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L'allarme lanciato da PeaceLink sulla diossina

Un referendum per chiudere l'Ilva. E Taranto si divide

Cesare lo chiama «l'accampamento degli indiani». Per via del fumo che è ovunque. Insieme a quell'odore di gas. E la polvere rossa, se c'è vento, ti entra negli occhi: «Chiudere l'Ilva? è impossibile. Non ci credo neanche se lo vedo».
Fonte: L'Unità

- Cesare lo chiama «l'accampamento degli indiani». Per via del fumo. Dice che il fumo è ovunque. Insieme a quell'odore di gas. E la polvere rossa, se c'è vento, ti entra negli occhi. «Meglio non pensarci che ogni giorno lavori lì dentro». Cinquantadue anni, operaio da sempre, Cesare fa no con la testa. «Chiudere l'Ilva? è impossibile. Non ci credo neanche se lo vedo».

Chiudere l'Ilva, o almeno la zona a caldo (l'acciaieria e la cokeria, da cui provengono gran parte delle emissioni inquinanti) è la proposta secca del comitato Taranto Futura, promotore del referendum consultivo che potrebbe tenersi - dicono i referendari - a giugno o a ottobre del 2009. A guidarlo l'avvocato Nicola Russo: «L'aumento delle malattie e dei tumori in città, soprattutto fra i bambini, fa spavento. Non siamo, però, contro gli operai: i posti di lavoro saranno tutelati e i lavoratori impiegati nello smantellamento del polo siderurgico, che durerà 40 anni».

Alessandro Marescotti, dell'associazione Peacelink, è a favore almeno della chiusura della zona a caldo. E' stato lui a lanciare l'allarme diossina. «L'Ilva produce oltre il 90% delle emissioni nazionali di diossina e pcb di natura industriale, arrivando a quasi 7 nanogrammi al metro cubo. Il limite europeo è di 0,4%». Per smascherare questo scandalo ha organizzato un blitz: «In marzo abbiamo fatto analizzare un pezzo di formaggio della zona di Statte: superava per tre volte i livelli di diossina consentiti». L'indagine che ne è seguita ha coinvolto per ora otto masserie. Tutte vittime, secondo la Asl di Taranto, di un'unica fonte inquinante. Che sia l'Ilva, sarà la magistratura a stabilirlo. Intanto la rabbia degli agricoltori cresce.

«Siamo lavoratori anche noi», spiegano Vittorio e Vincenzo Fornaro, proprietari di una masseria di 40 ettari della zona. Delle 1200 pecore che saranno abbattute nel tarantino per contaminazione da diossina, 500 sono di qui. Vittorio ha 37 anni, una moglie e una figlia. Precisa che l'allevamento dà lavoro ad altre tre famiglie. «Sono romeni, brava gente. Tutti in regola». Enzo, 38 anni, dice che l'unica che porta a casa uno stipendio, al momento, è sua sorella, che lavora in un call center. La madre dei Fornaro è morta di cancro. «Siamo stanchi, l'Ilva ci perseguita. Saremo i primi in fila al referendum».

Ma è davvero possibile cancellare con una croce a matita il polo siderurgico più vasto d'Europa? «Non si può spegnere l'Ilva come un frigorifero. Ci lavorano ormai soprattutto trentenni, il 98% a tempo indeterminato. Dove li mandiamo?», dice Franco Fiusco, segretario generale della Fiom-Cgil di Taranto. Anche per Rocco Palombella della Uilm: «L’inquinamento fa paura, ma parliamo di 13 mila dipendenti a cui aggiungerne fino a 8 mila per l'indotto. La nostra economia dipende dall'Ilva».

Per Nichi Vendola, presidente della Regione: «Chiudere l'Ilva significa ignorare la lotta contro la povertà e il richiamo malavitoso che riguarda ogni giorno i tarantini. E poi questo referendum è un regalo a Riva. Il giorno in cui si perderà, avremo buttato all'aria un percorso che per la prima volta impone all'Ilva i monitoraggi dell'Arpa, che abbiamo trasformato da scatola vuota a sentinella pedante e puntigliosa dell'azienda».

Vendoliano doc è il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno. Un recente ricorso al Tar vinto dai referendari lo obbliga a emettere il regolamento della consultazione entro Natale. «Sono un medico. Mi sono laureato con una tesi sull'epidemia di cancro ai polmoni a Taranto. Ho fatto l'Assessore all'Ambiente. Come si può pensare che la questione non mi interessi?».

Stefàno rivendica il parziale successo della sua trattativa con l'azienda. «Appena insediato, ho incontrato l'ingegner Riva e l'ho incalzato sull'uso dell'urea, sostanza che agisce positivamente sulla produzione di diossina. Per alcuni mesi, in via sperimentale, lui si è adeguato e per la prima volta in quarant'anni abbiamo ridotto la diossina del 50%. Ora il trattamento è stato sospeso, ma insisteremo perché riprenda».

Anche il presidente della Provincia, Gianni Florido (Pd, ex dirigente della Cisl), dice che «il referendum va evitato perché finalmente c'è un fronte unitario di Regione, Provincia e Comune che costringerà l'azienda a investire sulla eco-compatibilità».

Leo Corvace di Legambiente rilancia: «la vera partita da vincere è quella della certificazione Aia, l'Autorizzazione Integrata Ambientale. L'Europa ci chiede entro marzo l’impegno a utilizzare le migliori tecnologie per ridurre i danni ambientali. Per la prima volta anche l'Ilva è obbligata a presentare una documentazione sull'adeguamento degli impianti. Questo percorso è aperto alla partecipazione di associazioni e istituzioni. Perché abbandonare ora?».

Intanto nel quartiere Tamburi, a due passi dal gigante, tutti indicano i palazzi sporchi e la polvere sui balconi. Tutti hanno un parente, un amico, che è morto «per un brutto male». Ma chiudere l'Ilva sembra a molti una solo una favola, se non una bestemmia. Corrado, 80 anni, la chiama ancora Italsider: «Ci ha dato da mangiare, l'Italsider. Bisogna respirare, ma bisogna pure mangiare». E Donatella, che a Tamburi è cresciuta, dice: «In Italsider ci lavoravano mio padre e mio fratello. La notte mi addormentavo con il rumore delle ciminiere. E però non mi dava fastidio. Pensavo che era grazie a quel rumore che la mia famiglia andava avanti. E prendevo sonno più tranquilla».

Paola Natalicchio

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