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Lettera di una madre tarantina

Aver paura di vivere a Taranto. Odiare il passato per quello che ci ha lasciato in eredità e temere il futuro per quello che potrà riservarci.
15 novembre 2008
Giorgia Cofano

ILVA di Taranto Aver paura di vivere a Taranto. Odiare il passato per quello che ci ha lasciato in eredità e temere il futuro per quello che potrà riservarci. Sono madre e ho provato sulla mia pelle la sensazione più bella che possa esistere al mondo: dare la vita ad un altro essere umano. Me lo raccontavano quanto fosse grande l'amore per un figlio, ma provarlo di persona non è mai come averlo sentito.

E' questo amore che mi spinge a scrivere questa lettera, per palesare il mio dissapore, la mia grande, anzi direi abissale e fondata paura di crescere mia figlia qui. Come potrei perdonarmi di aver permesso che le potesse accadere qualcosa sapendo la verità? Tutti sanno come le imprese che qui hanno la loro mortale tana, come i mostri delle favole , divorano i sogni, le speranze e la vita di tutti.

Quante morti sul lavoro, quante vedove senza mariti, rei di aver lavorato presso industrie prive di norme di sicurezza, caduti sul lavoro o a causa del lavoro, consumati da terribili mali. Quanto dolore e lacrime di madri dal cui petto è stato strappato un figlio, anche di tenerissima età, stroncato da leucemie fulminanti, da tumori del sangue e di altra entità. Quanta altra gente deve morire? Più di 20.000 sono le morti di cancro acclarate negli ultimi tempi a Taranto.

L'aumento del 40% di tumori, che colpiscono tutti, per il solo fatto di vivere qui, negli ultimi due anni dovrebbe far riflettere. Vivo in una città schiava di padroni stranieri, che è costretta a subire il ricatto occupazionale, di imprese che operano molto al di fuori dei limiti legali della Comunità Europea, in cambio della vita dei suoi cittadini. Può un politico o un imprenditore decidere della dipartita prematura di migliaia di uomini, donne e bambini?

Mi ribello a tutto questo. Solo Dio dovrebbe decidere. Si parla di vita, non di un raffreddore. . Potrei invitare tutti a venire a Taranto. Tante potrebbero essere le attrazioni. Enormi draghi che sputano fuoco, fumi alla diossina e furani, polveri di ferro, che tingono il cielo, il mare, le case di rosso. Nella mia città c'è il quartiere chiamato dei morti viventi, ci sono corsie di ospedali colmi di tantissimi bambini, con minuscole braccia piene di aghi e con occhioni colmi di lacrime e terrore.

Madri untrici che alimentano i loro neonati con latte colmo di diossina, nei limiti molte volte superiori a quelli che un piccolo corpo dovrebbe sopportare. Il mio è un accorato appello a tutti, finalizzato a smascherare questa vergogna, per aiutare Taranto e i suoi cittadini a non morire.

Giorgia Cofano

La decisione dell’Ilva di porre in cassa integrazione oltre duemila operai, per far fronte alla crisi dell’acciaio, ha provocato reazioni. Ieri è giunta in redazione una mail di un gruppo di mogli dei dipendenti che, da dicembre in poi, dovranno compiere sacrifici per andare avanti. Una mail, però, che fa riflettere, e che pubblichiamo volentieri.

“Siamo un gruppo di mogli di quegli operai che devono essere messi in CIG dall’ILVA. Abbiamo deciso di scrivere questo pezzo per esprimere e per dire al sig. Emilio Riva che sta perdendo l’ennesima occasione per dimostrare un attaccamento sociale verso i suoi dipendenti ILVA. Noi come mogli, insieme ai nostri mariti, affronteremo la CIG con dignità ed umiltà capendo la crisi mondiale dell’acciaio in corso, ma non capiamo il perché del NON AMORE del sig.

Riva verso i suoi dipendenti. Sarebbe bastato che egli spalmasse le ferie dei cassintegrati durante i tre mesi della CIG per dare un segno di comprensione verso tali famiglie. Sarebbe bastato che prestasse in busta paga 200 euro per dipendente per sollevare il sacrificio economico che dobbiamo affrontare con 808 euro mensili, tale somma sarebbe stata poi stata restituita in rate quando il tutto si sarebbe normalizzato. Invece niente, anzi, a voi miei dipendenti nulla a quelli della CAI 80 milioni di euro.

Che Riva non ami Taranto l’ho ha sempre dimostrato (tranne l’aiuto della fontanelle al cimitero e qualche aiuto…) ma il rispetto verso i suoi dipendenti era oggi dovuto non per altro che questi nostri uomini gli hanno fatto guadagnare in 4 anni 3.000 milioni di euro. Peccato Riva, ennesima occasione mancata, ed ai nostri mariti diciamo, anche in CIG non vi preoccupate stringeremo la cinghia insieme a voi. Ultima negativa considerazione. Perdonateci non ci possiamo firmare, con un Emilio Riva così, anche la libertà di opinione non è fattibile per paura di ripicche in stabilimento”.

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