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Taranto, dove stiamo andando

Incontro con la dott.ssa Maria Giovanna Bolognini (TarantoViva). “Il referendum è un’arma a doppio taglio, tutto il lavoro svolto dalle istituzioni locali, dall’ARPA, dalle associazioni ambientaliste più attive, potrebbe risultare vano”.
24 ottobre 2008
Fonte: VivaVoce

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Quando è nata l’associazione?

L’associazione è nata l’8 giugno del 2003, da un’idea di 4 tarantini residenti al Nord, che hanno deciso di fondare un’associazione che facesse qualcosa di concreto per la città, soprattutto dal punto di vista ambientale. Diciamo che per loro non era più sufficiente appartenere a queste reti di nostalgici tarantini che nascono online. Un’idea nata dalla volontà di mantenere e rinsaldare le proprie radici, non soltanto sul filone della nostalgia, della mancanza della propria terra, ma cercando anche di farla rinascere.

Com’è stata accolta dai tarantini la nascita di questa associazione?

Tradizionalmente Taranto viene vista come una città poco attiva dal punto di vista dell’impegno civile. Taranto è una città strana, quindi è difficile fare aggregazione intorno a movimenti che vogliano essere fattivi. È difficile creare identità intorno a una lotta, per quanto essa possa essere rivolta alla tutela di diritti fondamentali dell’individuo, come ambiente e salute. Tuttavia, considerando ciò, la risposta è positiva, visto che nel corso degli anni, le persone di questa città hanno imparato ad apprezzarci e ci manifestano la loro stima. Se poi si parla delle persone concretamente fattive queste purtroppo sono ancora poche.

I tarantini come vedono l’Ilva?

Anche qui c’è una spaccatura. Chi ha preso coscienza della questione ambientale non tollera l’Ilva, ma non tout court. Non tollera che una presenza industriale così massiva, costituita, vorrei ricordare, non solo dall’Ilva, ma da altri otto impianti inquinanti, tragga profitto dal nostro territorio, depapeurandolo e al contempo non mettendosi a norma dal punto di vista ambientale, e anche dal punto di vista della sicurezza sul lavoro. Ma, mentre in altre città i movimenti ambientalisti nascono lì dove c’è il cuore del problema, a Taranto accade il contrario. Sfondare il muro degli operai Ilva, piuttosto che degli abitanti dei quartieri limitrofi, è veramente impresa difficile. Anche e soprattutto perché è una città che non offre un’alternativa occupazionale.

Quali sono state le vostre principali iniziative?

L’anno scorso abbiamo svolto un importante progetto nelle scuole, denominato TarantoMia. Un progetto per sviluppare tra i bambini e i giovani il senso civico e l’appartenenza al territorio che, secondo noi, è alla base della questione ambientale. Il progetto prevedeva delle lezioni in aula e poi l’adozione da parte di ogni scuola di un posto di Taranto da pulire e gestire per l’intero anno scolastico. Patrocinato dal Comune e da tre assessorati, all’Ambiente, alla Cultura e alla Pubblica Istruzione, e realizzato in partnership con AMIU e Protezione Civile, è stato un successo. Grande attenzione da parte dei presidi e dei bambini. L’idea di base era questa: dobbiamo creare e sviluppare il senso civico. Quest’estate, invece, abbiamo avuto tre iniziative: abbiamo promosso la diffusione del cortometraggio “Polveri alle stelle”, realizzato dalla nostra socia Monica Nitti e da Vittorio Vespucci, creatore e curatore del sito Taranto In cartolina, la conferenza-dibattito sul cronoprogramma dell’Ilva e la pulizia del lungomare. Purtroppo quest’ultima iniziativa ha registrato una scarsa partecipazione della cittadinanza.

Nonostante queste difficoltà a entrare in contatto con il “tarantino”, potete dire di aver raggiunto dei risultati per quanto riguarda la nascita di una coscienza civile?

Tra i meriti va sicuramente sottolineato quello di aver fatto riconoscere all’intera cittadinanza e alla classe politica che esiste una questione ambientale a Taranto. Grazie all’attivismo di TarantoViva e anche di Legambiente, che opera da più tempo di noi sul territorio e che ha grandi meriti, nessuno oggi può più negare l’esistenza di questo problema. Un altro risultato importante da un punto di vista culturale è stato che da una costola della nostra associazione è nata a Taranto la delegazione del FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano, un ente nazionale che si occupa della tutela del paesaggio e dei beni architettonici e artistici.

Ha citato Legambiente come simbolo di attivismo. Si può quindi dire che lavoriate in sinergia con tutte le altre associazioni che operano sul territorio?

No, non sempre siamo in sinergia, perché esiste come in tutte le cose l’eterogenesi dei fini. Come in tutti i movimenti collettivi, anche quello ambientale non fa differenza. C’è gente che si è avvicinata alla questione ambientale per lavorarci, sapere e diffondere informazione. Ma a volte, ci si scontra con una certa rivalità che crea guerre tra poveri, e una certa smania di protagonismo. Dispiace, perché fare rete è un passo indispensabile per approdare a una qualche soluzione in merito a una questione così complessa come è la questione ambientale a Taranto.

È certamente un peccato, data anche l’importanza del tema trattato. Queste associazioni sono forse sensibili all’influenza politica?

Credo di no, credo che siano proprio, se mi passate l’espressione, “dilettanti allo sbaraglio”. Anche perché per parlare di ambiente con cognizione di causa, bisogna studiare ed essere informati. Inoltre, uno dei motivi di scontro più forti tra TarantoViva ed altre associazioni presenti sul territorio è stata proprio la nascita di una nuova sinergia con le istituzioni, visto che molti in maniera qualunquista demonizzano la politica. Sicuramente la politica e tutta la sfera semantica inerente ha in Italia una connotazione fortemente negativa; ma il problema non è la politica in sé, è come viene fatta. La politica significa porsi al servizio del pubblico, e quindi se io trovo un’istituzione che si mette al servizio delle mie esigenze, dei miei diritti individuali, non vedo perché io non debba dialogare. Chiaramente atteggiamenti del genere rallentano il lavoro di tutti; un peccato, perché in tal modo si allontana sempre più il raggiungimento dell’obiettivo di essere una città normale. Ma si va avanti lo stesso, non si può fare altro.

Pochi giorni fa, la sezione di Lecce del Tar ha accolto il ricorso presentato dal Comitato cittadino “Taranto futura”, intimando al Comune di Taranto di organizzare entro 90 giorni il referendum consultivo che riguarda le ipotesi di chiusura totale o parziale dell’Ilva. Siete favorevoli a questo mezzo di consultazione della cittadinanza?

Il referendum è un’arma a doppio taglio. Per quanto sia semplicemente consultivo, esiste la possibilità che si riveli un flop e che venga fuori che la città vuole l’Ilva. Questo soprattutto a causa delle motivazioni occupazionali degli operai e delle loro famiglie. Considerando anche l’indotto stiamo parlando di circa 18.000 persone. Noi non lottiamo per la chiusura dell’Ilva, ma per la regolamentazione degli impianti, per la riduzione delle emissioni inquinanti, per la sicurezza sul lavoro. Oltretutto, un risultato favorevole all’Ilva, come probabilmente potrebbe accadere, in questo periodo sarebbe un boomerang, visto che proprio in questi mesi si stanno decidendo le sorti dello stabilimento attraverso la concessione o meno dell’Autorizzazione Integrata Ambientale. Non faccio illazioni, ma parlo di fatti: Riva è entrato nella cordata Cai per Alitalia, e chiaramente il governo centrale non può chiedergli di chiudere l’impianto siderurgico più grande d’Europa. Se poi la città dimostrerà di volere l’Ilva, tutto il lavoro svolto dalle istituzioni locali, dall’ARPA, dalle associazioni ambientaliste più attive, potrebbe risultare vano.

Ma a questo punto la città deve pur porsi il problema: Taranto deve vivere o deve morire?

Sì, ma sarebbe più equo porsi la domanda tenendo conto anche di tutti gli altri impianti altamente inquinanti presenti sul territorio. Quando parliamo di questione ambientale a Taranto parliamo di un’area che comprende nove impianti altamente impattanti.

I sindacati come si sono rapportati con questa nuova coscienza ambientalista tarantina?

Si chieda se esiste un movimento compatto della classe operaia che vuole la tutela dei propri diritti e si dia una risposta.

E andando invece alla classe politica?

Trovo che le nuove leve stiano facendo molto. Soprattutto gli enti locali, ossia Regione, Provincia e Comune, stanno cercando di lavorare insieme, e credo, per quello che ho modo di osservare, che si stiano muovendo nella direzione di un cambiamento sostenibile. Inoltre, lavorano in sinergia con noi. Un nostro vecchio sogno si è avverato: riusciamo a lavorare confrontandoci con le istituzioni, a differenza di quello è accaduto in passato. Ci fa piacere che per questa amministrazione la questione ambientale sia una priorità.

L’atteggiamento dell’Arpa è collaborativo?

Sicuramente sono interessati alla questione. Purtroppo il Dipartimento dell’ARPA di Taranto è – e lo si sa anche a seguito di ripetute denunce del Direttore Assennato – il più deficitario in ambito regionale, e questo è un paradosso.

Si dice che a Riva la risoluzione del problema dell’inquinamento non interessi perché tra meno di qualche anno gli impianti verranno chiusi.

Noi siamo convinti di questo, e cioè che l’Ilva andrà via al termine del ciclo produttivo, anche perché è un impianto ormai vecchio. Ma non si può avere un atteggiamento attendista. E poi si apre un discorso diverso, c’è il problema delle bonifiche. Stiamo parlando di un’aerea industriale che è grande due volte e mezzo la città; qualche anno fa il rione Tamburi aveva un’incidenza di patologie tumorali due volte e mezzo superiore alla media nazionale. Le bonifiche dovranno riguardare anche il mare, ci saranno forse 50 mt di fondali inquinati. È per questa ragione che occorre andarci piano quando si parla con leggerezza di chiudere gli impianti e di votare interamente il territorio al turismo, sul modello salentino. Sappiamo veramente quanto ci è rimasto di integro, a livello di patrimonio naturale, di mare, di aria, di biodiversità? Io credo di no, e credo anche che la risposta – se pure ce l’avessimo – non sarebbe confortante.

Quali saranno le vostre prossime iniziative?

Vorremmo allargare un’iniziativa che abbiamo già sviluppato lo scorso anno, da cui poi è nato il caso diossina. L’anno scorso, sempre di raccordo con le istituzioni, abbiamo prelevato il sangue di 10 tarantini, abitanti in zone diverse della città e comunque non a ridosso dell’industria, e analizzandolo abbiamo riscontrato i livelli di diossina più alti mai trovati nella casistica internazionale. Statisticamente questo risultato non è significativo, ma denota l’esistenza di un problema. Sapevamo – dai dati provenienti dal Registro europeo Ines Eper, che registra le emissioni inquinanti degli stabilimenti presenti sul territorio europeo - che dall’Ilva di Taranto viene emesso il 90,3% della diossina nazionale e l’8,8% della diossina europea. La domanda era: può esserci una correlazione? E se sì, si può rimediare, ossia accelerare il processo di imposizione all’Ilva della regolamentazione degli impianti?

Quest’anno vorremmo allargare questo esperimento, facendo una sottoscrizione pubblica e cercando di analizzare oltre un centinaio di campioni ematici. Speriamo di riuscire a portare a termine il progetto in questa fase cruciale dell’AIA, per supportare le istituzioni che stanno premendo per abbassare i livelli di diossina e delle altre sostanze inquinanti. Tra le altre iniziative è fondamentale la diffusione capillare del docufilm Polveri alle stelle, perché anche far circolare l’informazione sulla questione ambientale è un obiettivo fondamentale della nostra attività.

Questa città rimane comunque una città particolare. Dato anche il numero dei suoi abitanti, potrebbe e dovrebbe esprimersi molto di più su una questione trasversale come è quella ambientale, una questione di vivibilità, che riguarda tutti.

Il problema principale di Taranto è una disaffezione al territorio, e non mi riferisco alle classi dirigenti, ma parlo proprio dei cittadini stessi. È molto difficile sviluppare il senso civico. Io mi chiedo: perché il territorio deve restare in mano a quella tipologia di tarantino qualunquista, lassista e rassegnato che noi tutti conosciamo? Taranto sono anche io, e pretendo la mia nicchia ecologica: non voglio andare via, voglio che vada via la gente che non ama questa città. Chi si lamenta dell’immobilismo, chi non comprende che le strade, le piazze, le spiagge sono un bene pubblico e quindi da amare e rispettare al pari di casa propria, chi negli stereotipi di una Taranto che è e sempre sarà soltanto ciminiere, calcio e Raffo ci sguazza e ci trova anche un modello identitario, è deleterio al pari di chi inquina o di chi delinque. La rassegnazione non solo non porta a niente, ma è anche scoraggiante per chi invece lavora con costanza per avere anche un minimo spiraglio di cambiamento. Mi viene in mente il ritornello di “Malarazza”, una canzone popolare siciliana, che racconta la storia di un servo che va a piangere in chiesa davanti alla Croce perché vorrebbe giustizia contro il padrone che lo vessa. E sapete cosa gli risponde Cristo? “Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia lu bastone e tira fora li denti”.

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