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Ambiente, è in marcia il treno della protesta

L'attenzione dei mass media nazionali ed europei, l'impegno di pezzi importanti della società civile, il dibattito incessante e trasversale che anima blog e siti internet hanno giustamente posto il caso Taranto ai vertici delle emergenze ambientali del pianeta.
7 novembre 2008
Luisa Campatelli
Fonte: Corriere del Giorno

- L'attenzione dei mass media nazionali ed europei, l'impegno di pezzi importanti della società civile, il dibattito incessante e trasversale che anima blog e siti internet hanno giustamente posto il caso Taranto ai vertici delle emergenze ambientali del pianeta. Un'emergenza che nasce da lontano ed è legata alla presenza di insediamenti industriali (Ilva ed Eni in testa) altamente invasivi.

La portata del disastro provocato da questi impianti è documentato da perizie, statistiche, studi, alcuni dei quali giacciono negli armadi polverosi della Procura che negli anni ha collezionato inchieste per lo più definite con sentenze di condanna di terzo grado a carico degli inquinatori (con la comunità ionica privata del diritto a ottenere un risarcimento perchè Comune e Provincia hanno ritirato la costituzione di parte civile come stabilito dall'atto d'intesa con l'Ilva).

Quello su cui viaggiano informazione e diffusione della coscienza/cultura ambientalista è un treno che sta andando ad una velocità sorprendente. Non c'è scuola primaria, a Taranto, in cui il tema dell'inquinamento non sia al centro di lezioni, approfondimenti, compiti in classe. I bambini scrivono al presidente della Repubblica, disegnano una città dominata dalle ciminiere, immaginano un “ventilatore gigante” capace di spazzare via il “fumo grigio” per poter finalmente respirare a pieni polmoni.

Anche all'interno della fabbrica la consapevolezza che sia profondamente ingiusto e sbagliato vendere la propria salute in cambio di un contratto di lavoro va prendendo sempre più piede. Del resto, dopo circa 45 anni di veleni industriali buttati sulla città non c'è famiglia che non abbia il suo malato di tumore. Ma quanto conta questo nel “villaggio globale” che tutto ingoia, mastica e sputa? Quanto importa tutto questo ai “signori del profitto prima di tutto” che considerano la malattia nient'altro che un effetto collaterale?

A volte basta un filmato rassicurante per placare rimorsi e sensi di colpa. Come abbiamo visto nell'intenso servizio dedicato a Taranto da “Malpelo” su La7, all'assemblea di Federacciaio si rappresenta un'”industria buona” che produce l'acciaio delle biciclette su cui padre e figlio, insieme, possono scorrazzare in parchi sconfinati. Poco importa se al quartiere Tamburi, davanti alle montagne dei parchi minerali (che, sempre come documenta La7, persino negli stabilimenti siderurgici di Taiwan hanno coperto) padre e figlio non possono neanche giocare sul balcone di casa per colpa delle polveri pesanti e/o sottili dell”'industria cattiva”.

E basta con la storia che quando si toccano tasti così dolenti, drammatici, vicini al quotidiano della gente si fapopulismo e demagogia! Qui bisogna recuperare ritardi, omissioni, sottovalutazioni. Se il treno della coscienza/cultura ambientalista corre, quello della politica continua ad arrancare, stretto da mille lacciuoli che impediscono una seria e intransigente presa di posizione rispetto alle Grandi Industrie Inquinanti.

In questa sacrosanta battaglia per l'affermazione di diritti fondamentali che si chiamano vita e salute Taranto deve essere unita, fare gioco di squadra, indipendentemente dal colore politico, escludendo chi rema contro magari perchè da quell'industria trae vantaggi di carattere personale. A Genova ce l'hanno fatta: chiusura dell'area a caldo e accordo di programma per garantire i livelli occupazionali.

Qui ogni volta che Riva agita lo spauracchio dei licenziamenti c'è chi grida alla catastrofe. Così, tra un cronoprogramma e l'altro, l'Ilva attacca smentendo i dati dell'Ines e aprendo un nuovo fronte polemico buono soprattutto a prendere tempo. Ancora altro tempo. Intanto la politica si muove disordinatamente con Governo, Regione ed Enti Locali che non riescono a convergere in una direzione unica e condivisa, ad ammettere gli errori del passato e reimpostare il tanto invocato dialogo con la Grande Azienda.

Vi sembra possa avere ancora valore un atto d'intesa come quello siglato da Ilva, Regione, Comune, Provincia, sindacati, in cui non si fa menzione della diossina che oggi costringe la Regione a disporre l'abbattimento di 1300 ovini contaminati, sottoporre a vincolo sanitario 8 aziende, disporre un allargamento dei controlli coinvolgendo anche insediamenti distanti fino a 15 chilometri dall'area industriale?

In un'intervista pubblicata sul “Corriere” il 30 ottobre scorso il sindaco Ippazio Stefàno ha dichiarato che “se non sarà possibile ridurre l'inquinamento all'Ilva si dovrà pensare a una chiusura dello stabilimento, almeno dell'area a caldo”. Nella stessa data la Provincia ha dato la propria disponibilità a finanziare uno studio epidemiologico (finalmemte) per indagare sulla correlazione tra inquinamento e patologie. Staremo a vedere. Ma bisogna far presto, il treno corre...

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