Condanne vertici Ilva-Cemit
E’ una sentenza controversa quella emessa ieri dal giudice monocratico Valeria Ingenito. Da un lato c’è l’affermazione sostanziale della responsabilità a più livelli nell’incidente che causò la morte dei due giovanissimi operai, Paolo Franco, operaio di ventiquattro anni di San Marzano di San Giuseppe, e Pasquale D’Ettore, ventisettenne di Fragagnano nel tragico 12 giugno del 2003.
Dell’incidente e quindi di duplice omicidio colposo, come anche della violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e dell’omissione dolosa di cautele dirette a prevenire gli incidente sul posti di lavoro, sono stati considerati responsabili in sei: Gerardo Pappalardo, l’amministratore unico della Cemit, la ditta appaltatrice dei lavori
di manutenzione alla gru bivalente che crollò, Franco Antonio Pinto, dirigente della Cemit, Giuseppe Bruno, responsabile del coordinamento sicurezza della Cemit, Giancarlo Quaranta e Salvatore Zimbaro, rispettivamente dirigenti Ilva, responsabile preparazione minerali, il primo e responsabile manutenzione meccanica dell’area parchi minerali il secondo.
Per i cinque, il giudice Ingenito ha stabilito una condanna ad un anno di reclusione con pena sospesa, esattamente la metà della pena richiesta dal pubblico ministero Pesiri. Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento Ilva di Taranto, è stato condannato ad un anno e quattro mesi di reclusione senza la sospensione della pena. Per il direttore, anche se non definitiva, questa non è la prima condanna per vicende legate all’Ilva.
Emilio Riva, presidente dell’Ilva spa, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Gli imputati sono stati condannati inoltre al risarcimento dei danni alle parti civili, da quantificarsi in separata sede. Al processo si sono costituiti parti civili l’Inail ed i familiari di Paolo Franco. Secondo la pubblica accusa, la responsabilità dell’incidente fu di chi doveva vigilare e prevedere accurate norme di sicurezza nel cantiere dove diversi operai lavoravano alla manutenzione della gigantesca gru Bm1 all’interno dell’area parchi minerali dell’Ilva.
La grossa gru si spezzò in due parti e crollò al suolo travolgendo i due sventurati giovani. Secondo il pm, il collasso dell’enorme struttura sarebbe avvenuto per l’impiego di un contrappeso di valore eccessivo. Calcoli e progetti sbagliati, nonché le procedure operative seguite per le operazioni di manutenzione della struttura finirono al centro delle indagini.
Per il procuratore Franco Sebastio, la sentenza emessa dal giudice Ingenito è equa. Non è della stessa opinione Angelo Franco, un padre distrutto che ha seguito udienza dopo udienza il processo e sostenuto l’attività dell’associazione “12 giugno” di cui è fondatore, per sensibilizzare l’intera comunità sul delicato tema della sicurezza sul lavoro. Una battaglia in cui, negli ultimi tempi, Angelo Franco s’è sentito tristemente solo. Ieri al processo, con lui, il presidente dell’associazione “12 giugno” che di quel maledetto giorno, porta il ricordo indelebile nel nome, Cosimo Semeraro, anche’egli, come Franco operaio per tanti anni. C’erano anche militanti di Peacelink, Legambiente, Tarantoviva.
In aula si sono viste anche le facce dell’ex parlamentare Antonella Duranti, dell’assessore comunale alla cultura Angela Mignogna. “Avremmo voluto vedere l’aula piena di operai e sindacalisti, invece non c’era nessuno” ha commentato,
amareggiato, Cosimo Semeraro che nel corso del processo aveva anche tentato di
costituirsi parte civile. “Continueremo con la nostra battaglia per la legalità e la sicurezza sui posti di lavoro, perché non accada ad altri ragazzi quello che è successo a mio figlio”, gli ha fatto eco, Angelo Franco.
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