Malattie professionali, la Cassazione dà torto all’Ilva: «Processi da rifare»
TARANTO— Non hanno alcun valore le dichiarazioni fatte firmare agli operai al momento della risoluzione del rapporto di lavoro con le quali si solleva l'Ilva dal risarcimento di eventuali danni alla salute. In produzione Un metalmeccanico al lavoro nel centro siderugico. Nella foto piccola, Emilio Riva, proprietario dello stabilimento Lo ha stabilito in questi giorni la Suprema Corte di Cassazione con sentenza della sezione lavoro che ha ribaltato completamente l'interpretazione data nei precedenti gradi di giudizio presso tribunale e Corte d'Appello di Taranto, ai tanti casi in cui ex dipendenti liquidati, venivano indotti a firmare dichiarazioni con le quali si impegnavano a non chiedere alcun risarcimento per eventuali danni alla salute omalattie sopraggiunte a causa del lavoro svolto nello stabilimento siderurgico.
E' stato un coraggioso operaio rimasto sordo dopo anni di lavoro nell'industria pubblica dell'acc iaio a rompere una tendenza che ormai sembrava inarrestabile. Aveva lasciato la fabbrica nel 1995, qualche mese dopo che era diventata privata, acquistata dal gruppo Riva. Pur consapevole di essere diventato sordo a causa del lavoro, senza però rendersi conto di aver firmato la «famosa» quietanza che veniva proposta a tutti, l'operaio ha fatto causa all'Ilva spa. Come tanti sui colleghi di lavoro prima e dopo di lui, trovandosi davanti al fatidico assegno del trattamento di fine lavoro, aveva firmato quel foglio predisposto dall'azienda, nel quale si citava il misterioso articolo 2087. Nel 2003 il tribunale di Taranto gli ha dato torto. Due anni dopo, sempre in virtù del documento da lui sottoscritto, anche la Corte d'Appello ha bocciato la sua richiesta dando ragione all'Ilva.
Stessa amara sorte hanno avuto centinaia di lavoratori che non hanno ricevuto un centesimo per il danno biologico subìto. Si tratta di centinaia di operai ammalati di mesotelioma o morti di cancro al polmone o alla laringe ai quali oltre al danno, s'è unita la beffa della condanna a pagare fino anche a 2000 euro di spese processuali. In pochi, dopo aver subìto sconfitte e pagamenti, hanno portato avanti la battaglia fino alla Corte di Cassazione. Ieri la vittoria di Pirro, con l'annullamento di quella «maledetta» quietanza, l'annullamento della precedente sentenza ed il rinvio ad un nuovo processo in Corte d'Appello ma ormai, molti danni sono irreparabili e saranno pochi i lavoratori non risarciti che potranno ancora avvalersi di una sentenza giunta forse troppo tardi. Secondo la Suprema Corte quella quietanza che veniva fatta firmare al momento della liquidazione finale era fin troppo generica e non c'è prova che i lavoratori fossero consapevoli dei loro diritti ed intendessero volontariamente rinunciarvi.
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