Basta coi numeri, ora vogliamo il campionamento dei diritti e dei doveri!
Gli allevatori sono stanchi di seguire con gli occhi una palla che continua a rimbalzare di mano in mano senza fermarsi, è giunto il momento di ripartire e di ricostruire le basi del proprio lavoro e del proprio futuro.
Un mix di stanchezza intrecciata a punte di esasperazione emerge giorno per giorno nel leggere i giornali come nel parlare con chi, nonostante le campagne elettorali siano terminate, continua a far squillare il telefono nella masseria dei Fornaro, perché ormai la sfilata dei candidati al consiglio regionale con annesse promesse e strette di mano è terminata con l’entrata nelle urne, unico pensiero che a questa gente stava a cuore.
La nostra delusione continua e sembra non trovare vie di fuga, forse aumentata (com’è naturale) proprio l’indomani delle elezioni quando ogni discorso e ogni possibile prospettiva è stata messa a tacere, ma infondo anche questo era stato messo in preventivo dagli allevatori, i quali non si stupiscono più davanti a niente e a nessuno.
Ed è forse anche utile tornare sulle ragioni, vere o presunte, per le quali nel momento in cui sembra che qualcosa si stia muovendo a favore di chi vive nell’attesa ormai da più di un anno, come per magia tutto cambia, tutto viene smentito, tutto viene girato richiudendo le vittime nel silenzio e nel vuoto della loro ex azienda agricola, e ripulendo con una spruzzata di amuchina i volti ancora sporchi di sangue innocente.
Degli allevatori e di quello che dal 2008 stanno passando, poco si è parlato e ancor meno si è cercato di capire qual è oggi la loro vita, come questa vita si sia adattata alla perdita del lavoro presente e di quello futuro, oltre che di anni di storia e tradizioni.
In realtà la situazione degli allevatori è stata sempre affrontata male, sul presupposto che in fondo prima o poi non se ne sarebbe più parlato, che questa gente è nata e vissuta sempre da lavoratori isolati, lontani e che tali sarebbero tornati perché questo è l’unico percorso fatto su misura per loro.
E’ vero: le riforme, le leggi adeguate e il sostegno dovuto a chi ne ha diritto e bisogno, possono avvenire solo in organismo sani e non in quelli malati.
Lascio al lettore tirare le conseguenze.
Per quel che ci riguarda, il nostro silenzio è stato rotto dalle continue pacche sulla spalla condite da parole e sorrisi di facciata, senza contenuti validi e senza interessi leali, soli promotori del niente.
Invece di continuare a sfornare dati su monitoraggi e campionamenti vari, leggendo e rileggendo quei numeri in modi sempre diversi, incorniciandoli in quadri sempre più confusi e contraddittori, bisognerebbe iniziare a pensare seriamente a come affrontare i veri problemi: quello di tutelare chi ha subito i maggiori danni, prestando loro un valido appoggio da parte delle istituzioni a tutti i livelli, perché gli allevatori da soli non possono affrontare le conseguenze della loro posizione geografica, che li porta ad essere il punto di partenza e di arrivo non più di storia e cultura della terra jonica, ma di campagne elettorali ormai sterili e poco convincenti.
E’ proprio sulla dignità degli allevatori che passa la linea di discrimine più forte e difficile da affrontare, ed è proprio questo il punto su cui molti dovrebbero fare marci indietro in nome del più alto senso civico, se ancora può esistere.
Oggi l’atmosfera che si respira nella masseria dei Fornaro è di massima tensione e si sta cercando di tornare indietro rispetto ad una strada che solo apparentemente garantiva la tutela dei diritti. Si è verificato, infatti, un vero e proprio paradosso: in nome di quegli stessi diritti, si sta costruendo un impero di prestigio e benessere economico a favore di terzi.
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