L'Italia è una Repubblica Democratica fondata sul Lavoro... anche quando "di lavoro" si muore?
Ragusa (Sicilia) - Giuseppe Tumino di trentotto anni, stritolato in una vasca per la lavorazione del cioccolato;
Casoria (Campania) - Guido Palumbo caduto da una scala mentre lavorava in officina;
Battipaglia (Salernitano) - Massimiliano Strifezza, operaio di 33 anni schiacciato da un pannello prefabbricato;
San vitale Baganza (Parmense) - Giuseppe Tabone caduto da un ponteggio mentre lavorava alla ristrutturazione di una casa;
Barile (Potenza) - Mario Strozza contadino di 56 anni travolto dal proprio trattore ribaltatosi;
Rovereto di Cadeo (Pc) - Luan Qosya, operaio albanese di 38 anni, residente a Piacenza, è stato folgorato dai cavi dell’alta tensione
San Felice a Cancello (Casertano) - Costache Dan Cristian, 21 anni romeno, schiacciato da lastre di marmo cadute da una gru;
Subbiano (Arezzo) - Luca Cerofolini, 30 anni schiacciato dal tronco che stava abbattendo con una motosega.
Non sembrano nemmeno più cifre da incidenti sul lavoro, ma veri e propri bollettini di guerra come se si stesse combattendo e ogni giorno si dovessero, inevitabilmente, contare le vittime.
Secondo il rapporto sulla ''Tutela e condizione delle vittime del lavoro tra leggi inapliccate e diritti negati'' presentato dall'Anmil, Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, al Capo dello Stato Giorgio Napolitano, l'Italia è attualmente in testa alla hit parade europea vantando il triste primato dei decessi avvenuti sui luoghi di lavoro, durante lo svolgimento delle proprie mansioni.
Benchè le cifre siano in lieve flessione rispetto agli anni precedenti, resta comunque inaccettabile che si debba morire "di lavoro", come se il lavoro fosse una malattia e non il cardine su cui si fonda la stessa esistenza della Repubblica.
A livello istituzionale, naturalmente si fanno dichiarazioni, ipotesi, proposte, progetti, lunghe dissertazioni, conferenze, voli pindarici... ma a livello dell'uomo "della strada", dell'operaio, di colui che non vive di rendita e ha un bisogno disperato di lavorare per sopravvivere, al punto da lasciare amici e affetti per trapiantarsi in un'altra realtà che non è la sua ma con cui deve necessariamente convivere se vuole mangiare... Dal punto di vista di questa gente, che è poi quella che ci lascia le penne (difficile infatti leggere che un dirigente o un impiegato di concetto scivoli sul pavimento troppo lucidato e si spezzi l'unghia del dito mignolo), le domande sono poche ed elementari:
"Esistono fior di Leggi in materia di sicurezza sui posti di lavoro. Perchè non le si fanno rispettare con controlli efficienti e provvedimenti esemplari in caso di inadempienza? Perchè si interviene a cose già fatte con lungaggini giudiziarie sfibranti che sfociano poi, quasi sempre, in sanzioni assolutamente inadeguate alla gravità degli eventi e che diventano oltraggiose per chi ha perduto un proprio congiunto in un incidente sul lavoro? Perchè si aspetta di contare i morti e non si investe in materia di controllo e prevenzione?"
Domande che confluiscono in una sola e che diventa un ruggito, crescendo d'intensità man mano che passa di bocca in bocca:
"Perchè si lascia morire così la povera gente?"
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