Riva: «Non possono dirmi assassino»
TARANTO — «Sono presente qui in aula perché mi ritengo offeso da quella scritta ». Eccola la grande sensibilità di Emilio Riva, padrone dell'acciaieria Ilva di Taranto. Viene fuori all'improvviso in un giorno di ottobre del 2008. Sempre assente nelle aule dei tribunali tarantini in cui si sono celebrati i grandi processi per inquinamento e per le «morti bianche» avvenute nel suo stabilimento siderurgico, ieri mattina si è materializzato nella ben più modesta aula del giudice di pace Gastone De Vincentis. Questa volta era parte lesa.
Accusa Margherita Calderazzi, sindacalista dello Slai-Cobas, di essere la mandante della scritta «Riva assassino » trovata sui muri dello stabilimento nell'agosto di due anni fa. La Calderazzi avrebbe armato di pennarello rosso la mano di un minorenne e l'avrebbe indotto a vergare quelle parole. Poi il ragazzo sarebbe rientrato nella Panda rossa guidata da lei, ferma a poca distanza in attesa che l'opera venisse portata a termine e, proprio in questo momento, sarebbe stata riconosciuta senza ombra di dubbio da un vigilante dell'acciaieria che ieri mattina ha offerto la sua testimonianza.
Il minorenne non è stato identificato, Margherita Calderazzi sì perché «nota sindacalista che partecipava alle tante manifestazioni e che interveniva spesso davanti alla portineria dello stabilimento ». Nell'udienza di ieri il tentativo di conciliazione tra le due controparti avanzato dal giudice di pace è fallito. La prossima udienza è stata fissata al 13 gennaio con l'interrogatorio della sindacalista, assistita dall'avvocato Fausto Soggia. Riva, difeso da Egidio Albanese, ha chiesto un risarcimento danni pari a centomila euro accusando la donna per diffamazione. «Riva assassino» fu scritta nell'agosto del 2006, l'epiteto venne immortalato in alcune fotografie ma fu cancellato lo stesso giorno.
Ieri in aula Margherita Calderazzi s'è difesa affermando di non essere stata lei a scrivere l'offesa né di aver incaricato qualcuno di farlo e ha dichiarato di «essere dispiaciuta solo di non averla fatta lei direttamente perché quella frase non aveva bisogno di mandanti perché esprime il pensiero di tanti operai, di tante famiglie di operai morti sul lavoro». Nella prossima udienza l'attivista sindacale fornirà la sua versione dei fatti e il giudice di pace trarrà le sue conclusioni.
Questo processo ha preso il via a pochi giorni dall'assoluzione in primo grado ottenuta da Emilio Riva «per non aver commesso il fatto» in relazione alla morte avvenuta il 12 giugno del 2003 di Paolo Franco e Pasquale D'Ettorre che morirono sotto il peso di una gru che si abbatti al suolo nell'area dei parchi minerali.
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