Ci chiedono ancora di avere “pazienza”
Tornando a casa dopo aver trascorso una serata tra amici, mi sono ritrovata a respirare la tipica aria avvelenata che avvolge la città quando soffia il vento di tramontana. Te ne accorgi immediatamente perché l’odore ti entra nelle narici e ti ricorda prepotentemente che siamo in una città dove a comandare non è la giustizia né il buonsenso ma lo strapotere di chi dà lavoro a molte famiglie e tiene in pugno le nostre vite da troppo tempo. Ho pensato ai passi avanti compiuti in questi mesi dal movimento cittadino di lotta all’inquinamento con un fervore ed un ritrovato amor proprio che prima o poi doveva arrivare e che, in ogni caso, lascia ben sperare per il futuro.
Quello che invece impensierisce è la solita inadeguatezza di una certa politica costretta a seguire con scarsa convinzione il comune sentire della gente o, peggio, nascosta goffamente nelle stanze del potere in attesa che il vento cambi.
La crisi mondiale, oggi, aggrava il quadro in una realtà, la nostra, che si conferma laboratorio privilegiato delle pratiche tutte italiane. Siamo ormai tristemente abituati alla furbizia degli imprenditori nostrani che a fronte di utili a troppi zeri goduti privatamente, non esitano ad allarmare tutti per ottenere aiuti di stato nei momenti di crisi.
La tendenza che va delineandosi è quella di riversare il costo dell’attuale crisi sui lavoratori ricorrendo alla cassa integrazione e, già che ci siamo, tentare di zittire quanti in città chiedono alla grande industria di rispettare il nostro diritto incomprimibile alla vita.
La presa di coscienza in città può essere fermata solo mostrando i muscoli, ricordando ai più ostinati, cioè, che a spingersi troppo in là c’è solo da Rimetterci. Increduli ci ritroviamo adesso a sentir di nuovo parlare di un compromesso tra le esigenze dell'industria e la legge regionale "anti-diossina", senza considerare che pensare di abbattere le sole diossine è già di per sè limitativo, vista l'enorme quantità di altri veleni rigettati sui tarantini e fonti di non meno drammatiche conseguenze sulla gente.
Si sa che in moltissimi sperano che si torni alla blanda politica degli atti d'intesa, utili più che altro a dare fumo negli occhi ai cittadini senza alcun risultato concreto, ma non pensavamo si arrivasse, dopo oltre quarant'anni, a chiederci ancora di avere pazienza.
Dovremmo cioè lasciare alla famiglia Riva il tempo di decidere se e quando investire, secondo criteri che altrove sono un fatto da tempo acquisito e che da noi si trasformano in una battaglia epica? e magari attendere che la convenzione di Aarhus arrivi alla sua naturale scadenza del 2014, così da poter continuare a derogare alle direttive europee? Qualcuno forse dimentica che con i limiti alle diossine che registriamo in Italia (unici al mondo), l'Ilva ha potuto godere di super-profitti rispetto a quelle industrie che, in paesi più civili del nostro, sono costrette a rispettare limiti ben più rigorosi e umani.
E’ inaudito che nessun politico voglia riconoscere e sbugiardare vecchi meccanismi che ci allontanano dalla giustizia e dal diritto a vivere in una città normale.
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