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Scoprire Genova per ripensare Taranto

Il confronto tra due città simili che hanno scelto – finora - percorsi opposti
1 giugno 2010
Alessandra Congedo (Caporedattore rivista N.B.)

Scoprire Genova per ripensare Taranto.
Il confronto tra queste due realtà, così apparentemente lontane, è inevitabile per chi conosce la storia (industriale) di entrambe. Ci penso mentre attraverso il Porto Antico della città ligure, abbagliata dal sole e da una moltitudine di stimoli visivi. La mia attenzione viene subito catturata dall’immagine del “Neptune”, un antico galeone realizzato come scenografia principale del film “I pirati” di Roman Polanski, ormai da tempo aperto al pubblico. È ormeggiato accanto al secondo Acquario più grande d’Europa, un museo vivente che ospita circa 6.000 esemplari di 600 specie marine diverse (pesci, crostacei, rettili, piante). La fila di visitatori all’ingresso fa intuire che gli affari vanno più che bene. Città vecchia di Taranto

Pochi attimi dopo il mio sguardo va a posarsi su due originali e imponenti creazioni dell’architetto Renzo Piano: la Sfera e il Bigo. Nella prima è stato ricostruito l’ambiente tropicale con numerose piante, piccoli animali e farfalle; il secondo è un monumento moderno in metallo. Riproduce in scala ingrandita una grande gru da carico, simile a quelle montate sulle navi. La sua struttura sorregge un grande ascensore rotante che offre una vista panoramica dell’intero Golfo.
Sempre nella zona del Porto Antico ci sono altri importanti centri di attrazione turistica: il Galata, il più grande museo marittimo del Mediterraneo; la piazza delle Feste, palaghiaccio d’inverno e location di manifestazioni sportive e musicali d’estate; il Museo Nazionale dell’Antartide, grande vetrina del continente bianco; la Città dei Bambini, il più grande e completo spazio esistente in Italia per bambini e ragazzi dai 2 ai 14 anni.

Il fermento che si respira sul lungomare genovese è inebriante. Non è soltanto una sensazione personale affidata alla suggestione del momento. La conferma arriva dai numeri. Oltre 1 milione di persone, ogni anno, si reca in visita all’Acquario. Gente proveniente da ogni dove, che poi si riversa nelle strutture ricettive adiacenti e nei vicoli del centro, lasciando moneta sonante nelle casse di trattorie e negozi. Un business pulito, vantaggioso per l’intera comunità. In termini di fatturato, l'Acquario, La città dei bambini e il Museo del Mare incassano circa 25 milioni di euro all'anno.
Ad ogni passo Genova mi fa immaginare la Taranto che vorrei. Ad ogni passo, mi ricorda che il nostro presente è ancora troppo simile al suo passato. Un passato fatto di veleni e cieli opachi, di gente che si ammala e quartieri ingrigiti, archiviato con la chiusura delle cokerie Ilva nel 2002 e con quella dell’altoforno nel 2005. Una svolta epocale seguita da un radicale miglioramento delle condizioni ambientali. Ma i genovesi non hanno aspettato la chiusura dell’area a caldo del siderurgico per rimboccarsi le maniche. Hanno cominciato ad investire in progetti alternativi alla grande industria almeno un decennio prima.

Nel 1995, infatti, il Comune ha affidato alla “Porto Antico di Genova SpA” la concessione (fino al 2050) dei 130.000 mq di spazi del Porto Antico. La società - partecipata al 51% dal Comune, al 39% dalla Camera di Commercio e al 10% dall’Autorità Portuale - è nata con l'obiettivo di restituire l'area alla città rendendola vivibile e godibile tutto l'anno. Nel corso degli ultimi anni, è stata perseguita una politica di riempimento e di occupazione degli spazi graduale e ponderata, all'insegna della qualità e della coerenza delle concessioni. Molto si è fatto anche in periferia: Cornigliano, il quartiere che ospitava l’area a caldo è interessato da una serie di interventi di bonifica e riconversione tesi a salvaguardare l’occupazione dei lavoratori.

Una realtà consolidata per Genova, un sogno ad occhi aperti per Taranto. Viene spontaneo chiedersi (ma è solo un esercizio retorico) cosa faceva la nostra classe dirigente mentre gli architetti liguri gareggiavano tra loro per presentare i progetti più originali e i politici elaboravano formule in grado di valorizzare al meglio il loro territorio. Quanto tempo abbiamo perso e quante occasioni abbiamo mancato? Basti pensare al destino dell’Isola dei Delfini o al Teatro dell’Innovazione: tramontati ancor prima di sorgere.

Eppure seguire l’esempio della città ligure, duplicare il suo “fare sistema”, è ancora possibile. L’Area Vasta Tarantina può rappresentare un’occasione di riscatto per una classe politica che ha l’obbligo di mostrarsi più lungimirante e combattiva, soprattutto per ottenere tutti i finanziamenti necessari al cambiamento. Solo così potremo vedere - con qualche decennio di ritardo rispetto ad altre realtà - i frutti di progetti ambiziosi come il Polo Museale Marittimo e l’Acquario.
L’ultima, clamorosa, opportunità è sfumata di recente. Tra il 9 e il 13 giugno, infatti, il Mar Piccolo avrebbe dovuto ospitare il Festival Internazionale della Marineria “I Miti del Mare”, una manifestazione popolare di primo livello che punta alla riscoperta della cultura del mare come risorsa economica, turistica e di sviluppo, con uno sguardo alla salvaguardia dell’ambiente. Un evento che avrebbe attirato nel porto ionico velieri e vascelli provenienti da tutta Europa e due navi scuola della Marina italiana: “Vespucci” e “Palinuro”.

Oltre a prevedere gare di off shore, raduni di idrovolanti, catamarani ed altre imbarcazioni, il programma includeva molte attività collaterali: un’intera area dedicata alla pesca, l’apertura di diverse zone del Castello Aragonese e una mostra a tema del fotografo Renato Balsamo. Il modello di riferimento scelto era quello delle grandi manifestazioni nordiche, con afflussi di pubblico eccezionali. In Liguria una manifestazione simile aveva attirato circa 300.000 visitatori. A noi sarebbero bastati molti meno per brindare al successo.

Il miraggio di vivere in una città diversa, almeno per cinque giorni, è svanito lo scorso 3 maggio, quando gli organizzatori hanno comunicato la decisione di spostare la manifestazione altrove fornendo la seguente motivazione: “Dopo sette mesi dalla presentazione ufficiale, che riscosse un notevole gradimento, nessun segnale concreto e positivo è pervenuto da parte degli enti istituzionali ospitanti; in particolare la Provincia di Taranto, interessata già dal mese di ottobre 2009, non ha a tutt'oggi concesso il patrocinio”.

La Provincia, attraverso l’assessore al turismo Giovanni Longo, ha risposto così: “Gli organizzatori ci hanno chiesto 300.000 euro e noi non possiamo assolutamente permetterci di sborsare una cifra così elevata”. Una spiegazione confermata anche da altri rappresentanti del Tavolo per il Turismo di Taranto, a partire dalla Camera di Commercio. A detta degli organizzatori, invece, la quota richiesta agli enti locali era inferiore. Il resto doveva essere coperto attraverso il coinvolgimento di altri soggetti, sia pubblici che privati.

Ma non è tanto la carenza di fondi a stupire, quanto il fatto che si sia parlato dell’entità del contributo solo alla fine di aprile, quando l’evento era già stato programmato da tempo e pubblicizzato su diversi siti internet dedicati al turismo. Approssimazione? Superficialità? Disinteresse? Resta il fatto che “I miti del Mare” sono andati persi, come tutti quei turisti che avrebbero approfittato dell’occasione per conoscere la nostra città, per soggiornare nei nostri alberghi, per mangiare nei nostri ristoranti e spendere nei nostri esercizi commerciali.

E ora come pensiamo di recuperarli? Forse con qualche sagra della cozza?

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