’azione sinergica tra associazioni, cittadini, politici e sindacalisti per lavorare seriamente e giungere alla risoluzione di questo problema. Non bisogna assolutamente rassegnarsi. Nel campo della salvaguardia ambientale non si può abbassare la guardia, bisogna sempre andare avanti, combattere contro qualunque tipo di violenza, in questo caso quella della grande industria, finchè non si capirà che un territorio non deve essere solo sfruttato. Bisogna creare le condizioni di crescita e la presenza industriale deve essere assolutamente compatibile con la vita delle persone.
Il tuo prossimo progetto? Ti occuperai sempre di inquinamento?
Ho presentato a fine agosto il docufilm “Polveri alle stelle”, realizzato in collaborazione con Monica Nitti e che sta ottenendo un ottimo riscontro. Prossimamente, ho in mente un lavoro sulla diga del Vajont. Un progetto ancora in fase embrionale. Anche lì, la negligenza dei politici e l’arroganza dei poteri forti hanno causato un disastro. Longarone fu spazzata via in pochi secondi, Taranto muore lentamente: un’agonia che dura da decenni.
Toccante l’intervento dell’Assessore all’Ecologia del Comune di Taranto, Sebastiano Romeo: “Stiamo lavorando giorno per giorno affinché si giunga a una giusta definizione dell’industria nel nostro habitat. Le grandi industrie devono sempre tener presente l’habitat dove hanno lavorato e inquinato per oltre 40 anni. Non bisogna solo ridurre le emissioni di diossina, ma anche procedere alle bonifiche dei terreni e del mare. E soprattutto, come ho dichiarato nel mio incontro con il Ministro Stefania Prestigiacomo, “non è onorevole attaccarsi al ricatto occupazionale.
Un’industria non può dire: io ti do i posti di lavoro e tu mi devi permettere di inquinare”. Voglio prendere una frase di alcuni letterati del 1970 su Taranto, dove dicevano che l’industria deve lavorare per la città, non contro la città. Mi deve dare dei posti di lavoro puliti”. Romeo conclude con un “vi ringrazio per tutto quello che farete per la città di Taranto”.
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