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C'è una Seveso in Puglia e si chiama Taranto

“A 13 anni ha il tumore da fumo”, titola il Corriere della Sera in edicola oggi, raccontando la storia di un ragazzo tarantino colpito dalla terribile malattia.
21 ottobre 2008
Giorgia Nardelli

ILVA di Taranto “A 13 anni ha il tumore da fumo”, titola il Corriere della Sera in edicola oggi, raccontando la storia di un ragazzo tarantino colpito dalla terribile malattia. La causa, secondo quando riportato nell'articolo, potrebbe essere la diossina che inquina l'aria e i campi della città, e che ha portato all'abbattimento di 1.200 capi di bestiame.

“Il Salvagente” in edicola da giovedì prossimo racconta in un servizio la storia della “Seveso pugliese”, e della diossina che è arrivata a contaminare gli alimenti. Vi anticipiamo una parte dell'inchiesta.

Strano paese, l'Italia

Strano paese, l'Italia. Quest'inverno tutto lo stivale gridava all'allarme diossina, e si preoccupava per la sorte delle bufale campane contaminate. Ma poco più giù, a Taranto, qualcuno scopriva che a essere contaminati erano i formaggi, senza che la notizia riuscisse a uscire oltre il tacco d'Italia.

Eppure l'allarme non era destinato a rientrare. Le diossine nei formaggi c'erano - e ci sono - eccome, come sono nelle carni, e nel latte di alcuni allevamenti della zona che producono prodotti locali. Il fatto è così evidente, così grave, che in questi giorni saranno abbattuti di 1.200 capi di bestiami, e in molte aree verdi del circondario un'ordinanza vieta il pascolo delle bestie.

Il triste primato del camino E 312

Dall'atmosfera ai campi, diossine e pcb galleggiano nell'area cittadina in abbondanza, ma ufficialmente “non è provato” da dove vengano. Per farsi un'idea bastano però i dati ufficiali dell'Eper, il registro europeo delle emissioni inquinanti. Gli ultimi a disposizione dicono che nel 2005 in città è stata prodotta una mole incredibile di Pcdd (policlorodibenzo-p-diossine) e Pcdf (policlorodibenzo-p-furani), famiglia di diossine cancerogene, e che la fonte è l'impianto Ilva, il mega siderurgico già troppo noto alle cronache, che ha sputato 93 grammi di queste sostanze contro una produzione nazionale di 103 grammi. In pratica il 90% di quanto emesso in tutto il nostro paese. Mentre dal 2002, (quando la diossina sprigionata da tutti gli impianti industriali d'Italia era 222,5 grammi), le emissioni nazionali si sono dimezzate, il gigantesco stabilimento pugliese le ha aumentate da 70 a 93 grammi, gran parte fuoriusciti dal camino E 312, il camino dell'impianto di agglomerazione.

Sotto gli occhi di tutti

Ogni anno peggio, sotto gli occhi di tutti. Pensare che il registro Eper rende pubblici i suoi dati dal 2002, ma nessuno a Taranto come in Puglia ha saputo trovarli prima che questi venissero scoperti “per caso” dall'associazione Peacelink . “Qui nessuno di noi immaginava che quel camino emettesse diossina”, dice Alessandro Marescotti di Peacelink, “l'unica cosa che vedevamo era quella torre di 200 metri e il suo fumo marrone che la sera si posava sul quartiere Tamburi. E pensare che a Taranto ci mandavano a fare le vacanze i bambini di Cernobyl”.

Alla fine i numeri sono venuti fuori, denunciati da Peacelink, ma ancora una volta i primi ad agire sono stati i membri della società civile. Le prime analisi sugli umani le ha fatte nell'estate del 2007 l'associazione Tarantoviva, con i soldi degli iscritti: “Abbiamo prelevato il sangue di dieci volontari e lo abbiamo fatto analizzare dal laboratorio Inca di Venezia. Il campione di sangue della persona più anziana, il più esposto, conteneva il livello di diossina più alto mai registrato nella casistica internazionale”. Più tardi l'associazione “bambini contro l'inquinamento” faceva analisi sul latte materno di alcune donne tarantine, e a febbraio scorso Peacelink faceva analizzare formaggio locale. Il responso era sempre lo stesso: la diossina era dovunque. “Nel formaggio ben 3 volte superiore al limite massimo tollerabile fissato dall'Ue”, racconta Marescotti. “Trattandosi di prodotti merceologici questa volta sono intervenute la magistratura che ha aperto un fascicolo, e la Asl, che ha avviato analisi e riscontri sul latte e sulle carni del bestiame delle masserie della zona”.

Contaminazione ufficiale

Anche le analisi ufficiali hanno adesso confermato che la diossina c'è, e arriva lontano. Su 30 allevamenti campionati da marzo a oggi 7 sono risultati positivi, i loro animali saranno abbattuti. In cambio delle bestie e del loro lavoro gli allevatori riceveranno 160mila euro, l'equivalente di 130 euro per animale. E il magro risarcimento arriverà dalla Regione, perché, beffa oltre al danno, un responsabile ufficiale non esiste ancora.

“Dovrà chiarirlo l'inchiesta della magistratura”, spiega Michele Conversano, responsabile del dipartimento di prevenzione della Asl Taranto 1. “I dati da noi raccolti evidenziano che in linea di massima che i capi che pascolavano nell'area adiacente all'impianto dell'Ilva mostrano livelli di diossina superiori alla norma. Specie gli animali più vecchi, perché la diossina si accumula nel tempo nei tessuti grassi. Le analisi proseguiranno per stabilire sin dove si estende la contaminazione, e da dove viene”. Una certezza però adesso c'è già, la fonte dell'inquinate è una sola: “è come un serial killer che ha lasciato sulle vittime la sua impronta. Le diossine sono tante e diverse, ma quelle ritrovate nei campioni positivi sono sempre le stesse. O vengono da uno stesso stabilimento, o da due impianti vicini, e si miscelano prima di spandersi”. Mentre le analisi proseguono, vietando il pascolo nelle aree contaminate, la Asl cerca di salvare dai veleni i prodotti tipici locali. “Ed è già un passo avanti”, chiosa Conversano.

Appuntamento a marzo 2009

Ma il passo avanti più importante che i tarantini aspettano per salvarsi dalla diossina sarà quello di marzo 2009. Entro questa data il ministero dell'Ambiente dovrebbe concedere all'Ilva l'Autorizzazione integrata ambientale, necessaria per continuare la sua attività. Tra le altre cose saranno fissati i limiti massimi consentiti per le emissioni di diossina. L'industria chiede che lo standard sia fissato a 3,5 nanogrammi per metro cubo, ma l'assessore all'ecologia della Regione Michele Losappio ha fatto sapere che chiederà di portare la soglia a 1, il valore di riferimento della normativa europea mai recepita in Italia.

In città non si cela un po' di sfiducia. Il patron dell'Ilva Emilio Riva è entrato a fare parte della cordata Cai, quella che ha salvato Alitalia, investendo nel progetto una congrua somma di denaro. I più maliziosi già temono che la contropartita per “ringraziare” Riva del suo “sacrificio”, possa ricadere sulla pelle dei tarantini. Solo illazioni, naturalmente. Ma fino a che i parametri non saranno fissati, tutti stanno alla finestra, in apprensione. Si sa, l'Italia è uno strano paese.

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