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«Gli altri non danno i dati, noi sì. È dell'Ilva il 21% della diossina»

Parla il responsabile Qualità e Sicurezza dello stabilimento siderurgico di Taranto. L’ingegner Adolfo Buffo, responsabile Qualità e Sicurezza dello stabilimento siderurgico di Taranto, dà una mano di smalto all’immagine catastrofica della più grande acciaieria d’Europa
Fonte: Corriere del Mezzogiorno - 21 maggio 2009

Emilio Riva, patron dell'Ilva
TARANTO — «A Taranto non si produce il 92 per cento della diossina italiana. È responsabile solo del 21 per cento delle emissioni. Non lo dice Ilva, ma Arpa Puglia nel documento del 19 novembre 2008». L’ingegner Adolfo Buffo, responsabile Qualità e Sicurezza dello stabilimento siderurgico di Taranto, dà una mano di smalto all’immagine catastrofica della più grande acciaieria d’Europa descritta, in valori assoluti e percentuali, come la fonte principale di elementi inquinanti. In particolare è stata etichettata come la sorgente della quasi totalità di diossina emessa dai cicli produttivi industriali in Italia.

Ingegnere, quindi Ilva non inquina?

«Nessuno dice questo. Il valore assoluto di diossina e altre sostanze inquinanti è quello, anche se stiamo lavorando per abbattere i livelli. Dico che bisogna inquadrare con maggiore precisione il problema, le reali percentuali sono diverse da quelle diffuse pubblicamente».

Si tratta di un equivoco?

«Fino ad oggi è stato fatto un uso improprio dei dati dichiarati dalle stesse industrie nel registro Ines (Inventario nazionale emissioni e sorgenti, ndr). Non possono essere utilizzati come supporto scientifico né per trarre conclusioni né per fare confronti».

Allora a cosa serve il registro?

«Solo a fornire informazioni sulle emissioni in acqua e aria di specifici inquinanti derivanti da cicli produttivi e sulle sorgenti delle emissioni».
Se non si possono fare confronti significa che sono sbagliati o non veritieri?
«Non dico questo, però è necessario definire bene il registro Ines. Devono fare la dichiarazione sulle emissioni gli impianti sotto direttiva comunitaria Ipcc e che superano una certa soglia. In Italia sono circa settemila, di questi sono presenti in Ines solo 670 cioè meno del dieci per cento. Di questi, solo cinque hanno dichiarato di emettere diossina».

La conclusione qual è?

«La tragga lei. Lo stabilimento di Taranto emette il 92 per cento rapportato ai cinque impianti che denunciano diossina. Mi sembrano dati ampiamente incompleti ».

Che tipo di impianti sono?

«Oltre all’Ilva, ci sono due acciaierie elettriche, un inceneritore e la centrale termoelettrica di Monfalcone».

Nessun cementificio , nessuna raffineria?

«No, non risultano autodichiarazioni per quanto riguarda la diossina».

Nel resto d’Europa stiamo alle stesse percentuali?

«No, la media degli impianti presenti nel registro Ines si aggira tra il 20 e il 30 per cento».

La solita furbizia italiana?

«Non so, fino ad oggi dichiarare a Ines era un dovere e non un obbligo. Ora il governo sta preparando un provvedimento che prevede sanzioni per chi omette la dichiarazione ».

Da quando esiste il registro?

«È stato istituito nel 2001 e Ilva è presente dal 2002».
Fin da allora avete misurato le emissioni in atmosfera dei vari elementi, oltre alla diossina, anidride carbonica, mercurio, zolfo, particolato?

«No, fino al 2007 abbiamo fornito al registro Ines solo dati stimati per seguire il concetto di prudenza. Poi con l’evoluzione delle normative e il consolidamento dei dati monitorati siamo passati alle misure vere e proprie. I dati presenti nel rapporto Ines 2009, relativi al 2008, derivano dalle misurazioni».

E ci sono state differenze?

«È rimasto lo stesso solo il dato relativo alla diossina. Per gli altri inquinanti tra stima e misura sono state evidenziate nette differenze».

Per esempio?

«Per esemplificare, diciamo che il benzene stimato come prodotto a Taranto era pari al 49 per cento italiano, con la misura si riduce al 5; il cadmio passa dal 68 al 9; gli idrocarburi policiclici aromatici dal 96 al 50. Il mercurio in acqua, nelle rilevazioni nostre e dell’Arpa risulta sempre inferiore ai limiti della rilevabilità. D’altra parte anche l’agenzia regionale, nel documento dell’11 maggio scorso, ammette che il registro Ines ha limiti intrinseci perché non include gli inquinanti prodotti da industrie di piccole e medie dimensioni né altre sorgenti come traffico, agricoltura, porti, riscaldamento domestico e altro».

Cesare Bechis

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