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Taranto, è tempo di (Alta)marea

Nella città pugliese sono i movimenti di base a portare avanti le battaglie su temi ambientali e della sicurezza sul lavoro, mentre la politica ufficiale oramai tutela solo se stessa. Ma la città si spacca tra chi teme per la propria salute e chi ha paura di perdere il lavoro
15 gennaio 2009
Giuseppe Prisco

Altamarea - Contro l'inquinamento
Nel periodo dei saldi la zona pedonale di Corso Umberto è piena di gente. A nord, l’insenatura naturale del Mar Piccolo, a sud il golfo sul Mar Ionio, pieno di navi alla fonda in questa mattina di burrasca. Tra i due bacini, l’isola del borgo antico, cuore antico (bisognoso di qualche restauro) di questa città di antica vocazione marinara. Dal Corso ai Due Mari si può avere una visione d’insieme, compreso quello che c’è a nordovest: ciminiere e nuvole pesanti che in questa giornata di cielo plumebeo diventano minacciose.

La zona industriale della città comprende le raffinerie che trattano il greggio estratto dai pozzi lucani, la Cementir e soprattutto il complesso siderurgico Ilva. Il camino E312 dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva è alto 210 metri, 60 in più della Mole di Torino, 90 in più del grattacielo Pirelli di Milano. Nel quartiere Tamburi, limitrofo allo stabilimento, le palazzine basse non riescono a nasconderla, la ciminiera spunta inesorabile in fondo a una strada o dietro una casa, o sullo sfondo dell’animato mercato del sabato, ma almeno oggi la pioggia lava via l’impalpabile polvere rossa con cui lotta la gente del posto.

SI MUORE A NORMA DI LEGGE

Qui viene rilasciata nell’ambiente, e respirata, il 90% della diossina prodotta sul territorio nazionale [1], e il camino E321 ne emette una quantità tra le 4 e le 6 volte superiore alle raccomandazioni UE anche in condizioni di operatività ottimale [2]. Niente di illegale, per la legge italiana: le diossine sono una famiglia di 210 sostanze delle quali solo 17 sono ritenute cancerogene, e mentre negli USA, in Giappone, in Francia e in Gran Bretagna da anni si valutano le emissioni in base alla tossicità equivalente, su base quindi qualitativa, in Italia il limite è calcolato sulla quantità totale, equiparando di fatto sostanze dannose e sostanze inoffensive. Un impianto siderurgico può quindi riversare legalmente in atmosfera fino a 10.000 nanogrammi/m. cubo di diossina totale, e l’Ilva volendo potrebbe inquinare ancora di più di quanto fa oggi. Ma già così l’impatto dell’area industriale è devastante. Al quartiere Tamburi ci si ammala di più che a Taranto città, e molto di più della media nazionale [3], bambini di dieci anni si ammalano di patologie tipiche dei tabagisti, la diossina entra nella catena alimentare e interi allevamenti vengono abbattuti e le carcasse smaltite come rifiuti speciali, e perfino nel latte materno se ne trova un tasso 25 volte maggiore delle raccomandazioni OMS. C’è n’è abbastanza, no?

SALUTE O LAVORO?

E infatti i tarantini il 29 novembre hanno iniziato a dire forte ora basta (mò avaste, in tarantino) con una manifestazione da 20.000 persone (su una popolazione cittadina di 200.000) organizzata da un cartello di associazioni cittadine riunite sotto la sigla AltaMarea. Sui media nazionali, ovviamente silenzio o poco più. “Le associazioni ambientaliste di Taranto e provincia, aggregandosi, hanno raggiunto la massa critica necessaria per organizzare una manifestazione così, e lo hanno fatto in 20 giorni, proprio come un’onda che monta” dice Luigi Boccuni, del comitato organizzatore. La manifestazione ha dato la spinta finale all’approvazione della legge regionale antidiossina, ma la partita è ancora aperta: “potrebbe essere impugnata, visto che le regioni hanno competenza in materia di tutela della salute, ma non in materia ambientale, e poi è un’arma caricata a salve se non si danno all’ARPA (Agenzia Regionale di protezione Ambientale) gli strumenti per monitorare il livello delle emissioni”.

AltaMarea si prepara a vigilare ed ora è impegnata nell’organizzare la fase successiva del movimento. “vogliamo diventare una realtà presente sul territorio, aperta a tutti, assolutamente indipendente dalla politica come lo siamo ora, e passare dalla protesta alla elaborazione di progetti e proposte”, dice Luigi. Una parte dell’opinione pubblica vorrebbe puntare direttamente al superamento dell’Ilva e si è ventilata anche l’ipotesi di un referendum, ma fare a meno di una realtà che dà lavoro a 20.000 persone indotto compreso non è realistico nel breve periodo. Uno dei nodi da affrontare è proprio il rapporto tra chi è dentro e chi è fuori dallo stabilimento, e chi teme di perdere il posto di lavoro costituisce un movimento altrettanto forte di chi manifesta per l’ambiente. “Il rapporto con i sindacati per il momento è quasi inesistente, e il movimento viene guardato con sospetto da chi teme di perdere la propria fonte di reddito”, dice Luigi, e questa distanza è confermata da Margherita Calderazzi dello SLAI Cobas, che dà una lettura da un punto di vista diverso: “non dimentichiamoci che le prime vittime dell’inquinamento sono gli stessi lavoratori dell’Ilva; non si può prescindere dall’unità con i lavoratori e la fabbrica non può non essere il cuore della battaglia”.

PRODURRE A TUTTI I COSTI

E il termine battaglia si adatta bene a una realtà aziendale ricca di contrasti aspri tra proprietà e lavoratori: l’azienda è stata recentemente condannata per un caso di mobbing collettivo, la vicenda della palazzina LAF, che ha ispirato anche un lavoro teatrale, “Otto mesi in residence” di Alessandro Langiu. Una battaglia che per la Calderazzi (anch’essa coinvolta in una vicenda giudiziaria) non si deve appiattire sulla dicotomia occupazione/tutela ambientale, oramai obsoleta: “Il vero dualismo è tra profitto senza regole e tutela dell’ambiente.

Fin quando la produzione a tutti i costi sarà la priorità, e le istituzioni tuteleranno i grandi gruppi industriali più che i lavoratori, non ci potrà essere tutela ambientale. Chiediamo da tempo senza successo una postazione permanente della ASL e dell’ispettorato del lavoro all’interno dell’impianto, perché le leggi esistenti in materia di sicurezza e ambiente consentirebbero già da ora di abbattere inquinamento e infortuni”. Regole che dovrebbero tutelare non solo gli imprenditori ma anche salute pubblica e sicurezza sul lavoro, e per le quali qui come in tanti altri posti sono impegnate in prima linea associazioni e organizzazioni “di base”, di differente orientamento ma accomunate dalla diffidenza (se non ostilità) verso la politica e il sindacalismo “ufficiale”, che oramai sembra non tutelare più nessuno, tra conflitti di interesse a destra e disastri organizzativi e politici a sinistra.

Tra Taranto e Strasburgo in linea d’aria c’è ancora una nuvola scura che galleggia nel cielo invernale, come la città galleggia tra rassegnazione e nuova spinta al cambiamento. Sul campo una (Alta)Marea che deve diventare fiume e portare da qualche parte, o ritirarsi. Ma quelli come Luigi e Margherita sono poco disposti a ritirarsi…

Note: 1 Dossier peacelink, versione 1, 3/5/2007 ↩

2 ARPA PUGLIA: - RELAZIONE TECNICA PRELIMINARE - Rilevazione di PCDD/Fs e PCBs “diossina simili” nei fumi di processo emessi dal camino E 312 dell’impianto di agglomerazione AGL/2 dello stabilimento siderurgico ILVA S.p.A. di Taranto ↩

3 Arpa Puglia: Criticità ambientali nell’area industriale di Taranto e Statte con particolare riferimento alla problematica delle emissioni e della qualità dell’aria. Relazione alla V Commissione del Consiglio della Regione Puglia. 19 novembre 2008
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