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«Dissesto, c'è il rischio impunità»

L'inquinamento in città, i politici, il dissesto finanziario di Taranto, il ruolo dei magistrati: un confronto a tutto campo con il capo della Procura di Taranto, Sebastio. «Vivere in questa città è una fortuna... dal punto di vista sentimentale».
14 febbraio 2009
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

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Il Corriere del Mezzogiorno ha incontrato il procuratore della Repubblica a Taranto, Franco Sebastio, per parlare della città, dei suoi mali, delle sue aspirazioni. E anche per interrogare un magistrato protagonista da più di 30 anni della vita della città.

Da uno a dieci, dottor Sebastio, quanto ama Taranto?

«Sono stato fuori dalla città dal '69 al '76. Da quando sono tornato, non l'ho più lasciata. Non escludo di aver danneggiato la mia carriera. Di recente, quando ho presentato la domanda da procuratore, ho indicato solo una sede: Taranto. Mi si fece notare che, se non accolta, sarei rimasto in città a fare il sostituto. Non cambiai idea. Sono rimasto, perché credo di poter essere utile. Fermo restando che il magistrato non deve essere considerato un salvatore della patria».

Lei è stato titolare di tante inchieste: l'ambiente, l'inquinamento di Mar Piccolo, l'Italsider, l'usura negli anni Ottanta. Quest'ultima suscitò particolarme interesse.

«A Taranto c'era un'usura organizzata e imprenditoriale: si avvicinava all'impenditore non tanto per concedere un prestito e farsi dare in cambio le cambiali. Piuttosto, avvicinava l'imprenditore in difficoltà temporanea per strappargli l'azienda».

Si scoprì un numero sprositato di società finanziarie.

«Non c'è da criminalizzarle. Ma all'epoca se ne contava quasi una per marciapiede. Ero pretore, a quei tempi. Ricordo che individuai gli usurai tramite il memoriale di un imprenditore indotto al suicidio. Feci il processo, pena massima di due anni, e riuscii a condannare i responsabili a due anni e sei mesi, applicando le aggravanti. In seguito cominciai ad individuare gruppi dediti all'usura e ad ipotizzare l'associazione a delinquere».

Oggi, si possono temere pericoli del genere?

«C'è sempre la possibilità che si creino forme organizzative. Anche per le estorsioni (e ce ne sono di infiniti tipi). Ma sono casi di persone singole o in concorso. Allo stato non abbiamo elementi per dire che siamo in presenza del racket. Ma il rischio esiste. Allora è meglio cominciare in anticipo a prospettare queste possibilità. Ne stiamo parlando con i colleghi e le forze dell'ordine».

A proposito di estorsioni, quella perpetrata ai danni della troupe della regista Lina Wertmuller, è costata una colossale brutta figura per la città: Taranto era su tutti i giornali nazionali.

«Almeno per quello che riguarda l'autorità giudiziaria sono abbastanza soddisfatto. Dal momento in cui la questione è stata portata a nostra conoscenza, il caso è stato risolto in 48 ore. Non penso che Taranto sia la fogna d'Italia: questa città vive una serie di problemi, ma l'esperienza subita dalla troupe Wertmuller poteva verificarsi in qualsiasi altra città».

Nel giorno del suo insediamento ha detto che è stato doppiamente fortunato. È una fortuna vivere a Taranto?

«Dal punto di vista sentimentale sì, tanto è vero che non me ne sono mai andato. Da un punto di vista oggettivo può convenire molto di più vivere a Siena o a Montepulciano. Può convenire. E quando si parla di convenienza, si allude non solo ad un fatto materiale, ma anche morale».

Da cittadino: qual è l'aspetto che più non sopporta di Taranto?

«Direi il carattere dei tarantini. Quello è difficile da cambiare. I problemi ce ne sono: il cassonetto della spazzatura e il Pm-10 nell'aria sono difetti, ma poi basta che arrivi un altro sindaco sceriffo e magari si risolvono. Il carattere congenito di un popolo non è altrettanto facile da modificare. E il tarantino, me compreso, spesso tira avanti nella speranza che arrivi sempre l'oriundo, l'esterno che viene a risolvere i problemi. Abbiamo sempre aspettato, nella storia antica e anche in quella recente: prima l'arsenale statale, poi l'Italsider di Stato (che diventa privata e si trasforma in Ilva). Persino il presidente della squadra di calcio viene da fuori».

Qual è nei suoi ricordi il momento in cui la città le è sembrata più bella, più interessante?

«Rischio di commuovermi. La Taranto che io e quelli della mia età abbiamo amato è la città dell'infanzia, quando scendevo di casa e andavo a fare i bagni a Sant'Elena (ora non si può più). O anche la Taranto che mi consentiva, andando in barca in Mar Grande, di ammirare la città, gli oliveti, i vigneti. In quello stesso periodo, c'era anche la misera, i disoccupati e tanta gente che moriva di fame. Poi le cose sono cambiate».

È arrivata l'Ilva e l'inquinamento ambientale.

«No, i problemi ambientali c'erano anche prima. La prima sentenza con la quale il pretore dell'epoca condannò i vertici dell'Italsider è del 1982. Ma la prima in assoluto fatta da un altro pretore che condannava un impianto industriale per gli scarichi a mare risale al 1980 ed era nei confronti della raffineria. Non è vero che abbiamo avuto una sindrome monomaniacale ossessiva nei confronti dell'Ilva. Abbiamo fatto i processi, ma direi con serenità».

È possibile un compromesso con l'Ilva? Una convivenza serena?

«Quando dico serenità mi riferisco alla maniera con cui i nostri processi sono stati gestiti. Assoluto rispetto tra le parti, sia pure nel duro contrasto dialettico e nella complessità della materia. Alla mia nomina ricevetti le congratulazioni di Claudio Riva, un fatto che mi inorgoglisce, assieme al fatto di essere arrivati a sentenze definitive. Lasciamo perdere se di condanna o assoluzione. La vittoria è dare la risposta. Il magistrato deve esercitare è il controllo di legalità e se c'è reato condannare, se non c'è assolvere. Ma non spetta al giudice risolvere il problema dell'inquinamento. Che è materia che spetta agli organi amministrativi: il sindaco, la Provincia, la Regione».

Torniamo al compromesso: è possibile?

«La Costituzione prevede una serie di diritti assoluti che accettano delle modeste compressioni, per consentire la tutela di altri diritti ugualmente validi. L'unico diritto che non accetta comtemperamenti è quello alla vita. Chiedo: si può scadere in un'ipotesi compromissoria sul diritto alla vita per tutelare altri diritti sociali, come quello al lavoro? E se posso aggiungere...»

Prego.

«Sto rileggendo un testo di Economia politica. Vi ritrovo, dopo averla studiata tanti anni fa, la teoria delle esternalità. Prendiamo uno stabilimento che inquini. Produce il proprio risultato aziendale e, assieme, delle esternalità: ovvero effetti positivi e negativi. Vanno collocati tutti su una bilancia ideale, i cui piatti devono rimanere in equilibrio. Diversamente, il sistema non funziona. Le esternalità negative sono le malattie (sofferenze morali e i costi economici), le pensioni di invalidità, i vigneti estirpati, il mare non più utilizzabile ai fini della pesca. Certo, c'è la ricchezza prodotta. Va però misurato il piatto delle esternalità negative. Qualcuno lo deve accertare, ma non tocca al magistrato. Ovvio, che non si tratta solo di tenere aperta o chiusa una fabbrica. Esistono soluzioni diverse».

E' possibile rendere compatibile la città con le sue industrie?

«Non ci sono limiti tecnici ma economici. Ma bisogna capire che noi come magistrati non abbiamo nessun potere al riguardo. Anzi è improprio pensare che questi problemi possano essere risolti dalla magistratura. Anche perché il nostro intervento può avere effetti devastanti».

Non tutti i suoi colleghi la pensano così. Dal '92 ce ne sono diversi che si credono salvatori della patria.

«Dico la mia esperienza: nel 1979 abbiamo istituito a Taranto una sezione specializzata in reati ambientali. Il magistrato quando affronta questi problemi deve avere il massimo dell'umiltà. Deve essere un operatore del diritto che deve sapere alcune cose: che si può sbagliare, che si muove in una materia ostica, che si incide sulla vita delle persone. Pensare che il magistrato debba essere il difensore della civiltà e possa risolvere i problemi è un fatto gravissimo. I salvatori della patria non esistono».

La politica che ruolo gioca sull'Ilva?

«La politica è l'attività più nobile per l'uomo. Quando essa interviene è il massimo di positività. Poi ci sono le persone che devono amministrare. Un commento sulla legge regionale che limita l'emissioni di diossina? Qui il magistrato non apre bocca. Non lo può fare. Non lo farò, fino alla pensione».

Che ne pensa dell'idea, fatta balenare da qualche esponente politico, che l'Ilva possa delocalizzarsi all'estero e lasciare la città?

«Tutti i cicli hanno un inizio ed una fine. Non esistono impianti eterni ed immodificabili. Non fosse altro che per assecondare l'evoluzione delle tecnologie. L'Ilva via da Taranto? Penso che chi governa deve avere presente questa evenienza e cominciare a pensarci per tempo. Senza averne paura. Tutto ha un inizio ed una fine. La politica ci pensi. Se non lo facesse assomiglierebbe non al reggitore della cosa pubblica, ma ad un amministratore di condominio».

Che voto darebbe alla politica regionale?

«Di voti alla politica non ne dò. Caso mai potrei darne alla magistratura. Un voto a me stesso? Beh, direi tra il cinque e il sei».

Si rischia la prescrizione del reato per il dissesto finanziario di Taranto?

«La sconfitta del magistrato è la chiusura dei processi per prescrizione. Io la causa la vinco quando riesco ad arrivare a sentenza. Purtroppo la realtà attuale fa sì che una larga parte dei reati finisca per essere prescritta. Succede per i lunghi tempi della giustizia. E anche perché la prescrizione per certi reati è particolarmente breve, a causa di scelte legislative. Il dissesto di Taranto? Speriamo non si risolva in una bolla di sapone, dal punto di vista giudiziario. Purtroppo devo ammettere che, ragionevolmente, questo rischio esiste. I rinvii a giudizio sono arrivati in tempi brevi. Ma poi ci sono diversi passaggi. Se in Cassazione viene fuori che il decreto di citazione è stato notificato con un giorno di ritardo cade tutto e si ricomincia. In un sistema del genere se si arriva a sentenze definitive è un miracolo».

Che idea si è fatto sul fronte ambientalista molto largo che a Taranto coinvolge famiglie e associazioni?

«Io lavoro in questo settore da 30 anni e ne ho viste tante. Tutti i nostri processi penali hanno avuto una caratteristica comune: sono stati celebrati sempre in aule deserte. La stampa in genere ha dato la notizia, ma in 48 ore era finito tutto».

(a cura di Samantha Dell'Edera e Francesco Strippoli)

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