Basta con la favoletta che in nome del lavoro "garantito" si deve rinunciare a salute, vita e un ambiente pulito
Gentile direttore,
nei giorni scorsi ho letto un recente intervento del prof. Pirro sulle colonne di un quotidiano locale del 14 giugno scorso intitolato "Perché non si può fare a meno dell'Ilva", seguito dal servizio sull'Ilva di Taranto del 15 giugno trasmesso dal TG3 nell'ambito della trasmissione "Linea Notte".
Il prof. Pirro elenca investimenti milionari, che l'Ilva avrebbe realizzato negli anni tra il 1995 e il 2009, che ne avrebbero notevolmente migliorato l'ecosostenibilità e ai quali, sempre a detta del professore, si aggiungeranno quelli dei prossimi anni "sempre totalmente autofinanziati", in cui si adombra un vecchio principio del capitalismo all'italiana per cui i profitti restano rigorosamente privati, ma le spese vanno socializzate.
Ad ogni modo fa piacere registrare il cambiamento di opinione del professore sull'ambientalizzazione del siderurgico, poiché non dimentico che fino a pochi mesi fa, sempre nella sua difesa dell'industria di Riva, era pronto ad attestarne la compatibilità ambientale. Probabile che lo spauracchio del referendum per la chiusura dell'Ilva e la ricollocazione dei suoi lavoratori (come fatto a Genova) lo abbia avvicinato alle tesi di parte degli ambientalisti tarantini.
Letti i dati sulla "generosità" dell'ILVA quanto agli investimenti realizzati, il tema occupazionale rappresenta l'altro passaggio obbligato nella disamina del professor Pirro che ritiene impensabile rinunciare ad una realtà che garantisce circa 12.000 posti di lavori tra diretti e indotto. Insomma si vuole riproporre ai tarantini la solita favoletta, ormai stanca e sempre meno credibile che, in nome del lavoro "garantito", occorre rinunciare alla salute, alla vita, alla qualità di aria, acqua e cibo, come se non esistessero alternative occupazionali ed economiche possibili. Certo è un concetto che fa comodo anche a tanti amministratori locali che così possono sentirsi sollevati dalla responsabilità di percorrere la strada di uno sviluppo eco sostenibile.
Mi chiedo come mai il nostro professore, premurosamente preoccupato per l'occupazione a Taranto, non cita mai i problemi che l'inquinamento industriale sta causando ad agricoltori, allevatori, mitilicoltori e pescatori di Taranto ed ai cittadini che ne muoino? E perché, sapendo di economia, non scrive mai che i costi sanitari delle malattie da inquinamento ambientale corrodono nel peggior modo possibile oltre che la salute gli stessi salari dei lavoratori Ilva e vengono pagati da tutti i cittadini pugliesi anche attraverso il Servizio Sanitario Nazionale le cui risorse provengono sempre dalle loro tasche ?
Venendo al citato servizio del TG3, anche l'intervento dell'ing. Buffo, dirigente del gruppo Ilva, ha elencato numeri e slogan come quelli di Pirro, avendo l'ardire di affermare che in Ilva hanno avuto evidenza del problema diossina solo nel 2006/2007, circostanza discutibile poiché a Taranto la cittadinanza ha conosciuto il dramma della diossina emessa dal famigerato camino E 312 dal dossier diffuso da Alessandro Marescotti già nel 2005.
Un'affermazione ancora più grave se si considera che è in aperta contraddizione con un documento, facilmente reperibile in rete (si veda http://www.scribd.com/doc/7101301/Dioxin), da cui risulta che l'Ilva affidò già nel
2005 al prof. H. W. Gudenau dell'università di Aachen (Aquisgrana), in Germania, la consulenza sulla diossina prodotta nell'impianto di sinterizzazione di Taranto e che studi sulla diossina prodotta dalle industrie siderurgiche risultano in corso già dai primi anni '90.
Probabilmente il valore non vincolante degli "Atti di intesa" del passato, gli stessi su cui il prof. Pirro vorrebbe tornare, permetteva di sonnecchiare su certe questioni; peccato che a rovinare il sonno ci sono oggi leggi regionali e una cittadinanza "maledettamente" informata e determinata a far cambiare registro.
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