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Sembra assurdo, ma i tarantini temono di perdere... l'Ilva

A Taranto per fortuna sono varie le associazioni ambientaliste e culturali che stanno sorgendo, e tanti sono i singoli cittadini che si esprimono contro l’inferno gratuito perché sono innamorati della loro città della quale vorrebbero esserne orgogliosi.
29 ottobre 2008
Fonte: Corriere del Giorno

Caro direttore,
- Il primo tumore che l’Ilva ha regalato ai tarantini non è ai polmoni, ma alla psiche. Il paradosso è che la maggior parte della popolazione non vuole che si chiuda l’Ilva. Nel corso di questi 40 anni il colosso industriale ha distrutto le menti a tal punto che il pensiero di non vedere più l’inferno, che turberebbe lo stesso Dante Alighieri, terrorizza i tarantini e li butta nello scoramento.

Chiunque ha ancora un minimo di buon senso si chiede come mai lo stesso stabilimento Ilva è stato chiuso a Napoli e a Genova e lì nessuno lo rimpiange, anzi gioisce? È chiaro che chiudere l’Ilva non significherebbe che un mattino gli operai, arrivati davanti allo stabilimento, troverebbero i cancelli chiusi ed improvvisamente non saprebbero dove andare.

Per riconvertire il territorio ci vorrebbero almeno 15 anni e la maggior parte dei dipendenti andrebbe in pensione, e per quel periodo, addirittura l’occupazione aumenterebbe. Perché non riconvertire gli insediamenti industriali con altri tipi di industrie, come ad es. di alimentari, di abbigliamento, di automobili ecc. ecc..?

Oppure immaginiamo che tutto il territorio fosse coperto da pannelli fotovoltaici, i tarantini non dovrebbero più pagare l’energia elettrica e con la stessa il Governo si riscatterebbe degli aiuti che fornirebbe per la chiusura. E sul porto? Ci sarebbe da dire tantissimo sui beni che si potrebbe trarre.

Il rispetto dell’ambiente e del territorio è la ricchezza anche e soprattutto economica di Taranto e dei tarantini. Possono sembrare soluzioni e riflessioni qualunquiste, ma invece sono semplici deduzioni che derivano da chi, come altri, ama la propria terra e la vita in quanto tale. A Taranto per fortuna sono varie le associazioni ambientaliste e culturali che stanno sorgendo, e tanti sono i singoli cittadini che si esprimono contro l’inferno gratuito perché sono innamorati della loro città della quale vorrebbero esserne orgogliosi. In percentuale, però, sono ancora pochi.

Purtroppo l’idea di chiudere la fabbrica non entra nella coscienza della popolazione. Ma cerco di essere anche comprensivo. Io guardo con gli occhi di chi, dopo vent’anni (su 40 di età) vissuti più che altro a Roma per motivi di lavoro, è tornato a vivere prevalentemente nella propria Taranto perchè ha un amore sconfinato per essa. Calandomi nella realtà quotidiana percepisco la soggezione che può provocare chi ha un fatturato annuo di 9 miliardi di euro in chi è cittadino di un comune dissestato. E questa soggezione è in tutti i campi.

La colpa di tutto è principalmente dei tarantini! Chi è causa del suo male pianga se stesso! Non ci resta che piangere, ma il popolo di Taranto non sa neanche piangere. Chi ha sempre convissuto con un mostro di tali dimensioni (oltre che raffineria, cementificio ecc. ecc), ha paura di perderlo. Sono tanti gli esempi psichici dei sequestrati che si innamorano dei loro sequestratori. Con l’Ilva specialmente quelli della mia generazione hanno perso tutto e non se ne accorgono, forse perché come cittadini non hanno mai avuto neanche la libertà interiore di pensare di vivere senza quello stabilimento e il resto degli insediamenti dell’industria pesante.

Nell’opinione comune si pensa che senza l’Ilva si muore di fame. Io cerco di essere dalla parte dei tanti, ma ancora pochi che non si rassegnano, che lotteranno magari per l’utopia di: vedere il cielo pulito; vedere Taranto sui giornali e nei telegiornali perché è un incantevole luogo di villeggiatura; sapere che fà notizia perché c’è il minor tasso di delinquenza d’Italia o perché c’è la miglior qualità della vita; essere ricordataperché è stata la capitale della Magna Grecia e la città che ha insegnato fattivamente al mondo la democrazia con Archita; perché ci sia lavoro, quello vero, quello che edifica l’uomo.

Il lavoro deve essere per il bene dell’uomo, non l’uomo per il lavoro, anzi per l’Ilva ! Caro direttore, mi scusi per i toni, che probabilmente toccheranno la suscettibilità di tanti che hanno paura della realtà. Mi consenta anche di dire che Lei è uno dei pochi giornalisti tarantini che, dalle pagine del Suo giornale, parla di ambiente e in questo dimostra di essere fra i pochi realmente innamorati del proprio territorio. In città, purtroppo, si continua a vivere nell’indifferenza e a far finta di niente, mentre il coraggio di affrontare la verità è ancora una qualità rara, come l’aria pulita che c’è a Taranto.

Antonello Ciavarelli

Siamo tanto inquinati ma “qualcuno” non se ne accorge

Gentile direttore,
anche il Corriere della Sera, con l'articolo a firma di Carlo Vulpio del 21 ottobre scorso ha raccolto il grido d'allarme del nostro territorio, evidenziando, qualora ve ne fosse ancora bisogno, che Taranto è "la città più inquinata dell'Europa Occidentale". E ancora, ieri sera, uno speciale di un'ora e mezza su La7 interamente dedicato alla stessa piaga con interviste al ministro Scajola e ai rappresentanti locali (come al solito non all'altezza della gravità della situazione). Che il problema fosse drammatico lo abbiamo ormai capito tutti, perfino quanti da sempre lo tacciono, ma finalmente la rete dei silenzi complici è stata spezzata.

C'è poco da fare, si tratta di un'emergenza nazionale ed è giusto che vada considerata come tale. Oltre al danno, però, pure la beffa, perché il massimo rappresentante dell'ambiente italiano, il ministro Prestigiacomo, continua a difendere più gli interessi dei grossi potentati economici che quello dei cittadini. Vedasi rassicurazioni fornite, appena insediatasi, al figlio di Riva, piuttosto che ai tarantini, fino ad arrivare alle ultime sollecitazioni alla Regione affinché si accelerino le procedure per la concessione dell'Autorizzazione Integrata Ambientale (la famosa A.I.A.) alle grandi industrie tarantine. Come a dire: non importa come o a quali condizioni, non importa la salute dei tarantini e le loro tragedie fatte di malattie e morte, ciò che conta è che non venga intralciato il passo alla grande industria, perché è il profitto (di pochi) che conta, non la vita (di tanti).

Ulteriore conferma di questa filosofia la stiamo avendo in questi giorni nella diatriba tra Governo italiano e Unione Europea sul clima, dove la posizione dei nostri rappresentanti è inequivoca: ridurre le emissioni nocive è troppo dispendioso per le nostre industrie, perciò o si consente di inquinare di più, o si concedono tempi biblici per rientrare in quelli previsti, sennò non se ne fa nulla.

Il capo del Governo sostiene che l'Italia non è sola in questa crociata pro-inquinamento, ma non dice che la compagnìa è formata dai soli paesi dell'Est, gli stessi che hanno già profuso sforzi enormi in questo senso già solo per entrare in Europa. Né viene sottolineato che i limiti alle emissionisono conosciuti da tempo (vedi CO2) e che l'Italia, anziché diminuirle, continua ad aumentarle ed a pagare, ogni giorno per questo motivo, le salatissime sanzioni dell'UE. Intanto Ilva dichiara utili per quasi 900 milioni di euro, i politici nostrani (la c.d. "classe dirigente".) offrono alibi e giustificazioni a Riva & C. e i tarantini continuano a morire di cancro. Lunga vita alle industrie pesanti.

Fiorella Sallustio

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