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«A Taranto non inquina solo l'Ilva»

ILVA tira in ballo raffineria, cementificio, centrali elettriche, Italcave: «Operiamo in un'area produttiva con altre aziende». Ricorso contro la Regione Puglia e gli enti locali jonici accusati di agire «molto spesso più in termini politici che tecnici»
14 gennaio 2009
Nazareno Dinoi
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

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TARANTO — È contenuta nelle 33 pagine dell'ultimo ricorso presentato lo scorso 9 gennaio al Tar di Lecce l'offensiva dell'Ilva contro la Regione Puglia e gli enti locali jonici accusati di agire «molto spesso più in termini politici che tecnici affinché l'Ilva - si legge nella motivazione - proceda, il prima possibile, all'esecuzione di interventi di adeguamento e mitigazione ambientale al proprio stabilimento».

Nell'ennesimo ricorso alla giustizia amministrativa, il gruppo Riva contesta la nota del 13 ottobre 2008 con cui il Ministero dell'Ambiente subordina il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia) ad alcune opere di bonifica a carico dell'azienda siderurgica.

La società di Emilio e Claudio Riva impugna, tra le altre misure, l'obbligo di trattare il terreno del sito industriale come rifiuto, ma soprattutto la realizzazione di nuove analisi per la caratterizzazione dell'area industriale di sua pertinenza con metodologie e parametri di riferimento ritenute ulteriormente modificati e più restrittivi di quelle fissate dalla legge. «La maglia dei punti di sondaggio - sostiene l'Ilva - si è infittita ben oltre le disposizioni regolamentari passando dagli originari mille a duemila punti con tre campioni a diverse profondità per ogni punto per un totale di seimila campioni».

Un piano di caratterizzazione (che all'Ilva costerebbe oltre dieci milioni di euro), che la società milanese giudica «più vasto, invasivo e costoso d'Italia e forse d'Europa». Chi inquina Taranto? Ma appartiene all'Ilva tutto l'inquinamento riscontrato? Per la famiglia Riva assolutamente no. Anzi, in alcuni casi, come «la contaminazione rilevata in falda» sarebbe addirittura «subita da Ilva e proveniente da fonti esterne all'area (industriale, ndr) e dovuta all'inquinamento diffuso dei pozzi a perdere di insediamenti urbani, sversamenti nei torrenti della zona di reflui non o scarsamente depurati ».

Chiaro, a questo punto, lo sforzo della proprietà dell'acciaieria più grande d'Europa di spartirsi con altri le pesanti responsabilità dell'inquinamento a Taranto. «Il complesso produttivo - ricorda l'Ilva nel ricorso - si colloca nell'ambito di una ancor più vasta area produttiva in cui operano altre realtà produttive tra le quali la raffineria Agip, il cementificio Cementir, le due centrali elettriche Edison, le cave Italcave, impianti Enel, decine di piccole e medie imprese del consorzio industriale Sisri, due inceneritori e una discarica nonché l'arsenale, il porto militare, i cantieri ex Tosi e la ex industria Belleli».

E ancora. «Cave dismesse trasformate in discariche abusive di rifiuti urbani, porzioni di Mar Grande e Mar Piccolo inquinate per decenni dagli insediamenti portuali e dall'Arsenale, decine di pozzi a perdere e di collettori a mare provenienti dai comuni limitrofi, discariche di rifiuti urbani non adeguatamente conterminati». Una situazione ambientale critica, insomma, figlia di un «generale stato di degrado provocato dalla tolleranza di discariche abusive, da scarichi incontrollati, dalla mancanza di un moderno ed efficiente sistema fognario per gli insediamenti urbani, dall'assenza di impianti pubblici effettivamente in grado di assicurare lo smaltimento dei rifiuti e la depurazione dei reflui».

Nonostante tutto, tiene a sottolineare l'Ilva, le indagini effettuate sull'area di sua pertinenza hanno evidenziato «che su 5.416 campioni del suolo solo 16 hanno evidenziato il superamento della soglia d'attenzione: una percentuale minore dello 0,3% del tutto trascurabile e neppure da prendere in considerazione secondo la letteratura tecnico scientifica ». Anche per l'indagine sulle diossine e sui furani i risultati sarebbero tutt'altro che preoccupanti: «su 200 campioni solo 1 ha superato i limiti del Decreto ministeriale 471/99». Nonostante questa illustrata situazione di non contaminazione del suolo, si lamenta l'Ilva, «la Conferenza di servizi diretta dal Ministero dell'Ambiente dettava continui e repentini mutamenti, in senso sempre più restrittivo, di metodologie e parametri di riferimento».

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