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Morte dell'operaio Ilva, tre condanne per omicidio colposo

Morti bianche Ieri emessa la sentenza di primo grado. Coinvolti un capo reparto e due tecnici Silvio Murri, nel 2004, stava smontando con altri due colleghi un ponteggio quando precipitò da circa otto metri
23 dicembre 2008
Vittorio Ricapito
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

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TARANTO — Il ponteggio che causò la morte di Silvio Murri era montato male. Lo ha stabilito la sentenza di primo grado emessa ieri dal giudice Francesco Cacucci. Condannati per omicidio colposo il caporeparto Luigi Buzzerio, un anno e quattro mesi ed i tecnici Giovanni Ritelli, un anno e due mesi e Giuseppe D'Aniello, un anno di reclusione.

Per tutti la pena è stata sospesa. Loro, secondo il giudice, la responsabilità dell'incidente mortale, verificatosi nel maggio del 2004. Tre anni e sei mesi in tutto che si vanno a sommare con la pena del quarto imputato, il capo squadra Leonardo Contento, che aveva chiuso anzitempo il conto con la giustizia, con il patteggiamento ad un anno e quattro mesi.

L'incidente si verificò all'interno dell'Ilva. Silvio Murri, operaio tarantino di 38 anni, stava lavorando ad un ponteggio, montato con un'inclinazione irregolare. Mancati controlli operativi e di sorveglianza, le cause alla base dell'incidente mortale. Silvio Murri morì dopo nove giorni di coma, per la commozione cerebrale rimediata col terribile impatto contro un oggetto metallico, dopo che il ponteggio al quale stava lavorando era rovinosamente crollato. «E' come se mio marito fosse qui oggi - ha commentato la moglie, Patrizia Perduno ascoltando la sentenza - era proprio il 22 dicembre del 2003 quando festeggiammo alla notizia della sua assunzione in Ilva. Non potevamo immaginare che, solo pochi mesi dopo quella maledetta mattina, sarebbe uscito di casa per non tornare più».

Alla donna ed a suo figlio, costituiti parte civile con gli avvocati Petrone e Murianni, il giudice ha stabilito un risarcimento provvisionale di 20 mila euro ed un altro che verrà deciso dal giudice civile. Ad attendere la sentenza, dopo l'ennesima "morte bianca", non c'era il solito, triste, silenzio assordante.

In tanti, ieri, si sono mossi per circondare d'affetto e solidarietà Patrizia Perduno che per quattro anni ha atteso quella sentenza in modo composto e dignitoso dichiarandosi fiduciosa nella giustizia. I primi a mobilitarsi sono stati i militanti dell'associazione «12 giugno», con il presidente Cosimo Semeraro presente a tutte le udienze. Avevano anche tentato di costituirsi parte civile, ma la richiesta non era stata accolta.

In aula anche Angelo Franco che in Ilva ha perso il figlio Paolo, morto insieme ad un altro ragazzo, Pasquale D'Ettorre il 12 giugno del 2006, schiacciati da una gru. Insieme a loro tanti militanti ambientalisti, come Alessandro Marescotti, giunti in tribunale per confermare che le battaglie per l'inquinamento e per la salute passano anche per la sicurezza sui posti di lavoro.

Un problema di grande attualità, come ricorda il segretario provinciale della Uilm, Rocco Palombella, che intervenendo sul blocco della metà degli impianti ha ricordato come tale decisione rischi di provocare un gran numero di esuberi anche fra i lavoratori dell'appalto, quelli meno tutelati e più a rischio infortuni perché meno preparati sulle norme di sicurezza.

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