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Lavoro e ambiente, l’ultima sfida di Taranto

L’accordo sulla diossina riporta un po’ di sereno in una città costretta a condividere le sorti del colosso industriale. Gianni Alioti (Responsabile ufficio Ambiente-salute-sicurezza della Fim-Cisl nazionale): «Un’azienda che non rinnova le tecnologie di processo non ha futuro».
26 febbraio 2009
Fonte: Notizie Verdi
http://www.notizieverdi.it

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Crescita sostenibile e lavoro è un tema che da sempre offre spunti di riflessione. Cominciamo con il primo, che poi altro non è che un abusato luogo comune. Non è infatti vero che qualsiasi modo di produzione e qualsiasi forma di sviluppo debbano necessariamente portare alla devastazione dell’ambiente. Gli ecologisti più radicalivedono l’Italia di oggi divisa fra un liberismo industrialista e un fondamentalismo ambientalista. Se si accetta questo assunto, allora questo potrebbe essere il punto di partenza per una critica ecologista che, opponendosi al radicalismo di certi industriali, potrebbe dar luogo a un nuovo corso anche nel nostro Paese.

«L’impiego di tecnologie innovative rappresenta l’unico e decisivo contributo per una produzione di acciaio a basso impatto ambientale».

È quanto dichiara Gianni Alioti, responsabile ufficio Ambiente-salute-sicurezza della Fim-Cisl nazionale. Nato e cresciuto a Genova, Alioti ha lavorato in fabbrica e dopo l’esperienza come segretario della Fim Liguria ha cominciato a occuparsi di cooperazione internazionale. «Ho sempre cercato, nella mia esperienza sindacale, di non accettare mai le contrapposizioni tra bianco e nero, industria e territorio, occupazione e ambiente - racconta - Era inevitabile che contro le donne del comitato Ambiente di Cornigliano venissero schierati gli operai o viceversa e c’era chi lo faceva perché anche dietro alla messa in discussione di una fabbrica ci possono essere interessi speculativi».

Alioti conosce benissimo il caso Taranto, il caso di una città al confine nella quale, nonostante la crisi che coinvolge migliaia di operai e nonostante questo sia il momento per investire nelle migliori tecnologie per vincere la sfida del mercato, tengono ancora banco le polemiche sulle legge antidiossina, riproponendo la dicotomia che è parte di ogni riflessione in terra ionica: lavoro-salute.

«La situazione a Taranto è talmente grave soprattutto a causa dell’utilizzo di un’impiantistica vecchia, ma anche per le dimensioni della stessa acciaieria grande ben tre volte la città. Certe aree - aggiunge Alioti - sono state strappate al mare e di fatto la fabbrica è inserita nel contesto urbano. Sono sempre stato in mezzo alla gente che ce l’aveva con Riva e con la fabbrica, ma purtroppo - stigmatizza Alioti - nella burocrazia sindacale c’è chi invece di approfondire,di studiare, di costruirsi autonomamente una propria opinione, va dietro a degli input che possono venire a volte dalla politica, a volte da ruoli istituzionali».

La lega che unì l’Italia
«Era una fumifera città rossa e nera, la chiamavano Ferropoli, sovrastata da un cielo incandescente, pieno di lampi: si srotolava per chilometri tra strutture verticali e orizzontali, spiazzi, fasci di binari, carriponte lunghi fino a ottanta metri ed oltre, neri cumuli di residui minerali, strade, colmate a mare, pontili, navi, lampioni, camion, gru alte come palazzi. Il primo fischio sferzava l’aria alle sei e mezzo del mattino: tutta Bagnoli si svegliava di soprassalto».

La descrizione tratta dal libro “La dismissione” di Ermanno Rea racconta come appariva Bagnoli, il quartiere di Napoli ai piedi della collina di Posillipo che ospitava il gigante siderurgico, l’Italsider, una delle maggiori aziende siderurgiche italiane del XX secolo.

Oltre a Bagnoli, l’acciaio approdò a Genova a metà degli anni cinquanta. Le industrie del Nord e soprattutto la Fiat avevano bisogno di lamiere, ma non potevano sopportare i costi di una produzione straniera. Venne scelto il borgo marinaro di Cornigliano, dove potevano sbarcare le materie prime, malgrado avesse le spiagge più belle e ospitasse un patrimonio architettonico pregevolissimo. Nel 1965 ci fu l’inaugurazione del centro di siderurgico di Taranto.

Le popolazioni accettarono il sacrificio. In ballo c’era la ricostruzione post-bellica e il futuro dell’intero Paese. Nel giro di un decennio, Bagnoli, Genova e Taranto accolsero migliaia di immigrati: siciliani, sardi, calabresi. L'integrazione non fu semplice ma alla fine arrivò poiché il mercato tirava e gli stipendi consentivano a tutti di migliorare il proprio tenore di vita. Le fabbriche diedero lavoro a migliaia di operai e diventarono anche ragione di profonda identità sociale e politica.

Dopo la manifestazione del 29 novembre nella quale numerosi Tarantini scesero in piazza per dire basta all’inquinamento, dopo l’approvazione della legge su diossine e furani da parte della Regione Puglia, che altro occorre per far capire che la questione ambientale non è più differibile e nessuna argomentazione occupazionale può farla passare in secondo piano? «L’eliminazione di molti fattori di rischio è possibile - afferma Alioti - Ci sono tecnologie già applicate in tutto il mondo, soprattutto negli impianti siderurgici realizzati negli ultimi vent’anni. Non è concepibile che, nel 2009, nell’industria siderurgica si emetta diossina; è un problema tecnicamente risolvibile - continua Alioti - Ovviamente occorre la volontà in primo luogo dell’imprenditore oltre che una volontà istituzionale».

Nelle ultime settimane però, nel capoluogo ionico i media non fanno altro che parlare della vita del colosso siderurgico. Quello che è diventato centrale è la vita dell’Ilva e non più la vita dei tarantini.

A Gianni Alioti, il dilemma “meglio morire di cancro o morire di fame” non piace: «Nel caso della diossina ci sono soluzioni che di fatto consentirebbero l’abbattimento pressoché totale delle emissioni, portandole ben al di sotto delle soglie indicate dalla legge regionale o con interventi impiantistici radicali - continua Alioti - o addirittura superando l’utilizzo dello stesso impianto che produce diossine, cioè l’agglomerato».


Lo scorso 17 dicembre, la Regione Puglia ha definito la legge antidiossina fortemente voluta da Nichi Vendola e richiesta a gran voce dagli ambientalisti e dalla società civile. «Se Vendola ritirasse quella legge saremmo veramente all’assurdo - afferma Alioti - Intanto bisogna richiamare a coerenza il ministro Prestigiacomo e il governo perché non si capisce il perché di un atteggiamento diverso a Taranto rispetto a uno più permissivo a Servola, dove Forza Italia da anni orienta le sue campagne elettorali portando avanti la necessità di chiudere l’impianto ex Lucchini, dove sono state adottate soluzioni anche sull’altoforno che sono molto più avanzate rispetto a quelle applicate a Taranto: ma nonostante questo si chiede di chiudere».

A Servola, secondo Alioti, non è in discussione il rispetto delle norme, ma «si chiede di chiudere senza porsi il problema delle conseguenze occupazionali e sono gli stessi che governano il ministero dell’Ambiente; quindi bisogna riportare coerenza a tutti i livelli, politico, sindacale e istituzionale perché non si può fare campagna elettorale sulla pelle dei lavoratori e delle popolazioni».

La legge voluta da Vendola rappresenta il primo provvedimento legislativo che, seppur di carattere regionale, avvicina l’Italia ai parametri europei del protocollo di Arhus. «L’aspettativa che ha creato il provvedimento - afferma Alioti - può rischiare di produrre dei contraccolpi perché non è che approvata la legge, automaticamente si risolvono le cose. Ma una cosa sia ben chiara: il bene e il male non dipendono da quella legge. La Prestigiacomo faccia il ministro dell’Ambiente allo stesso modo e su tutto il territorio nazionale e di fronte a tutti gli imprenditori, non che di fronte a Riva ci si prostra e di fronte ad altre imprese siderurgiche si ha un atteggiamento irresponsabile».

Dopo il durissimo scontro istituzionale fra il ministro e la Regione Puglia, la parola potrebbe passare al premier Berlusconi. «Sarebbe interessante se Berlusconi convincesse Riva a vendere la quota di partecipazione in Alitalia e investirla nel miglioramento tecnologico dell’impianto di Taranto - afferma Alioti - Io auspicherei che da parte del gruppo ci fosse una visione non limitata alle scadenze previste dalla legge regionale, ma che si decidessero soluzioni impiantistiche più radicali per quanto riguarda l’Ilva di Taranto».

Un’azienda che non innova nelle tecnologie di processo è un’azienda che non ha futuro perché la tecnologia non garantisce soltanto l’eliminazione di determinati agenti inquinanti ma stabilisce un aumento della produttività e della redditività «Ci vorrebbe una vera e propria rivoluzione - afferma Alioti - però è chiaro che è necessaria una disponibilità a investire che a oggi non si è manifestata; chi questi investimenti li sta già facendo sicuramente sarà in una posizione competitiva rispetto al mercato dell’acciaio. Il fatto che le migliori aziende di ingegneria impiantistica europee continuano a realizzare nuovi impianti utilizzando le migliori tecnologie di processo avrà come conseguenza che fra qualche anno non sarà conveniente produrre l’acciaio con un centro siderurgico che in gran parte è stato concepito e realizzato negli anni Cinquanta e Sessanta».

È convinto Gianni Alioti nell’indicare Taranto come una grande sfida nazionale: «Non abbiamo a oggi situazioni di conflitto così forti come all’Ilva di Taranto dove c’è contrapposizione fra il diritto al lavoro e il diritto alla salute. C’è bisogno di scrivere insieme il futuro di questo impianto e noi siamo disponibili a un tavolo che esprima questa volontà - continua Alioti - Se qualcuno afferma che il futuro occupazionale di decine di migliaia di lavoratori è a rischio perché c’è una legge regionale che tiene conto di orientamenti europei e che tra l’altro è stata adottata anche da altre regioni in Italia, dice una cosa non vera e sta usando questa legge in maniera strumentale».

Le lotte operaie negli anni Sessanta e Settanta partirono dalla sicurezza in fabbrica proprio nell’industria siderurgica. In quegli anni la forza del movimento operaio veniva dal fatto che non si vivevano condizioni di insicurezza per quanto riguarda il lavoro e si subiva molto meno il ricatto occupazionale. «Io quegli anni li ho vissuti in fabbrica - ricorda Alioti - e mi ricordo che non c’era un’insicurezza sul futuro o la convinzione che uno poteva rimanere escluso dal mercato del lavoro per anni e anni. Quindi questo era già un elemento che dava più forza per portare avanti determinati obiettivi. C’era una forte spinta in fabbrica, un grado di “accettabilità” sociale che col tempo è stato messo in discussione dalla popolazione - continua Alioti - Se ci fosse stata più conoscenza e consapevolezza non saremmo in queste condizioni. Si è rovesciato il rapporto perché la spinta oggi viene più dai territori che dalla fabbrica».

Infine, Alioti invia un messaggio ai lavoratori che oggi sono in cassa integrazione: «Spero che non si lascino strumentalizzare. La loro condizione non dipende dalla legge regionale, chi afferma una cosa del genere lo fa in mala fede e dovrà assumersi questa responsabilità. Non è questo che mette in gioco il futuro occupazionale all’Ilva di Taranto. Il mancato investimento è un campanello di allarme - continua Alioti - Una legislazione ambientale più restrittiva può avere anche lo scopo di spingere le aziende a innovare il processo produttivo fino a investire, rinnovarsi e avere un posizionamento sul mercato più forte. Un sindacato che non ha questa visione non fa bene il proprio mestiere - conclude Alioti - Queste cose unitariamente le abbiamo scritte nella piattaforma rivendicativa che è in discussione con il gruppo Ilva. Ma adesso occorre mettere mano al portafoglio».

BENTOVOGLI FIM-CISL: TROVATO UN OTTIMO EQUILIBRIO

"L’accordo siglato ieri sera alla presidenza del Consiglio dei ministri consentirà di superare lo scontro che si era determinato tra l’Ilva di Taranto e la Regione Puglia sulle emissioni di diossina e furani". Questo il commento di Marco Bentivogli, segretario nazionale della Fim-Cisl, che spiega:

"La Regione Puglia a dicembre aveva approvato una legge regionale che abbassava il limite per le emissioni di diossina e furani con due scadenze successive, ma tali scadenze rigorose, senza un confronto diretto con gli altri interlocutori, e soprattutto un’interpretazione e un’applicazione meccanica e restrittiva di un testo di legge rigido circa la loro applicabilità, avrebbero determinato il risultato dell’abbassamento delle emissioni soltanto attraverso la chiusura dello stabilimento dell’Ilva di Taranto, che ha 22 mila dipendenti e dove si produce un terzo dell’acciaio europeo".

"L'iniziativa della Fim e della Cisl nazionali e territoriali – continua Bentivogli – ha consentito che lo scontro muscolare cedesse il passo in favore del confronto. "L’accordo prevede l’impegno della Regione Puglia, entro il 31 marzo 2009, a emanare un provvedimento legislativo che costituisca un’interprestazione autentica della legge - sottolinea il sindacalista della Fim – e che fissi: su base annuale, attraverso 3 diverse campagne di rilevazione delle emissioni e la relativa media aritmetica, la verifica di conformità ai limiti delle emissioni di diossine e furani; un margine di tolleranza del 35 per cento dei valori rilevati, secondo quanto previsto dai protocolli internazionali; il limite della prima scadenza prevista dalla legge (2,54ng TEQ/Nm3) spostato dal primo aprile al 30 giugno 2009".

Inoltre, prosegue Bentivogli, "dopo la realizzazione dell’impianto di urea, Ispra, Arpa Puglia, effettueranno un monitoraggio semestrale a settimane alternate delle emissioni di diossine e di furani. Entro il 30 dicembre 2009, l’Ilva si impegna a presentare uno studio di fattibilità dell’adeguamento dello stabilimento di Taranto entro i valori limite individuati per la seconda scadenza del 31 dicembre 2010. Ispra e Arpa si impegnano a ricercare, anche a livello internazionale, le migliori tecnologie di abbattimento delle diossine applicabili e fungibili per uno stabilimento delle dimensioni e con i volumi come quello di Taranto. Tale studio avrà la funzione di verificare l’applicabilità del limite previsto dal secondo step della legge regionale 0,4ng TEQ/Nm3". In più "sullo studio di fattibilità dell’Ilva e sui risultati delle indagini di Ispra e Arpa Puglia - osserva il dirigente sindacale della Fim-Cisl - il ministero dell’Ambiente e la Regione Puglia si impegnano a convocare tutti i soggetti per le opportune valutazioni e le conseguenti iniziative".

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