Dal muro di Berlino ai nostri muri e poi c'è quello dell'indifferenza
Gentile direttore,
l’anniversario della caduta del muro di Berlino ha avuto nei giorni scorsi il giusto e necessario rilievo sui mezzi di co- municazione. Abbiamo rivisto immagini di venti anni fa, gioia mista ad incredulità, picconate simboliche in un passaggio epocale avvenuto in un modo incruento.
Gorbaciov uno dei grandi protagonisti di quel tempo fu giustamente insignito, nel 1990, del premio nobel per la pace. Da un decennio era però già partito quel processo economico che porta il nome di globalizzazione, che travolse tutto e tutti e che ha cambiato, pur con tante contraddizioni, quel mondo che abbiamo conosciuto nel secolo scorso.
Non voglio fare un bilancio del trentennio che ci precede perché forse ancora prematuro, anche se ci vede affrontare una crisi gravissima, non prevista, inedita per le nostre generazioni e dagli esiti ancora incerti.
Il “muro” però ha assunto da allora un preciso significato, quello cioè della liberazione da qualcuno o da qualcosa.
Nel vedere l’Italia di oggi occorrerebbe innanzitutto abbattere quello dell’illegalità che ha portato, grazie all’omertà ed al connubio di molti, l’economia del malaffare ad essere la prima holding nazionale con un’evasione fiscale e contributiva che non ha pari nell’Europa di oggi.
La relazione del governatore della Corte dei Conti è illuminante a tal proposito.
Ogni realtà ha però, a suo modo, un “muro” da abbattere. Taranto è attraversata da due lunghi muri che rendono inaccessibili i due arsenali militari, c’è inoltre quello che circonda il più grande centro siderurgico d’Europa, un territorio grande due volte la città, quello relativo ad altre aziende.
Tutti questi muri sembrano difendersi da qualcuno o qualcosa, sembrano quasi farlo dalla nostra città e dai suoi abitanti.
Eppure siamo noi ad essere indifesi verso le grandi fabbriche, anche se in tanti decenni abbiamo costruito anche noi il nostro muro, il più alto ed inaccessibile: quello dell’indifferenza.
Taranto per alcuni decenni ha delegato, preferendo non esporsi, al personaggio forte di turno la soluzione dei propri vecchi e nuovi problemi.
Lo scorso anno, in novembre, una parte importante di cittadini ha dato una formidabile picconata a quel muro, ha portato a casa un pezzo del rilsultato di ciò che chiedeva.
Quest’anno, il 28 novembre, cercherà di fare una breccia ancora più grande.
Altamarea chiederà ancora una volta, come lo scorso anno: lavoro, ambiente e dignità.
Reclamerà non la soluzione individuale di problemi che pure affliggono tante nostre famiglie, ma il diritto alla salute come un benessere collettivo. Lo farà sul terreno democratico e della partecipazione attiva dei cittadini perché partecipare vuol dire contarsi e contare. Proporrà un progetto di cambiamento chiedendo il rispetto elementare della legalità ed il control- lo delle emissioni nocive di tutte le aziende che ospitiamo sul nostro territorio nei parametri che l’Europa ci chiede ed im- pone.
Ecco, Taranto vuole essere una città europea e non di altri continenti.
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